Il quotidiano La Repubblica, che è da sempre il giornale più à la page dell’Italia progressista, che è ricco di grandi firme, che la Cultura la intende davvero con la maiuscola, insomma La Repubblica che è un giornale di fronte al quale ci leviamo riverenti il cappello, si chiede che bisogno c’era di dare una laurea honoris causa a Mike Bongiorno, che sarà anche un grande presentatore, che sarà anche simpatico, ma che in fondo, suvvia.
La Repubblica non se la prende tanto con Mike (anzi) ma con «la destra», che quella laurea l’ha invocata. E con ancor maggiore sarcastica indignazione si chiede come mai la stessa «destra» si spinga addirittura a chiedere al Capo dello Stato di nominare Mike Bongiorno senatore a vita. «È dura - scrive Francesco Merlo - far sventolare Mike come bandiera ideale, ed esaltare come epopea nazionale le sue mille, allegre gaffe dal sapore familiare, la fresca ingenuità del vegliardo signor telequiz e la paterna bonarietà velata di condiscendenza del bravo presentatore». Insomma, ci vuol altro per uno scranno a Palazzo Madama: Mike «non è un modello, non è il cappellano laico dell’Italia del Novecento, non è il nuovo Benedetto Croce».
Ora, si può ironizzare quanto si vuole sull’Italia dell’«allegriaaaa!» e dell’ahi ahi ahi signora Longari mi è caduta sull’uccello. Ma se la sinistra adotta come maître à penser Celentano, non si vede perché la destra non possa proporre per una laurea ad honorem (che in Italia non si nega a nessuno) un uomo che ha contribuito, e non poco, a portare in Italia la televisione, la quale qualcosa avrà pur contato, nella storia del nostro Paese. Sbaglieremo, ma ci pare più fuori posto un premio Nobel a Dario Fo. Quanto poi a una possibile presenza in Senato di Mike Bongiorno, ci susciterebbe meno disdoro di tante pornoattricette ed ex terroristi che pure in Parlamento si sono seduti e in molti casi siedono tuttora.
Ma non è questo il punto principale. Conosco bene Francesco Merlo e ne ho la massima stima, non solo per la bravura professionale ma anche per la sua indubbia libertà e onestà intellettuale. Sono quindi certo ch’egli non si volesse spingere a tanto: ma la sensazione che resta, da queste polemiche sulla laurea a Mike Bongiorno, è che si voglia riproporre il sempiterno luogo comune di una destra italiana incolta e zoticona, grossolana e superficiale; una destra che, al momento di pescare dal proprio cilindro un nome degno di rappresentarne la cultura, non sa tirar fuori niente di meglio che un re del telequiz.
Merlo si chiede come mai la destra che oggi si batte per Mike non abbia fatto altrettanto, ad esempio, per Rosario Romeo o Geno Pampaloni o Mario Praz. Domanda legittima, ma dimentica forse di due non secondari dettagli. Il primo è che spetta al Presidente della Repubblica nominare i senatori a vita, e ci sarebbe piuttosto da chiedersi come mai dal Quirinale non si scelga da tempo un rappresentante della cultura liberale e moderata, come se non ve ne fossero di degni. E qui arriviamo al secondo dettaglio, al tempo stesso causa e conseguenza del primo.
È che c’è un pregiudizio tutto italiano secondo il quale la cultura non può essere di destra, anzi non può non essere di sinistra. È un pregiudizio che provoca esclusioni preventive dai salotti buoni sia nel mondo accademico, sia in quello solo apparentemente più «basso» della letteratura, del giornalismo, del cinema, della musica. Il centrodestra non ha niente di meglio dell’uomo del Rischiatutto? Sarà. Eppure il più geniale regista italiano, Pupi Avati, è escluso dal giro che conta per il solo fatto di essere cattolico, neanche di centrodestra. Eppure un autore come Guareschi, tradotto ancora oggi in tutto il mondo, non figura in alcuna antologia. Eppure un giornalista come Montanelli è stato accettato solo quando si è scontrato con Berlusconi. Eppure una fuoriclasse come Oriana Fallaci, che dalla sinistra veniva, è stata trattata alla stregua di una neonazista quando ha preso posizioni inconciliabili con il politically correct. Eppure una scrittrice come Susanna Tamaro è stata coccolata fino a quando la si è creduta allineata, ma poi espulsa dalle pagine culturali dei grandi giornali quando ha cantato fuori dal coro. Lo stesso decreto di espulsione scattò, negli anni Settanta, per Renzo De Felice, che pure non era di destra, ma che osò infrangere la vulgata ufficiale della storiografia sul fascismo. Ora aspettiamo solo che una scomunica colpisca anche Benigni, reo di aver cantato, dopo Berlinguer, la bellezza del cristianesimo.
Si potrebbe continuare a lungo. Ce ne sarebbero, oltre a Mike, di «bandiere da sventolare». Ce ne sarebbero. Ma non è la destra che non le sventola, è qualcun altro che le vorrebbe ripiegate, e ben nascoste. (il Giornale)
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