«L’effetto serra è un bluff»; «Il pianeta non si sta riscaldando»; «I ghiacciai non si stanno sciogliendo»; «Le previsioni meteo sono inattendibili»; «La colpa dell’inquinamento non è dell’uomo». Firmato, professor John R. Christy, direttore dell’Earth System Science Center dell’Università dell’Alabama. Un colpo mortale per i professionisti della «difesa della Terra» che, sui fantasmi dell’emergenza ambientale, hanno costruito le fortune politiche ed economiche.
Ma ora il professor Christy ci ha ripensato, diventando il primo Nobel «pentito». Una circostanza che, se da una parte lo farà entrare nella storia, dall’altra lo ha reso inviso ai suoi colleghi dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), la commissione Onu premiata dall’Accademia di Svezia insieme con Al Gore per avere denunciato i rischi di un’«apocalisse» prossima ventura, effetto dell’incombente global warming. Così il professor Christy ha deciso di fare outing. Dalla prima pagina del Wall Street Journal, il suo dietrofront ha gettato nello sconforto le folte schiere dei catastrofisti planetari. Christy il Nobel non l’ha vinto da solo ma grazie al lavoro di squadra dell’Ipcc di cui è un illustre componente: un organismo composto da un migliaio di cervelloni internazionali, determinatissimi nel sostenere che l’uomo sta andando dritto verso il baratro.
Le conclusioni a cui è giunto l’Ipcc non collimano però esattamente con le teoria di Christy. Di qui la clamorosa decisione dello scienziato americano: restituire la «sua» quota di Nobel ai parrucconi della commissione norvegese. Non si tratta di un capriccio, anzi le motivazioni sono serissime: «Sono certo che la maggior parte dei miei colleghi all’Ipcc storcerà la bocca ma non vedo né una catastrofe imminente né la “pistola fumante” che provi la responsabilità inequivocabile dell’uomo per gli aumenti di temperatura che registriamo. Al contrario; quel che si vede sono attivisti e, purtroppo, scienziati pronti a saltare a conclusioni affrettate e ad attribuire qualsiasi anomalia climatica alla fantomatica apocalisse da global warming prossima ventura. Presentare qualsiasi fenomeno conseguente come il risultato dell’attività umana probabilmente li fa sentire più a loro agio».
«Forse la tendenza a dare la colpa di tutto all’uomo è dovuta al fatto che non abbiamo visto di cosa fosse capace il nostro clima prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla Terra - dichiara Christy sul Wall Street Journal -. In realtà il livello dei mari cresce e diminuisce da sempre. La calotta artica si è sciolta altre volte». E poi: «In un recente reportage della Cnn sul “pianeta in pericolo” non si fa altro che parlare dello scioglimento dei ghiacci artici. Non si dice nulla, però, di quelli dell’Antartico, dove il mese scorso è stato raggiunto il massimo storico di congelamento dei mari». Un perpetuarsi di luoghi comuni che comporta un enorme spreco di risorse economiche: «Se anche riducessimo della metà le emissioni degli Stati Uniti, entro il 2020 le temperature scenderebbero in misura infinitesimale. Quel che spendiamo per ridurre così marginalmente il global warming porterebbe benefici da 50 a 200 volte superiori se ci concentrassimo sulla sanità, la prevenzione dell’Aids e la depurazione delle acque del continente africano».
Del resto Christy è in buona compagnia. Anche Tim Ball infatti, professore di Geografia dell’Università di Winnipeg, è convinto che «il riscaldamento globale - ammesso che esista - non è causato dalle attività umane, ma è un fenomeno naturale». A smentire le responsabilità della «società dei consumi» sono pure gli studi di Patrick Michaels, professore dell’Università della Virginia, Dipartimento di Scienze Ambientali: «Nel periodo tra 1905 e 1940, in cui il mondo occidentale viveva le guerre e le crisi economiche con un arretramento dello sviluppo industriale e quindi con miseria, povertà e poche attività umane nei confronti dell’ambiente, la temperatura mondiale è aumentata notevolmente. Invece tra 1940 e 1975, periodo di boom economico con lo sviluppo industriale più importante di sempre, la temperatura è diminuita».
Infine - a proposito dell’autorevolezza dell’Ipcc - va segnalata l’annotazione del professor Paul Reiter: «Si crede che all’interno dell’Ipcc operino i migliori studiosi del pianeta che l’Onu ha messo insieme per studiare il clima. In realtà, spulciando i curricula, si scopre che moltissimi di loro non sono scienziati».
L’ideale per attribuirgli un meritatissimo Nobel. (il Giornale)
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