Cominciano ad essere parecchie le aziende che concedono unilateralmente dei miglioramenti salariali ai propri dipendenti come "acconti" sui futuri aumenti contrattuali. E naturalmente a fare notizia – a partire dalla Fiat – sono soltanto le ditte più conosciute.
C’è da presumere, tuttavia, che altre aziende, magari meno note e site in prevalenza nella ricca e laboriosa provincia padana, abbiano seguito l’esempio di quelle più grandi. Le erogazioni non sono eclatanti al pari dei duecento euro netti che un piccolo imprenditore pastaio delle Marche ha riconosciuto a ciascuno dei suoi quindici dipendenti (sopportando un costo lordo di 360 euro). Si tratta in generale di un assegno mensile di qualche decina di euro (da 30 a 44), sui quali è facile fare dell’ironia (nel caso della Fiat si è evocata l’immagine dei "trenta denari"), dimenticando che un importo siffatto non è di molto inferiore ad una delle rate periodiche in cui solitamente viene suddiviso l’incremento retributivo contrattato nei rinnovi.
Col solito andazzo dei media questi casi vengono a volta sopravvalutati nel loro significato, mentre altre volte li si tratta con eccessiva superficialità.
Sicuramente non siamo vicini ad una svolta epocale nel campo delle relazioni industriali; guai, però, a non cogliere la contraddizione tra una evidente propensione delle aziende a riconoscere degli aumenti contrattuali ai loro dipendenti e l’evidente difficoltà dei soggetti collettivi nel procedere fisiologicamente ai rinnovi dei contratti nazionali.
Del comportamento delle aziende vanno date diverse spiegazioni: da quelle più banali (come il proposito di ammorbidire gli scioperi nella propria realtà e di lavorare il più possibile) a quelle maggiormente qualificate sul piano politico (come la volontà di richiamare l’esigenza di nuove prassi negoziali).
In sostanza, però, emerge la presenza di un malessere nei confronti di regole e comportamenti che non sono più in grado di risolvere i problemi. Sembra invece da escludere l’esistenza di un disegno antisindacale che si concretizzerebbe nel tentativo di dialogare direttamente con i lavoratori, scavalcando le organizzazioni sindacali.
Le imprese che hanno dato l’avvio alla pratica degli acconti sono troppo organiche alla Confindustria per concepire un progetto di emarginazione dei sindacati. Cgil, Cisl e Uil e Confindustria si tengono insieme: simul stabunt, simul cadent.
Il giorno in cui gli imprenditori fossero in grado di risolvere i problemi con i propri dipendenti, anche in viale dell’Astronomia potrebbero chiudere i battenti.
L’impressione più forte, dunque, è quella di una situazione che si sfarina, nella quale ognuno è costretto a fare da sé non per scelta politica, ma per costrizione, dal momento che i grandi soggetti detentori della rappresentanza collettiva non sembrano più capaci di dare risposte adeguate ai problemi. Anzi, si direbbe che sono proprio le aziende a sentirsi più sole.
E’ veramente singolare che il leader degli industriali privati, ormai giunto alla scadenza del mandato, non spenda da tempo una sola parola per tentare un bilancio della sua gestione della Confindustria, ma si comporti, invece, come un Grillo in doppiopetto assistito da gostwriters ben educati, che non usano le parolacce. Se dovesse giudicare, con onestà, la propria stagione a viale dell’Astronomia, Luca Cordero di Montezemolo potrebbe soltanto riconoscere di aver collezionato fallimenti su tutta la linea.
Il programma che lo contrappose ad Antonio D’Amato era di una semplicità estrema: mai più contro la Cgil. Invece, gli è riuscito soltanto di dare confidenzialmente del tu a Guglielmo Epifani. Di riforme della contrattazione neppure l’ombra.
Ma anche sul versante sindacale ci sarebbe da ridire. Le aziende che erogano miglioramenti di stipendio unilaterali sono in prevalenza metalmeccaniche. Se non ci fossero in ballo questioni più serie, verrebbe voglia di suggerire alla Fiom - un’organizzazione sempre pronta a manifestare insieme a tutti i "movimenti" e a giudicare inadeguate e compromissorie le intese approvate da oltre l’80% dei lavoratori e pensionati che hanno partecipato al referendum sul protocollo del 23 luglio – di dedicare maggiore attenzione ai lavoratori rappresentati, a partire dai concreti problemi della loro busta paga, oppressa da un prelievo fiscale e contributivo che è solo l’altra faccia della medaglia di una spesa pubblica in libera uscita, del cui incremento sono certamente responsabili anche le forze politiche e sindacali.
E’ ormai urgente, poi, prendere atto che il sistema delle relazioni industriali non funziona più. Occorre spostare il peso della contrattazione a livello decentrato e realizzare una forte detassazione delle voci che, a livello aziendale, remunerano la produttività e favoriscono la competizione. Solo così il sindacato potrà tornare al suo mestiere. (l'Occidentale)
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