Sono tempi duri per i partiti riformatori in Europa. In Germania, la cancelliera Angela Merkel assiste impotente alla paralisi annunciata della sua Grosse Koalition. In Francia, il presidente Nicolas Sarkozy ha dovuto fare concessioni per sbloccare lo sciopero dei ferrovieri. In entrambi i Paesi la posta in gioco è alta: la capacità di portare avanti le riforme necessarie a mantenere l'economia competitiva. La lezione per l'Italia è che non esistono modelli miracolistici, semmai riforme a cui ispirarsi. E che per il centrodestra è ora di tornare alla rivoluzione liberale e popolare del 1994 di Silvio Berlusconi, e alla forma partito-rete delle origini.
Il sisma politico che ha colpito la Germania è la svolta a sinistra dei socialdemocratici. Il Congresso della Spd di fine ottobre ha segnato una netta sconfitta dei riformisti a vantaggio della sinistra populista del partito. Con il risultato che Franz Muentefering, il più riformista dei socialdemocratici nel governo Merkel, ha dato le dimissioni perché la grande coalizione non è più in grado di lanciare riforme importanti nei due anni che restano prima delle elezioni. Quanto sta accadendo in Germania è normale. La Grosse Koalition funziona nei primi due anni di una legislatura, come motore del cambiamento. Ma, man mano che si avvicinano le elezioni, ciascun partito radicalizza le sue posizioni, fino alla paralisi.
In Francia, Sarkozy ha superato lo sciopero contro l'abolizione dei regimi speciali delle pensioni per i dipendenti delle ex imprese statali. Ma il costo sono concessioni che confermano la sua tattica delle riforme a metà. In questi mesi, Sarkozy ha proposto tante piccole rivoluzioni, salvo fermarsi non appena i sondaggi indicavano un calo della sua popolarità. Ora il pericolo è che la contestazione si allarghi e che Sarkozy decida di negoziare su tutti i fronti, cedendo alla conservazione. Da questo punto di vista è sintomatico il suo discorso davanti al Parlamento europeo, tutto incentrato sulla protezione (al limite del protezionismo) e sulla chiusura. Ma il colbertismo sarkozista non è la soluzione ai mali francesi, è il modo più efficace per aggravarli.
Resta che Germania e Francia stanno meglio di noi. Per quanto in crisi, in due anni il governo Merkel ha rilanciato la crescita, mentre Sarkozy, seppur a metà, ha cominciato a trasformare il Paese. Il governo Prodi, invece, persegue le controriforme in nome di una presunta pace sociale, che in realtà garantisce i privilegi di pochi a svantaggio di tutti. È da qui che parte la nuova stagione di rinnovamento politico inaugurata da Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. Per questo una nuova legge elettorale è necessaria per cancellare un sistema bipolare «bastardo» e delineare un vero bipartitismo maggioritario, fondato sul principio: «o governiamo da soli o con maggioranze davvero coese», purché si ponga fine al «non governo» dell'Italia. Riforme, ma anche partiti nuovi, capaci di intercettare le nuove domande sociali, economiche, ideali.
Su questo nuovo disegno deve riprendere corpo, nel nuovo Partito del Popolo della Libertà, anche la prospettiva riformatrice offerta nel '94 dal miracolo di Forza Italia. In fondo Forza Italia delle origini non era altro che questo: un network con un forte centro, costruito attorno a «reti» economico-associative e a persone di destra e di sinistra - e né di destra né di sinistra, con un semplice programma: cambiare l'Italia.
In un partito-rete i singoli membri sono allo stesso tempo partner e concorrenti. Tramite regole condivise, partito, circoli, movimenti, mettono in comune le risorse necessarie a raggiungere l'obiettivo. Quando il numero dei membri cresce, le risorse condivise sono gestite più efficacemente da un nodo centrale, che svolge anche il ruolo di arbitro.
Mentre il centro deve stimolare la competizione fra i nodi del partito-rete, favorendo lo sviluppo delle singole eccellenze, tutti i nodi del network controllano l'operato del centro. Fuor di teoria il nuovo partito-rete dovrà intercettare, mettendo insieme, tanto il popolo dei gazebi, quanto i partiti, i movimenti che vi intendono aderire. Dovrà essere in grado, proprio grazie alla sua struttura, di capire e governare le grandi trasformazioni che sono intervenute nell'ultimo decennio.
Ma un partito-rete, più di un partito tradizionale, chiuso nella sua ideologia e nella sua organizzazione, ha bisogno di visioni, di programmi, di idee, e di strumenti democratici per la loro elaborazione e la loro sintesi politica. Ha bisogno di gruppi dirigenti aperti e in competizione.
Televisioni, internet, blog, radio, giornali, riviste: la direzione della comunicazione non sarà più solo «verticale», ma diventerà sempre più orizzontale. E i programmi nasceranno dal basso, dai singoli portatori di interessi, dai movimenti, dai partiti, alla pari.
Ecco, questo potrebbe essere la nuova offerta politica del Partito della Libertà: leader e rete; valori, visioni, programmi e comunicazione; capacità di interpretare domande sociali e politiche nuove, diffuse, e inespresse. Tutto il contrario dei partiti tradizionali chiusi, prodotto delle fratture sociali di oltre un secolo fa. Tutto il contrario del neonato Partito Democratico, nato dalla fusione fredda di apparati e oligarchie del passato.
La scommessa di Berlusconi il federatore sembra proprio questa: fare da catalizzatore di una nuova forma partito, hub di reti e di nodi, di movimenti, con il comune obiettivo di cambiare l'Italia. Leader e popolo, leader e rete. E chi ci sta, ci sta. (il Giornale)
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