mercoledì 31 dicembre 2008

Mezzanotte, fra l'Avana e Gaza. Davide Giacalone

In un attimo si consuma un anno, ma la storia rimane talora inchiodata, ignara del tempo. Alla mezzanotte di oggi Fidel Castro conquisterà un record inespugnabile: cinquanta anni di dispotismo personale. Divenne comunista solo per cinico calcolo e per convenienza, in compenso i comunisti del mondo libero e ricco lo hanno osannato, ed ancora si sdilinquiscono, fregandosene del popolo condannato alla fame, degli intellettuali costretti all’esilio, degli omosessuali portati nei campi di concentramento. Il primo gennaio 1959 Castro entrò all’Avana, da quel giorno i cubani liberi ne sono fuggiti, per cinquanta anni.

A fare il percorso inverso, ad approdare a Cuba, sono aerei pieni di ammiratori e profittatori. Militanti di una sinistra cieca ed invecchiata, cui basta riconoscere un anti statunitense per farne un compagno, così trovandosi sempre a tifare per la feccia della storia. Nel sedile accanto ci sono vecchi maiali e stolide babbione, alla ricerca di miserabili con cui sollazzarsi. Accoppiata coerente, per metterla in quel posto al popolo cubano.
Sulla striscia di Gaza i botti son sempre gli stessi. Barak annuncia la voglia di cancellare Hamas. Magari! Lo sperano, per primi, i palestinesi di Abu Mazen. Lo spera Bush, come Obama, l’uno per chiudere e l’altro per aprire. Ma ad impedirlo ci sono i soldi e le armi degli iraniani, e c’è un’Europa che biascica di tregue, incapace di affermare che la sicurezza d’Israele è la condizione senza la quale non ci sarà, mai e poi mai, uno Stato palestinese. Farla finita, con i terroristi al soldo degli stranieri, è interesse del popolo palestinese. Mentre da noi ancora circolano gli imbecilli con la kefiah, alla moda dell’intifada, e la voglia di parteggiare per gli assassini pur di manifestare contro israeliani ed americani.
Per l’ideologia comunista il ventesimo secolo, quello delle grandi dittature, si è chiuso con dieci anni d’anticipo. Grazie al cielo, a Reagan, agli euromissili ed a Wojtyla. Per l’avversità alla democrazia ed alle libertà individuali, alla laicità dello Stato ed alla vitalità del capitalismo, invece, ancora dura. E cerca sponde e forza fra i nemici dell’occidente. Nella giornata degli auguri, me ne preme uno: che la civiltà trionfi ed i fondamentalismi anneghino, portando nell’abisso gli stupidi seguaci.

domenica 21 dicembre 2008

Islam all'attacco? No, noi suicidi. Michele Brambilla

La notizia è identica a tante altre che ci siamo ormai abituati a registrare, ogni anno, nell’imminenza del Natale: a Ravenna 17 asili su 22 hanno proibito il presepe. Identica è anche la motivazione della messa al bando: la volontà di «non offendere» i bambini non cristiani, che poi vuol dire i bambini musulmani, in larga maggioranza tra gli stranieri, anche se in larghissima minoranza tra gli iscritti agli asili. Comunque, per rispetto a quella «minoranza», niente presepe: e quindi anche niente Tu scendi dalle stelle, niente Astro del ciel, niente Adeste fideles, niente recita, non parliamo poi di una messa. È probabile che fra breve venga anche proibito ai bambini di far menzione in classe della scatola del Lego trovata sotto l’albero.
C’è però qualcosa di nuovo, in quel che è accaduto a Ravenna. Questa volta la comunità musulmana, evidentemente stufa di essere poi presa a bersaglio dell’indignazione di quei pochi ormai rimasti a indignarsi, insomma stufa di fare da capro espiatorio, ha fatto sentire la sua voce. «Il presepe non urta nessuno», ha detto Mustapha Toumi, segretario del Centro di cultura e Studi islamici della Romagna, che ha aggiunto: «La natività è il simbolo che spiega la venuta al mondo di Gesù, profeta amato dal popolo musulmano». Parole che sarebbero un’ovvietà, se solo si conoscesse l’abc della religione islamica, per la quale Gesù non è l’Incarnazione di Dio (come credono i cristiani) ma è comunque un grande profeta, secondo solo a Maometto.
Infatti, se è una «novità» la pubblica reazione degli islamici di Romagna, è anche incontestabile che mai abbiamo avuto notizia, negli anni scorsi, di manifestazioni di islamici contro il presepe: siamo sempre stati noi italiani, noi occidentali, noi laici a volerli cancellare dal panorama natalizio. Le uniche proteste contro i simboli cristiani provenienti dal mondo islamico sono venute da quel pittoresco personaggio di Adel Smith, cittadino italiano a tutti gli affetti, figlio di un italiano che si chiama «Smith» solo per via di antenati scozzesi. Quando, il 7 novembre 2001, a Porta a porta Adel Smith insultò il crocefisso («un cadaverino appeso a due legnetti»), la Comunità islamica italiana prese immediatamente le distanze.
Quel che è successo a Ravenna speriamo sia, insomma, la caduta di una foglia di fico, di un’ipocrisia tenuta in vita fino ad ora per occultare la verità: siamo noi che stiamo cercando di spazzare via il cristianesimo dalla nostra cultura e dalla nostra vita. Il «rispetto della sensibilità musulmana» è solo un pretesto, prova ne sia la festa di Ognissanti, altra ricorrenza cristiana ormai di fatto soppressa, e non per favorire la convivenza con altre religioni: è bastato trovare, come succedaneo, un’americanata come Halloween. Certo: il rischio di un’islamizzazione dell’Occidente, denunciato da Oriana Fallaci e da tanti altri, è reale. Ma se ciò avverrà, non sarà perché gli islamici ci avranno ammazzati: sarà perché noi ci saremo suicidati.
Qualcuno ironizza quando la Chiesa cattolica lamenta di sentirsi aggredita e accerchiata per essere ridotta a un ruolo di assoluta marginalità. Ma è un dato di fatto che i mezzi di informazione, la scuola, la politica e in generale tutta la cultura parlano un linguaggio estraneo - quando non apertamente ostile - al cristianesimo. Un fenomeno che non viene negato neppure da chi di questa cultura ormai a-cristiana è portatore. Ma che viene giustificato con la semplice necessità di separare Stato e fede, o con una sorta di autodifesa contro le continue ingerenze della Chiesa in questioni politiche.
In realtà, le «continue ingerenze» - più in materia etica che politica - sono un quasi disperato tentativo di far sentire ancora la propria voce in un mondo che vive neanche più «contro», ma semplicemente «senza» riferimenti al vangelo. La politica non basta a spiegare un’offensiva che ha in realtà radici ben più profonde: le stesse che hanno portato la cristianità, in duemila anni di storia, a essere ciclicamente perseguitata. Non a caso il cristiano crede che la Chiesa sussisterà fino alla fine dei tempi: ma non certo come maggioranza, bensì come «piccolo gregge». (il Giornale)

sabato 13 dicembre 2008

Ma perché le Cooperative fanno anche le banche? Giovambattista Palumbo

Il "prestito sociale" delle Cooperative è un deposito, sotto forma di libretto, che i soci Coop utilizzano sia come bancomat sia come forma di impiego dei propri risparmi. I portatori dei "libretti" Coop sono dunque creditori di una società commerciale in grado, attraverso tale sistema, di poter contare su una riserva di liquidità quasi infinita (oltre che molto conveniente), che viene poi magari reinvestita a tassi anche maggiori, con relativi profitti.

Il prestito "sociale" serve dunque a finanziare l'attività distributiva, che non è però più “sociale” di quella di altre imprese (non cooperative) che operano nello stesso settore.

Allo scorso 31 dicembre, il solo distretto tirrenico delle Coop deteneva depositi, sotto forma di "prestito sociale", per più di 4 miliardi di euro, laddove il totale nazionale dei depositi così raccolti è di circa 12 miliardi di euro. Le cifre danno l’idea anche del peso politico della questione. Insomma perché mai le cooperative che si occupano di grande distribuzione dovrebbero fare anche le banche?

Forse perché così, grazie ai tanti risparmi loro prestati, hanno a disposizione una liquidità continua, il che gli evita anche di chiedere prestiti alle banche a tassi sicuramente più alti (vantaggio ancora più importante in un momento di stretta creditizia come quella che si annuncia)? O forse perché, come detto, poi reinvestono tali risparmi, ricavandone poi ulteriori profitti (che comunque continuano ad andare nel calderone degli utili soggetti alla tassazione agevolata tipica delle cooperative)? E sul lato fiscale?

Sul lato fiscale Tremonti ha finalmente alzato l’aliquota sul prestito soci dal 12,5% al 20%. Sulla questione del resto vi era già l’attenzione della Commissione Europea, che aveva parlato di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Aiuti che, favorendo talune imprese, falsavano o minacciavano di falsare la libera concorrenza. Secondo la Commissione UE, infatti, la deduzione dal reddito imponibile degli utili accantonati alle riserve indivisibili sembra proprio un aiuto di stato, così come il prestito sociale, ossia la riduzione fiscale sugli interessi versati ai membri per depositi a breve termine e la deducibilità dei ristorni, con il rischio dunque di illeciti vantaggi per le grandi cooperative, concorrenti dirette delle imprese commerciali tradizionali. Anche se, come detto, alcuni di tali vantaggi sono stati ridimensionati, restano però tutti gli altri vantaggi legati alla possibilità di avere a disposizione una così grande liquidità a condizioni molto vantaggiose.

Lo strumento del prestito sociale era nato del resto anche come rimedio alla circostanza che, per Statuto, tali Cooperative non possono remunerare il capitale investito dai soci e non possono distribuire utili. Queste due prerogative, anzi, rappresentano una delle peculiarità che giustificano le agevolazioni fiscali. Ecco allora però che con il prestito sociale si assicura ai propri soci almeno un rendimento assimilabile a quello dei Bot (che infatti è preso come punto di riferimento da tutte le Coop nel calcolare il rendimento da assicurare sui prestiti sociali). Ma, a parte il fatto che in questo modo, di fatto, si aggira un divieto statutario, con, oltretutto, il rischio di violazione di principi comunitari secondo il concetto di derivazione giurisprudenziale dell’abuso del diritto, il prestito sociale, come investimento, è almeno sicuro e conveniente?

Parliamo di fatti. Quanto alla sicurezza, la Banca d’Italia ha comunque imposto una clausola di garanzia, per cui le cooperative non possono raccogliere più di tre volte il loro patrimonio (capitale più riserve indivise) e ciascun socio non può prestare più di 25.000,00 Euro.

Il libretto del prestito sociale però non è protetto dal Fondo interbancario di tutela che protegge i conti correnti e i depositi bancari fino a 103.000,00 Euro e niente esclude che anche tali imprese, in teoria, possano fallire (nel settore delle costruzioni è anzi capitato già più volte). Le Coop, quindi, già solo per questo motivo, per compensare cioè il “rischio fallimento”, dovrebbero offrire tassi di interesse superiori rispetto a quelli bancari (come detto, comunque, garantiti). Quanto alla convenienza, con l’innalzamento dell’aliquota sul prestito dal 12,5% al 20%, alla cedola lorda (attualmente, circa, al 3%), a meno che le Cooperative non riescano ad assorbire l’aumento fiscale (cosa peraltro alquanto difficile), si dovrebbe sottrarre il 7,5% e quindi il rendimento netto del prestito sociale, alla fine, sarebbe inferiore anche a quello dei Bot.

Forse dunque sarebbe meglio (per tutti, risparmiatori compresi) che i supermercati tornassero a fare i supermercati (possibilmente senza agevolazioni fiscali contrarie al principio comunitario della tutela libera concorrenza e in violazione della disciplina in materia di aiuti di stato) e che le banche tornassero a fare le banche (nel senso buono del termine, naturalmente; laddove ancora un senso buono esista). (l'Occidentale)

mercoledì 3 dicembre 2008

Blitz al campo Casilino: sequestrato ai nomadi un milione di euro

Vivevano nel campo rom, ma disponevano di appartamenti, auto di grossa cilindrata e 26 conti bancari. Beni mobili e immobili per un valore di oltre un milione di euro sono stati sequestrati ad un gruppo di nomadi provenienti dalla ex Jugoslavia, nel corso di una operazione cominciata all’alba dei carabinieri del Ros nel più grande campo nomadi d’Italia, il Casilino 900. All’operazione partecipano anche reparti territoriali dell’arma e sono in corso perquisizioni con oltre 150 carabinieri. I carabinieri del Ros hanno accertato che il gruppo di nomadi oggetto di indagine, pur vivendo in una baracca, disponeva di appartamenti, auto di grossa cilindrata e 26 conti correnti bancari.
I militari hanno eseguito il decreto di sequestro di beni emesso da tribunale ordinario di Roma su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Le persone indagate, hanno accertato i carabinieri, pur non esercitando attività lavorativa e non dichiarando redditi, disponevano di un patrimonio di ingenti proporzioni e movimentavano somme di denaro di cui non potevano giustificare la provenienza.
Durissimo il commento del sindaco di Roma: “Rivolgo complimenti vivissimi all’Arma dei carabinieri per la brillante operazione portata a termine nel campo Casilino 900. Ma questo intervento getta una luce inquietante sulla situazione che si vive all’interno dei campi nomadi. Scoprire che persone che vivono in una baracca hanno conti in banca e appartamenti di proprietà sparsi per la città, dimostra come su questi temi non si può agire solo sul versante della solidarietà e dell’integrazione. Esiste un problema di legalità che è irresponsabile negare o minimizzare”. “Ecco perchè” conclude Alemanno “con ancor maggiore forza ci impegneremo per lo spostamento del Casilino 900 offrendo una soluzione di vivibilità per tutti coloro che si vogliono integrare e contemporaneamente espellendo tutti coloro che non si dimostrano disponibili a rispettare la legalità”. (Panorama)