martedì 24 gennaio 2012

Il battesimo del vescovo Monti. Arturo Diaconale

Ego te baptizo piscem. Gli antichi vescovi usavano questa formula per trasformare la carne in pesce e consentire ai propri fedeli di rispettare la regola di mangiare di magro di venerdì anche quando non c'era pescato da consumare. I buoni cristiani sapevano bene che la carne battezzata pesce rimaneva carne.
Ma si fidavano dell'autorità dei vescovi che trasformava una bugia in verità incontestabile. Il governo di Mario Monti si comporta come i vescovi medioevali. Usa la sua autorità per spacciare un atto di puro e semplice dirigismo per un atto di liberalizzazione. E sfrutta la circostanza che le forze politiche della propria maggioranza non hanno alcuna intenzione e possibilità di interrompere la sua esperienza alla guida del paese, per spacciare come salvifici e soprattutto liberali atti che non sono né l'uno né, tanto meno, l'altro.
Perché Monti faccia il vescovo d'altri tempi è fin troppo comprensibile. Il governo tecnico non ha grandi margini di manovra. Essendo d'emergenza e destinato ad avere vita breve per la sua stessa natura, non è in grado di rassicurare i mercati. Pur avendo come presidente del Consiglio un personaggio autorevole come Monti, ha alle spalle un paese privo di peso nel contesto europeo dove si gioca la sorte dell'euro e la speranza di uscire dalla crisi.
Sul piano interno, poi, sa bene di camminare su un terreno scivoloso ed in discesa. Il massimo del consenso popolare l'ha raggiunto al momento del suo insediamento. E d'ora in avanti ogni sua decisione destinata ad incidere in qualche modo sugli interessi reali delle singole forze politiche e sociali non può che provocare la progressiva riduzione della quota di consenso.
Per il governo, dunque, il battesimo che trasforma il dirigismo in liberalizzazione è una sorta di scelta obbligata. Che serve a poco ed a nulla sul piano pratico e concreto. Non sarà qualche centinaio di taxi, farmacie ed edicole in più a rivoluzionare la società italiana.
Ma che consente ad un esecutivo di burocrati privilegiati di nobilitare i propri atti e comportamenti con una qualche copertura culturale di vaga ed apparente forma liberale. Si può emettere un decreto legge di liberalizzazione pretendendo che il Parlamento lo accolga senza modifiche e discussione di sorta? Che liberalizzazione può essere quella che fissa quote di mercato, rigidità di comportamenti, obblighi e doveri per i cittadini senza riconoscere loro la libertà di non avere dall'alto imposizioni frutto di criteri oscuri e scelti in maniera autoritaria ? Ma, soprattutto, che razza di liberalizzazioni sono quelli che per diventare operative hanno bisogno non di smantellare strutture burocratiche pesanti e costose ma di mettere in piedi nuovi e più giganteschi organismi fatti di pletore di burocrati che aumentano il carico ed i costi della burocrazia pubblica? Per capire come il governo Monti stia spacciando per pesce liberalizzato della carne rigorosamente dirigista basta riflettere sul fatto che mentre si chiede a tassisti, farmacisti, edicolanti, professionisti di rinunciare a qualche privilegio di categoria, si crea una super-authority delle reti che dovrà inglobare quella dell'energia e darà vita ad un ennesimo carrozzone a beneficio della casta di burocrati privilegiati che la dovranno occupare e gestire.
Ma si può con la mano destra "liberare" i cittadini dal peso della ridotta concorrenza esistente all'interno di alcune categorie ed appesantire gli stessi cittadini dell'ennesima escrescenza burocratica destinata ad avere, come tutte le altre del suo genere, costi eccessivi e totalmente ingiustificati? Si dirà che non è una Authority in più o una in meno a risolvere i problemi del paese.
Il ché è vero così come non è imponendo sacrifici particolari a categorie marginali che si ottiene lo stesso risultato. Ma spacciare per liberalizzazione il più evidente dirigismo è un atto particolarmente inquietante. Dimostra che il governo tecnico non è solo modesto e limitato ma è solo la riedizione in peggio dei tanti governi dirigisti che si sono succeduti in Italia per tanti decenni.
Con i risultati disastrosi sotto gli occhi di tutti! (l'Opinione)

lunedì 16 gennaio 2012

Se il governo dei prof si fa illudere dalle idee di sinistra. Claudio Romiti

Molti liberali di questo disgraziato Paese devono essere letteralmente rimasti scioccati dalle continue perorazioni dell'attuale premier in favore di un sistema fiscale che oramai estorce ben oltre metà della ricchezza nazionale. Personalmente, pur avendo in passato nutrito una certa diffidenza per alcune posizioni, a mio avviso, eccessivamente astratte del professor Monti, non credevo che costui in termini di tasse avrebbe fatto proprie, una volta entrato nella stanza dei bottoni tutte quelle pericolose illusioni ottiche della sinistra più retriva.
In particolare, il capo del governo ha rispolverato l'esortazione dalemiana a pagare tutti per pagare meno, il falso sillogismo secondo il quale più si versa nelle casse dell'erario e più migliorano i servizi offerti dalla mano pubblica e l'idea sballata, forse l'aberrazione più grave per un liberale, secondo la quale se si colpisce a tappeto l'evasione, nell'ambito di un sistema connotato da una fiscalità elevatissima, il gettito aumenta in modo proporzionale al maggior imponibile fatto emergere.
In realtà, al di là della mera propaganda politica, l'esperienza ci dice che nessuna di queste tre proposizioni possiede un briciolo di verità, soprattutto se confrontata con gli andamenti storici della nostra finanza pubblica. In primis, negli ultimi decenni le entrate fiscali sono cresciute regolarmente senza soluzione di continuità -pensiamo che negli anni sessanta, in pieno boom economico, lo Stato esercitava un prelievo percentalmente dimezzato rispetto ad oggi - eppure ciò non ha prodotto un alleggerimento dei ceti maggiormente gravati dalla pressione fiscale.
L'unico effetto che l'aumento del prelievo medesimo ha prodotto è stato quello di aver fatto lievitare in modo incontrollato la spesa pubblica. Per quanto riguarda, invece, il secondo punto, come giustamente ha sottolineato Oscar Giannino in una recente puntata di "Matrix", i cittadini italiani non si bevono più la panzana di una correlazione perfetta tra somme versate e benefici pubblici ricevuti.
Quest'ultimi capiscono fin troppo bene che buona parte dei quattrini rastrellati dall'erario finiscono per alimentare una serie infinita di greppie burocratiche e di carrozzoni improduttivi i quali, soprattutto da noi, rappresentano un ambito posto al sole per molti parassiti protetti da una politica compiacente.
Infine, in merito alla lotta all'evasione, questione più etica che economica, appare piuttosto grave per un illustre accademico non capire che i suoi eventuali effetti sul gettito complessivo non possono basarsi sui classici conti della serva, come si suol dire. Infatti, quando i vari teorici dello Stato massimo, nelle cui file si è arruolato anche il buon Monti, calcolano le eventuali somme derivanti dalle teorica possibilità di colpire l'intero imponibile sommerso, sommano poi le stesse a quanto la mano pubblica già preleva.
Ma le cose non stanno affatto in questi termini. Infatti, anche se ciò viene spesso sottaciuto, anche i cosiddetti evasori pagano il loro carico di tributi, magari sotto forma di imposte indirette e di altri balzelli più o meno occulti. E le pagano eventualmente ultilizzando proprio quelle somme che in qualche modo sono riuscite ad occultare al fisco rapace in prima battuta.
Questo avviene perchè nel nostro sistema la mano pubblica possiede una vasta gamma di griglie di lettura per colpire innumerevoli volte ogni aumento e/o passaggio di ricchezza. Ciò comporta però, ed in questo sta l'idiozia di chi vorrebbe sommare i proventi della lotta all'evasione al gettito ufficiale, il fatto che se colpisce la medesima ricchezza a monte con aliquote eccessive si perde l'effetto moltiplicatore che la medesima evasione determina restando nel ciclo economico.
In altre parole, abbattere del tutto la cassa di compensazione del sommerso non può che produrre una ulteriore diminuzione dell'attività economica in generale, con le inevitabile conseguenze sul piano delle entrate pubbliche. Insomma, per concludere, l'unica strada per aiutare il sistema a crescere, migliorando il bilancio pubblico, è quella che conduce ad una sostanziale taglio della spesa pubblica corrente e, di conseguenza, ad un pari abbattimento della pressione fiscale.
Una strada, occorre dolorosamente ammetterlo, assolutamente sconosciuta agli accademici al potere. Per questi celebrati professori l'idea di pagare meno per convincere tutti a pagare somme ragionevoli non sembra passare nemmeno per l'anticamera del cervello.(l'Occidentale)

martedì 10 gennaio 2012

Se il pericolo è l'arroganza. Arturo Diaconale

Mario Monti è convinto che in due mesi di attività il suo governo sia riuscito a riparare i guasti provocati da trent'anni di errori compiuti da tutti i governi che lo hanno preceduto. E, soprattutto, abbia saputo far recuperare all'Italia quella credibilità europea ed internazionale che aveva perso fin dai tempi della Prima Repubblica.
Purtroppo non è proprio così. L'unico recupero tangibile effettuato da Monti è l'arroganza professorale che aveva prima di entrare a Palazzo Chigi e che nelle prime settimane di attività da Capo del Governo era stata comprensibilmente soffocata e nascosta dalla umana titubanza nel ritrovarsi alla guida del paese per grazia presidenziale ricevuta.
Per il resto lo spread alto indica che la strada verso il pieno ritorno della credibilità internazionale è ancora molto lunga. Che l'azione di risanamento è appena agli inizi. E, soprattutto, che l'arroganza professorale recuperata da Monti e dall'intero suo governo grazie alla delega in bianco data loro da forze politiche delegittimate da anni di campagne mediatiche squalificanti, rischia di diventare il principale ostacolo all'azione dell'esecutivo tecnico.
In attesa che i partiti tornino ad avere un minimo di iniziativa politica, in sostanza, il vero pericolo per Monti viene da Monti stesso. Cioè viene da quella singolare presunzione di infallibilità manifestata quotidianamente dal Presidente del Consiglio - professore e dai suoi ministri che porta il governo a sopravvalutare sempre e comunque il valore ed il significato tecnico immediato dei propri atti senza minimamente considerare le consegue politiche e sociali che tali atti possono produrre sulla società italiana.
Il blitz dell'Agenzia delle Entrate di Cortina è un classico esempio di questo errore di presunzione. Monti ha difeso a spada tratta il rastrellamento di presunti evasori effettuato durante le vacanze natalizie nella valle ampezzana all'insegna della sacralità della lotta all'evasione.
Il ché è formalmente e tecnicamente giusto. Ma non ha calcolato gli effetti a breve ed a medio termine di una operazione che non puntava a scoprire cinquanta o cento evasori ma a lanciare all'intero ceto medio italiano l'ammonimento che la musica è cambiata e che è arrivata l'era della severità fiscale.
Il blitz cortinese ha prodotto il sostanziale fallimento dei saldi d'inizio d'anno. Il suo messaggio didattico è stato interpretato come una minaccia non nei confronti degli evasori ma di tutti i cittadini. Chi osa più, se non i ricchi stranieri, entrare nei negozi di qualità e ad alto prezzo? Chi mette piede senza un briciolo di timore negli alberghi a cinque od a quattro stelle? Chi si azzarda ad entrare in una agenzia di viaggi per programmare una settimana o più di vacanza oltre il perimetro cittadino? E chi si avvicina a cuor leggero ad un qualche autosalone per ammirare una qualche vettura di grande cilindrata divenuta ormai, grazie alla solerte azione di tecnici in preda alla sindrome dell'infallibilità, il simbolo del male e del vizio italici? Un conto, allora, è fare la lotta all'evasione.
Un conto è invece fare la stessa lotta in maniera arrogante, sbagliata e controproducente. Lo stesso vale per le tanto strombazzate liberalizzazione. Che se venissero effettuate con la solita presunzione di infallibilità potrebbero tradursi in un nuovo messaggio terroristico nei confronti di alcune categorie di cittadini.
L'idea di moltiplicare i posti di lavoro aumentando il numero delle licenze dei taxi, consentendo ai parafarmacisti di aprire i loro negozi, eliminando la tariffe professionali degli avvocati o allargando agli impiegati comunali le prerogative dei notai è, in se, sacrosanta. Ma va realizzata con accortezza.
Evitando che le liberalizzazioni smantellino le sicurezze di alcune categorie moltiplicando non il lavoro e la ricchezza ma la precarietà e la povertà. Monti, in sostanza, deve guardarsi dalla propria arroganza. E le forze politiche dovrebbero aiutarlo ad essere più umile ed attento.
Per il suo ed il loro bene! (L'Opinione)

10 gennaio 2012

Consapevole come sono di indulgere troppo sul personale, vi racconto lo stesso questa perché Franca sta attraversando un periodo di forma smagliante. E’ superattiva, organizza la casa, ha organizzato il Natale, i regali, disfatto l’albero, sta già programmando la Pasqua, paga le bollette, telefona a tutti e ieri mi fa: finite le feste, adesso dobbiamo razionalizzare i conticini in banca, chiamare il geometra per i lavoretti in campagna, prendere anche noi un iPad, perché basta con questa caterva di soldi per i quotidiani, trovare un bravo dentista convenzionato, dal momento che l’Inpgi non rimborsa più un accidente, bisogna cambiare il contratto con Tim, ricontrattare il mutuo, eliminare un paio di carte di credito completamente inutili e varare finalmente quel contratto di lungo noleggio per la macchina di cui tu parli sempre senza farlo mai. “Ma tu sei la mia Passera!”, le ho detto. Si è offesa.

venerdì 6 gennaio 2012

Equitalia, un problema economico e politico. Raimondo Cubeddu


Che la doverosa necessità della lotta all'evasione potesse dar vita ad una legislazione vessatoria nei confronti di chi al fisco ed alle sue scadenze non può sfuggire era un pericolo al quale era possibile sottrarsi. Tuttavia, per quanto non fosse difficile da prevedere, che la miscela tra il pagare subito quanto richiesto da Equitalia, l'attesa di rimborsi da parte dello stato e le lungaggini che ormai caratterizzano ogni rapporto con l'amministrazione pubblica, avrebbe potuto avere effetti 'esplosivi', lo si è trascurato. E ad allarmare non dovrebbero essere soltanto quei pacchi bomba inviati a dipendenti di Equitalia (che purtroppo fanno tornare alla mente i tempi in cui quello di riscuotere le tasse era un mestiere pericoloso), ma anche il numero di imprenditori che si son tolti la vita e che sono falliti perché lo stato pretende subito i crediti ma trascura di pagare i debiti.

L'ulteriore errore, in questo difficile momento, sarebbe di ridurre quello che è un problema politico-economico ad un problema di criminalità. Di fatto ci si trova di fronte ad una situazione di crisi politica, sociale ed economica in cui l'aumento della già alta fiscalità si sta aggiungendo a quelle altre tasse che sono l'inefficienza della burocrazia e la lentezza della giustizia amministrativa e civile. Le responsabilità non sono ovviamente del governo Monti, ma il rapporto di reciproca fiducia tra individui e stato, fondamento di uno stato di diritto e di ogni progresso economico e sociale, deve essere ristabilito quanto prima. Con misure politiche.

Questi problemi di politica interna si aggiungono al delicato rapporto coi sindacati, coi partiti che sostengono il Governo e al fatto che per smentire definitivamente la voce di essere stato voluto dalla Merkel, Monti dovrebbe avere un atteggiamento politicamente più trasparente riguardo alle trattative sulla progettazione e realizzazione della riforma dell'Ue con le quali si gioca il futuro dell'Italia. L'errore maggiore potrebbe così rivelarsi quello di sottovalutare le motivazioni del disagio sociale, l'influenza su di esso dell'inefficienza della macchina pubblica e di pensare che sia i problemi interni sia quelli internazionali possano essere affrontati anche senza un ampio dibattito che deve aver sede anzitutto in Parlamento.

Si tratta di ridisegnare, in fretta ma bene, tanto il rapporto tra individuo e stato, quanto quello tra Italia ed Ue. E bisogna iniziare a farlo tenendo presente che sono due problemi che non possono essere separati e che occorre evitare che la sfiducia nei confronti dei politici si trasformi in sfiducia nei confronti dello stato. (Unione Sarda)

martedì 3 gennaio 2012

Una voce fuori dal coro Stampa E-mail
Scritto da Lorenzo Matteoli   
lunedì 02 gennaio 2012
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Luca Ricolfi
Nella corale agiografia montiana che appesantisce la stampa italiana La Stampa di Torino, in una curiosa e significativa antitesi, pubblica un fondo di Luca Ricolfi dal titolo Come ragiona la mente dei mercati che pone tre domande alle quali l’autore dice di non saper rispondere, ma alle quali poi risponde con molta chiarezza.
In effetti le domande sono dieci e le implicazioni sono durissime: il rigore analitico di questo professore è cristallino. Il messaggio per Monti è un richiamo severo al rigore effettivo e non solo parlato. Ecco le domande:
Domanda numero 1:
Perché la sostituzione di Berlusconi con Monti, nonostante la indubbia maggiore credibilità internazionale di quest’ultimo,  si è accompagnata ad un aumento dello spread anziché a una sua diminuzione?
Domanda numero 2:
Se la ragione per cui il nostro spread non scende è davvero la riluttanza delle autorità europee a irrobustire il fondo salva-Stati perché lo spread della Spagna oscilla senza una netta tendenza all’aumento o alla diminuzione, mentre il nostro mostra una chiara tendenza all’aumento?
Domanda numero 3:
Perché la situazione relativa di Italia e Spagna si è deteriorata drammaticamente nelle ultime quattro settimane, che hanno visto il nostro spread rispetto alla Spagna passare da 66 punti base a 174?
Ricolfi disaggrega le tre domande in altre dieci domande e fornisce una serie di ipotetiche risposte delle quali l’ultima è una sintesi molto franca, per non dire impietosa:
Forse, scrive Ricolfi,  se i mercati hanno punito l’Italia non è nonostante la manovra di Monti, ma – in un certo senso – a causa di essa. La credibilità di Monti, la sua serietà, il suo coraggio non sono bastati per la semplice ragione che i mercati hanno colto l’impianto recessivo della manovra, nonché il carattere tuttora evanescente della cosiddetta “fase 2” quella che dovrebbe rilanciare la crescita
In termini di grande pacatezza e moderazione e sulla base del suo solido profilo di competenza, come nel suo stile, Ricolfi denuncia con molta franchezza le contraddizioni del decreto dovuto che a fronte di alleggerimenti fiscali sulle imprese per 2,5 miliardi comporta anche aumenti dei costi di produzione per i lavoratori autonomi e le imprese, come la maggiorazione delle quote contributive, le nuove imposte sugli immobili, e gli aumenti del costo dell’energia.
Il governo del prof. Monti deve uscire dal compiacimento accademico e deve smettere di camminare sulle uova per paura di rompere qualche radicato privilegio e di disturbare la resistenza corporativa della casta sindacale e degli altri negativi poteri del sistema Italia. Ha un mandato ampio: fare uscire il paese dall’emergenza. Ha una maggioranza parlamentare granitica. Gode di corale appoggio della stampa. Faccia. Non possiamo rischiare il fallimento per eccesso di credibilità. (Legno Storto)