giovedì 29 settembre 2011

I tre omissis dei vescovi e una proposta. Marcello Veneziani

Condivido l'appello dei vescovi alla sobrie­t­à e all'aria pulita. Aggiungo solo tre corol­lari omessi e una riflessione sul futuro. Uno, magari il degrado denunciato dai vescovi si po­tesse circoscrivere a una persona, fosse pure il premier, e a una fase, i nostri giorni. Purtroppo il degrado è più radicale, più diffuso, più stagio­nato. Due, ma l'uso pubblico della vita privata, la pubblicazione amplificata di deplorevoli ri­svolti dell'intimità e infine l'incitazione all' odio, non hanno gravi corresponsabilità nel degrado morale e civile del Paese?

Tre, ma chi dovrebbe«purificare l'aria»,la sinistra di Pena­ti e Vendola, i comitati d'affari che si vedono all' orizzonte, i tifosi di Zapatero, dell'aborto e del­le unioni gay? Lo dico dal vostro punto di vista. Senza togliere una virgola alla denuncia, sareb­be stato più onesto e veritiero aggiungere an­che questi tre aspetti. La riflessione, invece, ci sposta sull'agire po­litico. Con l'estrema unzione dei vescovi, si è completato il pronunciamento delle vecchie zie, o «poteri forti», compatti contro il governo Berlusconi. È già accaduto in passato. Ma ha senso spostare la partita politica sul terreno personale, in difesa del privato? Ha senso gio­care la partita soli contro il resto del mondo, non avendo più il vasto consenso popolare e con il fiato di Bossi sul collo? Lasciate che io dis­senta e dica: meglio annunciare che a fine legi­slatura si chiude un ciclo, puntare a concluder­lo degnamente per il bene dell'Italia, e poi ri­partire dalla politica. Cioè da zero. (il Giornale)

giovedì 22 settembre 2011

Come leggo i giornali. Uriel Fanelli


Il Corriere della Sera.

Il Corriere della Sera e' governato da quelli che in Italia vengono considerati "i salotti buoni della finanza". In particolare, si tratta di Gemina e altri. Per fare un elenco, Unicredit, Assicurazioni Generali, Mediobanca, Benetton Group (Sintonia) , Schroder, Oxburgh, Deutsche Investment Management Americas, BPM Gestioni SGR e Eurizon. In dettaglio:

Al 10 febbraio 2010, l'azionariato di RCS MediaGroup S.p.A., aggiornato secondo le comunicazioni pervenute alla Consob, è così composto :
Come potete vedere, ci sono praticamente tutti i grandi finanzieri italiani. Di conseguenza, si tratta del giornale che e' portavoce, per forza di cose, delle istanze della finanza. Esse sono un pelino diverse da quelle di Confindustria, perche' la finanza appare un pelino piu' "popolare", cioe' sembra meno orientata ai "padroni" e piu' alle persone.
Ma questo e' dovuto essenzialmente al fattore trainante della finanza italiana: l'immobiliare , il credito al consumo e la cartolarizzazione dell'economia.

martedì 20 settembre 2011

Il vero conflitto di interessi in Italia va cercato nei giornali. Daniela Coli

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l'Occidentale - Pochi storici e politologi si sono resi conto che dalla metà degli anni ’70 la vita politica italiana non è stata diretta dai partiti e da leader, ma da tre giornali amici: il Corriere, la Repubblica e la Stampa. Tra giornali legati insieme da un enorme conflitto di interesse che nessuno dei più battaglieri giornalisti contro Berlusconi ha mai rivelato. La famiglia Agnelli, proprietaria della Stampa, a metà anni ’70 divenne anche azionista di maggioranza di Rcs, e Antonio Caracciolo, azionista di maggioranza del gruppo Espresso da cui nacque nel 1976 Repubblica, diretta da Scalfari, era il fratello maggiore di Marella Caracciolo, la moglie di Gianni Agnelli. Tutto in famiglia, anche se all’insegna della condanna del familismo amorale italiano, dell’etica e della modernità. Sulla lobby responsabile di questo gigantesco conflitto, che con un solo articolo faceva dimettere un governo durante la prima repubblica (Craxi resistette e fu subito disegnato come Mussolini da Forattini) e ha decapitato la prima repubblica, nessuno dei più inflessibili giornalisti del Corriere ha mai scritto una parola. Nemmeno Sergio Romano, che lanciò la campagna sul conflitto di interessi di Berlusconi. Attento conoscitore della vita politica americana, Romano sapeva bene cos’era un conflitto di interesse e scrisse una serie di articoli indignati contro il tycoon televisivo che voleva farsi premier, ma non ha mai scritto un rigo sul conflitto Agnelli-Caracciolo, al cui confronto quello del Cavaliere era insignificante. Un conflitto che non è solo politico, ma economico, finanziario, per i rapporti del gruppo Fiat con la finanza internazionale.
Questo conflitto rappresenta una potente Lobby economica-finanziaria e politico-culturale, i cui interessi hanno poco a che fare col bene del “Paese” come il Corriere, la Stampa e Repubblica chiamano l’Italia. E’ una Lobby senza preferenze politiche e ideologiche: usa indifferentemente come camerieri e maggiordomi partiti e politici diversi per i propri interessi. Agnelli ha avuto un ottimo rapporto col Pci, perché era nell’interesse della Fiat ottenere finanziamenti pubblici dallo Stato italiano e quindi qualsiasi attacco del Pci ai vari governi democristiani e di centrosinistra era benvenuto per le casse della Ditta. Il Pci non si è neppure accorto di essere stato espropriato dell’egemonia culturale da Repubblica, un vero e proprio partito, che ha sostituito l’Unità tra i militanti della sinistra come l’Espresso ha sostituto Rinascita. Dopo il ’92-93 la linea all’ex Pci la dettano Repubblica e il Corriere. Nessun partito socialista europeo è stato condizionato come la sinistra italiana da una lobby estranea al partito e i più forti paesi europei hanno democrazie solide, dove i governi durano cinque anni e dove a nessun giornale verrebbe in mente di far dimettere un premier o un cancelliere con una campagna giornalistica: non sarebbe possibile. Qui sta l’anomalia italiana.
È comprensibile che Berlusconi sia stato visto dalla Lobby che decideva i destini dell’Italia come un contropotere e sia stato combattuto fin dall’inizio, incastrandolo col conflitto di interesse e col famoso avviso di garanzia pubblicato da Mieli sul Corriere, mentre il Cavaliere presiedeva il G8 a Napoli nel novembre ’94. Berlusconi tornò al governo nel 2001, perse nel 2006, rivinse le elezioni nel 2008, ma la Lobby di Repubblica, il Corriere e la Stampa si ostina a parlare di ventennio berlusconiano. È comprensibile che si sia tentato di fare fuori Berlusconi: per la prima volta in Italia è nato un contropotere deciso a fare funzionare la democrazia rappresentativa e a governare cinque anni, come in tutte le democrazie occidentali.
Per eliminare Berlusconi si è creato un nuovo ariete: i magistrati. Erano serviti per fare fuori con una campagna giudiziaria-mediatica i partiti della prima repubblica e i magistrati sono rimasti gli alleati più fedeli della Lobby, mai scalfita da un’indagine e alla quale sono sempre stati serviti su un vassoio di argento avvisi di garanzia e intercettazioni contro destra e sinistra, quando fa comodo agli interessi della Ditta. La Lobby si definisce anglofila, addita l’Inghilterra come modello, ma Murdoch è stato travolto dalle intercettazioni dei suoi tabloid e la polizia inglese adesso vuole anche sapere come il Guardian è entrato in possesso delle intercettazioni di News of the World.
I giornali della Lobby danno all’estero l’immagine dell’Italia e hanno un complesso serraglio di grandi firme, ognuna delle quali ha un diverso referente politico, e ognuna ha il suo posto nell’orchestra: chi strizza l’occhio alla destra postfascista pubblicando quotidianamente qualche dettaglio della storia del fascismo, perché, si sa, niente è più inedito dell’edito, chi fa il paladino della destra liberale e ci ricorda con gli economisti classici messi in soffitta da Schumpeter l’importanza dell’egoismo per il capitalismo, chi si batte il petto disperato perché in Italia, ahimè, non c’è né la destra, né la sinistra e la colpa è tutta dei falsi invalidi, naturalmente. Poi c’è Sartorius che se la prende col sultano, Stella e Rizzo che incalzano contro la Casta (dagli idraulici ai taxisti ai politici) e Magris, ma per Magris basta il nome, no? Tutte quelle figurine Panini che aveva tanto bene descritto Edmondo Berselli. Quante cose aveva capito Edmondo, che qualcuno all’Occidentale considera un nemico: averne di nemici come Edmondo! Aveva capito che Dagospia, da cui oggi attingono a piene mani Mauro, Flebuccio, Marione e le procure – ormai un’appendice di Dago (e chissà quanto si divertirà Cossiga dall’al di là a vedere i magistrati affannarsi a consultare Dagospia, la sua creatura) – era il teatrino più adatto per inquadrare Marchionne, ribattezzato Marpionne, che “gioca certe sue indecifrabili strategie all’interno della famiglia Agnelli, e potendo dà una gomitatina a Montezemolo”.
La debolezza italiana, l’anomalia italiana sta proprio in questa Lobby che impedisce alla politica italiana di comportarsi come quella inglese, francese, tedesca e spagnola, che ultimamente ha riscritto la Costituzione insieme, destra e sinistra. La Lobby sempre indignata con il “Paese”, perché non ci sono gli “Italians” (e neppure quelle belle cerimonie e tutti quei bei cappellini della regina, né William e Kate e neppure Carlo e Camilla), è riuscita perfino a dare lezioni di patriottismo con i 150 anni sbandierati ogni giorno (signora mia, non c’è più un Cavour! Se ci fosse lui!) per tenere l’Italia sotto e farla diventare il fanalino di coda dell’Occidente, diffamarla, tenerla sospesa, perché, cavolo!, non è l’Inghilterra e gli italiani sono così cialtroni, mafiosi, ladri e puttanieri, a cominciare dal Berlusca, così arcitaliano…. Per questo, non solo Berlusconi, ma anche il centrodestra va abbattuto, la sinistra basta un tozzo di pane per tenerla al guinzaglio.
Questa è l’Italia della Lobby, sbeffeggiata dall’Economist, la Bibbia della Lobby. Davvero ci vorrebbe un Principe, come chiedeva Machiavelli: ci vorrebbe la politica, tutta, di destra e di sinistra, che alzasse la testa e decidesse di riscrivere il patto per l’Italia. Tory e whig, dopo una lunga guerra civile, riuscirono insieme a fare giurare al re fedeltà al parlamento e a prendere il destino dell’Inghilterra nelle loro mani. Chissà se la politica italiana riuscirà mai ad alzare la testa e a prendere in mano il destino del paese. Se non lo farà sarà decapitata tutta, perché la Lobby è uno stato nello Stato, un governo ombra con i suoi ministeri e ministri, i suoi ambasciatori, le sue spie, e ha il suo esercito di magistrati che quando vuole e come vuole scaglia contro la destra e la sinistra. Ci sono momenti in cui nella vita di uno Stato la classe politica deve decidere se farsi annientare o alzare la testa e decidere se è capace di esistere. È il caso di dirlo: se non ora, quando?

venerdì 16 settembre 2011

L'uovo di giornata

Repubblica passa all'audio in nome della (sua) legge

Repubblica ha fatto un nuovo salto di qualità: ha messo sul suo sito l'audio integrale di una telefonata tra il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e Walter Lavitola. Non bastavano, anticipazioni, trascrizioni, sbobinature, variazioni sul tema: ora abbiamo la viva voce del premier incisa per sempre nella vastità della rete.
Quella telefonata non dovrebbe esistere: non doveva essere registrata, se registrata non doveva essere sbobinata, se sbobinata non doveva essere diffusa e pubblicata. Invece non solo esiste, non solo è stata trascritta, ma per il godimento del pubblico e dell'inclita, è ora a disposizione in stereofonia.
Una così palese violazione delle regole, specie nei confronti di un capo del governo democraticamente eletto, in qualsiasi paese produrrebbe un terremoto di sdegno contro i giudici, contro i giornali, contro il sistema mediatico-giudiziario. Qualcosa del tipo di quello che è accaduto a News of the World e a Rupert Murdoch  in Inghilterra.
In Italia quella telefonata rubata è invece oggetto di delizia su Facebook, mentre Repubblica che ne ha deciso la diffusione consolida il suo status di unica paladina della libertà di stampa, della pubblica legalità e del sacro fuoco del giornalismo d'inchiesta.
Nessuno si chiede come Ezio Mauro abbia messo le mani su quel nastro che non dovrebbe esistere: attraverso quali amicizie, quali alleanze, quali scambi di favori, quali omissioni. No, Repubblica è impegnata a salvare l'Italia dal caimano e tutto le è concesso.
Ci può stare: siamo arrivati ad un punto in cui nessuno si scandalizza più di nulla e tutte le regole sono saltate con il plauso generale. Una cosa resta davvero inspiegabile: che in Italia gli unici indagati per violazione del segreto istruttorio per aver pubblicato una intercettazione telefonica siano Silvio Berlusconi e l'allora direttore del Giornale, Maurizio Belpietro. (l'Occidentale)

martedì 13 settembre 2011

ArchivioAndrea's Version

13 settembre 2011

Sì, figurarsi, non sono mica scemi, mica ci credono davvero. Mica ci crede la Barbara Spinelli, quando suona la cetra per Eugenio Scalfari manco fosse un pensatore due spanne sopra Heidegger, lo sguardo lungo, la morale lassù in cima, l’occhio che scruta passato e presente, e tutto questo, scrive, anzi, suona lei, nonostante che il corpo di lui appaia ben più giovane di quello di Ganimede. E’ evidente che la Spinelli finge. E mica crederete che creda davvero a quel che scrive, Ezio Mauro, il quale si sobbarca ogni giorno la fatica di spiegare come e qualmente, se un orso bianco si trova a disagio nell’attuale calotta polare, ciò dipenda senz’altro dal fatto che Berlusconi scopa. E a non parlare di Michele Serra, beato lui, che sgrana gli occhioni e mostra d’indignarsi come il primo giorno ogni volta che gli insinuano il dubbio di una sinistra capace di spendere perfino oltre i proventi da salamella. Ma no, non sono fessi, date retta, mica ci credono. Non si dice mentire, recitano solo un po’, dissimulano. Come dire? La fabbrica del fingo. (il Foglio)

domenica 11 settembre 2011

Capire Berlusconi. Gianni Pardo

  

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La stampa offre due articoli preziosi per capire il fenomeno Berlusconi. Angelo Panebianco imputa al Cavaliere un difetto caratteriale che è l’opposto di ciò che si è sempre detto in giro. La vulgata ha sempre sostenuto che Berlusconi non ascolta nessuno; che è circondato da una corte di servi sempre pronta a dire di sì; che lo stesso Pdl è un partito senza democrazia interna, dove non si ha diritto di dissentire e si fa solo ciò che dice il Capo. Ora Panebianco - non in  una frase di passaggio, ma in un intero articolo - sostiene ripetutamente e vigorosamente la tesi opposta: il difetto di Berlusconi è quello di non saper comandare.
“Il vero vizio d’origine di questo governo consiste nella incapacità dimostrata da Berlusconi, in questa esperienza di governo, come, del resto, nella precedente (quella del 2001/2006), di imporre una propria egemonia sulla compagine governativa nel suo complesso e, di riflesso, sulla maggioranza”. Dunque egli non comanda né a Palazzo Chigi né nel Pdl. Le stesse esitazioni sul contenuto della manovra nascono dal fatto che non l’ha decisa o imposta lui, ma ha lasciato fare, fino al caos che abbiamo visto. Come se non bastasse, la maggior parte dei provvedimenti, essendo di sapore nettamente socialista, sono stati contrari alle sue idee: “cosa c’entrano quelle cose con Berlusconi, con ciò che lui è, e con l’elettorato che lo ha fin qui seguito? La risposta è facile: nulla, assolutamente nulla. Eppure, è stato proprio il governo Berlusconi a proporle”. Il governo nel suo complesso, dunque, non certo chi ne presiedeva le riunioni. Dov’è dunque finito l’autocrate di Arcore, l’uomo che è sembrato essere, da solo, la causa e l’origine di tutto, quello alla cui volontà si inchinava l’intera Italia, tanto che il suo regime è stato paragonato ad una dittatura morbida?
La colpa è comunque sua: “Berlusconi ha sottovalutato, fin dall’inizio della sua esperienza, il fatto che avrebbe dovuto costruire «anticorpi» in grado di assicurargli una autentica egemonia sul governo”. Fa proprio effetto, dopo anni ed anni di accuse in un senso,  vedere accusare qualcuno del suo assoluto, incompatibile contrario.
Panebianco tuttavia non delira e fornisce a prova della sua tesi il rapporto con Giulio Tremonti. Si sapeva sin dall’inizio che l’amico aveva idee vagamente “socialiste”. Le sue proposte “di sinistra” non sono stupefacenti e la colpa di Berlusconi è presto descritta: “Anziché fare del ministro dell’Economia, come di solito avviene, un proprio collaboratore in materia economica, egli accettò che Tremonti ne diventasse il dominus”; “solo in extremis, sfruttando le pressioni della Banca centrale europea e le sollecitazioni del presidente della Repubblica, Berlusconi sia riuscito a recuperare un certo personale controllo sulla manovra”. E allora bisogna chiedere agli italiani: troppo comando o troppo poco comando? Collaboratori servi o collaboratori riottosi? Berlusconi dittatore o Berlusconi testa di turco?
Il secondo articolo, di Francesco Verderami, si segnala invece perché ci mostra che cosa ha imparato il Cavaliere in materia di politica. Pare che la diplomazia segreta del Terzo Polo e del Pd abbia seriamente proposto a Berlusconi il classico “passo indietro” per formare un nuovo governo senza di lui, pur consentendogli di designare il nuovo Premier. Qualcuno dunque pensa che sia ancora l’uomo del 1994 ed ha dimenticato che Silvio forse è un ingenuo ma non è uno stupido. Ciò che gli si propone l’ha già vissuto nel 1994 e non ha dimenticato né l’inganno di Scalfaro né il distacco di Dini. Chi abdica è spesso tradito da chi gli subentra sul trono.
Ma c’è di più. Lo scopo sarebbe stato quello di consentire la nascita di un nuovo governo “per portare a compimento la legislatura e garantire il traghettamento del Paese verso la «terza Repubblica» con una serie di riforme strutturali sul versante economico e su quello istituzionale”. Una serie di riforme? Ma quali, esattamente? E con quale preciso contenuto? E quale garanzia si potrebbe mai fornire sulla loro realizzazione? E che cos’è la Terza Repubblica se non aria fritta, una rimasticatura di sogni giornalistici?
Un altro specchietto per le allodole è pure la promessa più o meno esplicita che, facendosi da parte, Berlusconi non sarebbe più perseguitato dalla magistratura. In primo luogo la minoranza ha sempre negato che egli sia stato perseguitato, e questa proposta equivale invece ad un riconoscimento del fatto; in secondo luogo la promessa implicherebbe che c’è una parte politica che ha i magistrati al guinzaglio. Ma Berlusconi, che non è completamente rimbecillito, avrebbe detto: “Eppoi comunque non si fermerebbe la caccia all'uomo contro di me da parte della magistratura”.
Questi due articoli ci dicono che Berlusconi è tutt’altro che quel “padrone” che tanti si sono compiaciuti di descrivere: soltanto, non è più quell’ingenuo che era nel 1994.

venerdì 9 settembre 2011

L'Espresso e il Fatto danno il peggio di sé sull'11 settembre. Carlo Panella

Commemorare l’11 settembre pubblicando balle colossali è una scelta lecita e può anche aumentare le vendite, ma ha il difetto di essere un gioco –oltre che sporco- troppo scoperto e che non fa onore a chi lo pratica. Pure, l’Espresso oggi pubblica tre Dvd con la supervisione di Giulietto Chiesa che ci raccontano “l’altra verità” su quel dramma. Che sia un operazione impresentabile lo sa bene anche il settimanale di Carlo De Benedetti che prende subito le distanze dalla sua stessa iniziativa, con una precisazione che lascia esterrefatti: “ L'Espresso', che come dimostra la sua storia è da sempre aperto anche alle opinioni diverse dalle proprie, lo propone come documento certamente di parte, ma su cui discutere per farsi un'idea completa”. Insomma, sono tutte balle ma “teniamo famiglia”, dobbiamo vendere, non abbiamo idee serie e quindi vi proponiamo una sòla con la scusa alla Nanni Moretti di “aprire il dibbbattito”. Naturalmente non abbiamo potuto esaminare i tre Dvd (escono oggi), ma possiamo ben immaginarci che altri non siano che la collazione di tutte le fantasticherie che Giulietto Chiesa propaga da dieci anni circa il “complotto americano”, con un Pentagono che non è mai stato colpito dal Boeing 747 del volo 77 della American Airlines, con una guerra in Afghanistan motivata dagli oleodotti e quindi complotto e poi complotto e ancora complotto degli yankees. Una serie di menzogne e di insinuazioni prive dei più elementari riscontri col marchio della più becera e puteolente ideologia antiamericana, assemblata da un personaggio di scarso successo, emarginato da tutte le forze politiche che ha corteggiato per ottenere una candidatura e che alle ultime europee, non a caso, si è presentato (ma è stato trombato) in Lettonia, nella speranza di ottenere i voti della minoranza russa dalle nostalgie sovietiche. Stessa solfa per il Fatto che domenica ha pubblicato un delirante articolo di Robert Fisk che –in sintesi- sostiene che la responsabilità ultima degli attentati è degli Usa che hanno appoggiato sempre Israele, quando gli attentatori si sono schiantati sulle Twin Towers proprio in difesa dei palestinesi. Fisk, come sa chi ha una conoscenza anche superficiale di al Qaida, è smentito platealmente proprio da Osama bin Laden che ha sempre posto la questione palestinese almeno al nono posto tra i propri obbiettivi. Ma non importa. Così come non ha peso la smentita più chiara ed evidente di tutte le tesi e insinuazioni di Giulietto Chiesa e Robert Fisk. Dopo l’11 settembre al Qaida e il terrorismo islamico hanno colpito in paesi come l’Indonesia (a Bali), l’Arabia Saudita, il Bangladesh, l’India (a Mumbai), il Marocco, la Nigeria e l’Algeria, paesi, contesti, che nulla hanno a che fare con gli Usa e ancora meno con la questione israelo-palestinese. Chi segue anche da lontano il terrorismo islamico sa che le sue radici sono solo e esclusivamente nel fondamentalismo islamico, che uccide nella logica di una guerra di religione, innanzitutto contro quelli che considera i “falsi musulmani” e poi, solo in seconda battuta, contro i loro alleati occidentali. Basti pensare che sono ben più i musulmani straziati da kamikaze islamici dentro le moschee, mentre pregavano, di quante non siano state le vittime dell’11 settembre. Ma personaggi come Giulietto Chiesa e Robert Fisk non si occupano né preoccupano della realtà e piacciono all’Espresso e al Fatto proprio .-e solo- perché ripropongono il più basso, stantio e viscerale antiamericanismo che si sia mai visto in Italia e in Europa. Una sottocultura, che vive e sopravvive nei siti Internet più squalificati dell’estremismo di sinistra, che ci viene oggi riproposta con iniziative editoriali che però, in fondo, hanno un pregio. Indicano come ormai a sinistra non vi sia più alcuna capacità di elaborazione, comprensione, analisi del mondo e di un fenomeno complesso come il terrorismo islamico. Non più cultura politica –anche antiamericana, come era, ma con serietà e sostanza quella del vecchio Pci filosovietico- ma solo invettive, sospetto, insinuazioni. (Libero)

La sinistra gambero rosso dimentica quel che predicava. Filippo Facci

La verità è che il segretario dei Ds, per esempio, dice anche delle cose sensate, coraggiose, in linea coi tempi: ammetterlo sarebbe già un progresso. Queste, per esempio, sono parole sue: "Dobbiamo avere il coraggio di un rinnovamento. La mobilità e la flessibilità sono un dato della realtà, e corrisponde, nella nuova generazione, a un modo diverso di guardare al lavoro. Il problema che si pone a sinistra e sindacati è se noi, rinnovando gli strumenti della contrattazione, possiamo costruire delle nuove reti di tutela e di rappresentanza. Se non ci mettiamo su questo terreno, rappresenteremo sempre un solo segmento del mondo del lavoro: quelli che stanno in mezzo, ma che sono sempre di meno. Lo so che nel meridione ci sono due milioni di italiani che lavorano in nero, ma non sono sicuro che sia solo un problema di polizia e di ispettorati del lavoro... Non sono sicuro che se li scopriamo avremo 7000 miliardi in più: temo che, se li scopriamo, alcuni pagheranno le tasse, ma altri chiuderanno, e avremo un milione di disoccupati in più. Dovremmo preferire essere lì con quei lavoratori e negoziare quel salario per migliorarlo, anziché stare fuori dalle fabbriche con in mano una copia del contratto nazionale". Parole, come detto, del segretario dei Ds: il problema è che il segretario era Massimo D'Alema e che le sue parole sono di 15 anni fa, congresso Pds, Palaeur di Roma, febbraio 1997. (Libero news)

martedì 6 settembre 2011

Gli 80 anni di un innocente

di Giuseppe Lipera
Venerdì scorso il dottor Bruno Contrada ha compiuto ottant'anni. Per l'occasione il suo difensore, l'avvocato Giuseppe Lipera, ha voluto scrivere una lettera ripresa dal sito "Giustizia Giusta" che ripubblichiamo.

Caro dottore Contrada,
non ci crederà, ma è la prima volta in vita mia che mi capita di fare gli auguri di compleanno a un uomo che compie 80 anni.Già la cosa in sé mi emoziona e mi fa riflettere, ma non è solo questo ovviamente. Vorrei dirLe tante cose, più di quelle che Le ho detto in questi tre anni e mezzo che ci conosciamo, e sono sicuro che non riuscirò a farlo. Mi domando: quante siete le persone in Italia ultraottantenni? Boh! Certamente non tante, ancor meno quelle che hanno vissuto una vita come la Sua: onori, gloria, ricchi, responsabilità, prestigio e poi però la gogna, l'infamia, i processi, la condanna,  la assoluzione e poi di nuovo la condanna, il carcere. Possiamo dire, con stupido sarcasmo e dolce ironia, che Lei non si è fatto veramente mancare nulla in queste vita terrena.
Cos'altro Le accadrà ancora?

Dopo averLa conosciuta, il 15 dicembre del 2007, mentre Lei si trovava rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, io Le dissi: "Lei è frangar non flectar", cioè mi appariva come un uomo tutto d'un pezzo, acciaccato dall'età e dalle sofferenze del carcere e delle malattie, dal dolore della condanna, tanto ingiusta quanto immeritata, ma nonostante tutto questo Lei non si piegava, la Sua dignità era altissima ed immacolata. Commentai, e tantissimi, forse centinaia di migliaia di italiani, lo sanno, dicendo: ringrazio Dio di avermi fatto conoscere un uomo come Bruno Contrada! A distanza di oltre tre anni da allora, avendo avuto l'opportunità di approfondire la Sua conoscenza, non posso che confermare questo mio pensiero.

Detto tutto questo, stamattina mi sono chiesto: cosa posso regalare al mio cliente, che ormai considero un caro amico, il giorno del Suo compleanno? Ci ho riflettuto molto e ho trovato cosa donargli, ma poi ho pensato: Lui questo lo ha già; non importa, mi sono detto,  il mio regalo può essere solo questo. Ebbene, carissimo dottore Bruno, Le dono il mio amore per il Giusto e per il Vero e riconosco di essere presuntuoso perché il Giusto e il Vero che è in Lei è molto di più di quanto io possa offrirLe. Lei mi ricorda tanto un Uomo che ebbi la fortuna di conoscere nell'estate del 1985 proprio qui a Palermo, uomo che poi divenne mio amico e che certamente contribuì a cambiare le sorti della mia vita; si chiamava Enzo Tortora. Parlava proprio come Lei: intelligente, colto, affascinante, invidiatissimo da molti ma amatissimo da tantissimi; Tortora subì, né più e nè meno, quello che ha subito Lei.

La vicenda del noto personaggio si concluse in tempi rapidi: fu condannato a dieci anni di reclusione ma poi assolto, però dopo cinque anni dal suo arresto, nel 1988  morì. Il Suo calvario invece, caro e illustre amico dottor Contrada, ancora continua dopo quasi 20 anni. A volte mi domando: quale è il disegno divino di tutto questo? Perché ho incontrato questi due uomini nella mia vita? Sono domande a cui ancora non so rispondere, ma so aspettare e confido che un giorno lo capirò. Ora penso questo: se c'è armonia in questo universo, e io devo credere che ci sia, la Sua storia giudiziaria non può finire cosi come è. I signori Giudici della Corte di Appello di Caltanissetta dovranno quanto prima decidere sulla terza istanza di revisione che ho presentato in Suo favore, invocando la riapertura del Suo processo.

Ci sono indubbiamente gli elementi perché questa istanza di revisione possa essere accolta, eccome se ci sono e non li sto qui a ripetere perché Lei, dottore Contrada, li conosce benissimo. Ecco: ho trovato cosa regalarLe e che Lei forse non ha! Io dono a Lei dottore Contrada la speranza che ho io di riuscire a dimostrare, urbi et orbi, la Sua assoluta innocenza; il sogno che ho io che Le venga restituito l'onore e la dignità di autentico servitore dello Stato, di uomo che ha creduto e lottato per altissimi ideali come l'amore per la Patria ed il rispetto delle Istituzioni. Io dono a Lei dottore Contrada, nel giorno del Suo ottantesimo compleanno, la certezza che, nonostante tutto quanto sia accaduto, milioni di italiani credono che Lei sia vittima di un errore giudiziario.

Io dono a Lei dottore Bruno, il desiderio, che io e tantissimi come me hanno, che tutto questo non sia una illusione. Con tanto affetto e stima, Le porgo i miei auguri di buon compleanno.

(da Giustizia Giusta)

lunedì 5 settembre 2011

Il Signor Rossi. Padano

Vi racconto una storia (vera). Negli anni tra il 1970 e il 1975 ho fatto le scuole elementari. Eravamo una classe mista di 32 bambini e bambine. Il nostro Maestro (con la M maiuscola) era il Signor Pietro Rossi, che all’epoca aveva circa 35 anni. Era il nostro unico Maestro ma non ha mai avuto problemi di disciplina seppur con una classe molto numerosa. Non era autoritario – nemmanco per sogno – era autorevole e noi lo adoravamo! In 5 anni non ci ha mai messo una nota (individuale o collettiva) e non ha mai espulso dall’aula nessuno.
Il Signor Maestro Pietro Rossi era una persona straordinaria: oltre a portare a termine (sempre in anticipo) il programma ministeriale egli ci appassionava alle più svariate discipline. Con lui abbiamo imparato il francese cantando (!), abbiamo imparato a giocare a scacchi (a 6 anni!), abbiamo imparato la matematica con il “metodo Papy” (metodo binario di zero e uno, quello che usano i computer…), abbiamo letto il Diario di Anna Frank e Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu.
In gita scolastica – invece delle soliti “banali” mete come Verona, Venezia, Mantova – il Signor Maestro Pietro Rossi ci ha portato a vedere le trincee della Prima Guerra Mondiale sull’Altipiano di Asiago dove avevano combattuto i nostri bisnonni…
Il Signor Maestro Pietro Rossi – come già detto – era adorato dai suoi discepoli e sommamente rispettato da tutti quelli che avevano il privilegio di conoscerlo. Era una persona appassionata del suo lavoro, serio, preparato, scrupoloso, mai inutilmente “lamentoso”. In 5 anni non ha mai fatto nemmeno un’ora di assenza dalla cattedra! Noi – in 5 anni – non abbiamo mai visto un supplente…
Ma il Signor Maestro Pietro Rossi era – per l’ottuso Stato italiano – un “semplice maestro delle elementari”, con relativa paga da fame…
Il Signor Maestro Pietro Rossi aveva 2 vestiti grigi, uno invernale più pesante ed uno estivo più leggero… Il Signor Maestro Pietro Rossi aveva 2 paia di scarpe, quelle nere, grosse, invernali e quelle marroni, leggere, estive… Il Signor Maestro Pietro Rossi aveva 3 camice bianche invernali a maniche lunghe e 3 camicie azzurre estive a maniche corte… Il Signor Maestro Pietro Rossi veniva a scuola (estate e inverno, pioggia o neve) sempre e solo in bicicletta… Il Signor Maestro Pietro Rossi aveva – come “auto di famiglia” – una 500 usata bianca con l’interno in similpelle nera… Il Signor Maestro Pietro Rossi – sposato e con figli – viveva in affitto in un piccolo appartamentino di periferia…
Insomma il Signor Maestro Pietro Rossi – insegnante e uomo esemplare – aveva un tenore di vita a dir poco misero! Ebbene nessuno – nessuno – lo ha mai sentito lamentarsi! Mai!
E adesso veniamo all’oggi…
Tg3 Veneto di ieri, solito servizio – quello di tutti gli anni – sull’inizio dell’anno scolastico con relative proteste degli insegnanti…
Le maestre (con la m minuscola) delle elementari (che adesso si chiamano “primarie”) in coro a lamentarsi per questo o quello…
Ma vediamole queste maestrine, tutte lamentose e tutte uguali: capello fresco di parrucchiera, sopracciglia “scolpite”, abitini in “ultimi colori moda”, scarpe trampolate, unghie modello lap-dance, smartphone in mano, auto parcheggiata fuori: indistinguibili dalle commesse di Benetton o Sisley… anche nell’atteggiamento, nel linguaggio, nella cultura…
E queste sgallettate maestrine-fashion si lamentano pure? Per loro le parole “passione per il lavoro”, “dedizione”, “impegno”, “autorevolezza” non hanno proprio alcun significato! No, per queste maestrine-fashion l’importante è accaparrarsi il sicuro posto pubblico, poi si vedrà…
E i bambini, i discepoli, gli alunni? Ma chissenefrega degli alunni, quelli sono solo una scocciatura tra uno stipendio e l’altro…
Che infinita tristezza, che schifo immondo! Che maestre vomitevoli!
E io dovrei mandare mio figlio a scuola da quelle quattro“sgallettate? A imparare cosa, di grazia?
No, se io fossi il Signor Maestro Pietro Rossi quelle pseudo-colleghe le prenderei a calci nel sedere! Vergogna, vergogna! (The FrontPage)