venerdì 29 febbraio 2008

Il programma di Walter? Solo banalità. Geronimo

Sul paese soffia un vento pericoloso. Un vento che la amara ironia di Edoardo de Filippo avrebbe definito «il mondo delle parole». Parole vuote per la loro banalità e tragiche per al loro ipocrisia. E con quel vento veleggia Walter Veltroni che come colomba dal desìo (di potere) chiamata elenca il programma di monsignor De la Palisse.
Bisogna ridurre le tasse tagliando dal 2009 un punto l’anno dell’Irpef per tre anni, dice Veltroni. Ma in questo ultimo biennio l’ex sindaco di Roma dov’era quando il governo le tasse le aumentava? Il suo annuncio di oggi ci ricorda la vecchia gag di Totò quando, dovendo pagare cinque lire al macellaio, gliene chiedeva prima altre cinque in prestito e con quelle poi pagava il suo debito. A prescindere dalla comicità dell’annuncio, come farà Veltroni a ridurre le entrate visto che la crescita economica, che non è tra i suoi dodici punti programmatici sta crollando? Mistero della fede. E continua.
Spendere meglio spendere meno. C’è qualcuno che sostiene il contrario, e cioè spendere peggio e spendere di più? Come si vede è il trionfo dell’ovvio, ma anche pacatamente e serenamente della bugia, visto che colla riforma delle pensioni approvata dal governo Prodi la spesa previdenziale è aumentata nel solo interesse di pochi. Ed ancora, sì all’ambientalismo del fare con termovalorizzatori, rigassificatori e Tav. Ricordiamo male o il governo poco più di un anno fa ha revocato le concessioni per l’alta velocità lungo le tratte Genova-Milano e Milano-Venezia? E così è per tutto il resto. Nelle università la parola d’ordine dev’essere «premiare il merito», dice ancora Veltroni. Chi è che nel suo programma invece vuole «premiare il demerito»? E chi non vuole ridurre l’area del lavoro precario, possibile solo con una crescita economica più robusta e più stabile in linea colla media dei paesi della zona Euro? Eppure Veltroni, che come Bruto è uomo d’onore, tace sui drammatici limiti della nostra crescita economica che stanno portando il paese alla deriva, aumentando la precarietà e frantumando, colle crescenti e drammatiche diseguaglianze sociali, la coesione nazionale.
Per non parlare della sicurezza, cui sono stati tagliati ultimamente i fondi finanche alla protezione civile, come ha denunciato con angoscia Bertolaso. Eppoi ricordiamo male o Walter Veltroni è stato il vicepresidente del Consiglio del governo Prodi nel triennio ’96-98, durante il quale nulla di quanto oggi annunciato è stato non solo fatto ma neanche lontanamente pensato? In politica serietà e credibilità vanno di pari passo. E per finire l’ipocrisia politica. Veltroni dice no all’alleanza coi socialisti e dice sì a quella con Di Pietro. I lettori sanno che noi non siamo adusi all’insulto e alle insinuazioni e respingiamo, dunque, l’idea pur suggestiva e largamente sussurrata nei corridoi del Palazzo secondo cui Antonio Di Pietro e Matteo Colaninno siano, su versanti opposti, due esattori politici ai quali non si può dire di no. Allo stesso tempo, però, diciamo con convinzione che il rifiuto del Pd di allearsi con un partito che si chiama socialista ed è parte integrante del partito socialista europeo è l’antica vocazione comunista alla pulizia etnica di una grande cultura politica, già praticata nella Russia di Stalin e a piene mani nei primi anni ’90 proprio dal braccio armato di Antonio Di Pietro. Ed è inquietante vedere nei tg di questi ultimi giorni troneggiare dietro Di Pietro il volto di Leoluca Orlando Cascio, quello che accusò Giovanni Falcone in diretta televisiva di esser colluso colla mafia. E così tutto si tiene. Veltroni nel 1989 votò contro il riarresto dei boss mafiosi del maxiprocesso usciti dal carcere per decorrenza dei termini, mentre Leoluca Orlando infangava Falcone che quel processo aveva istruito e Di Pietro smontava la storia del movimento socialista italiano. È il caso davvero di dire che il buon Dio prima li fa e poi li accoppia. (il Giornale)

martedì 26 febbraio 2008

Marianna non c'entra, ma W sì. Marianna Rizzini

Giovani, carini e occupati nel Pd

La ragazza, Marianna Madia, non c’entra. Nel senso che non è colpa sua essere stata scelta da Veltroni come capolista del Pd per la circoscrizione Lazio 1. Non è colpa sua aver avuto la possibilità di lavorare con Enrico Letta all’Arel e con Giovanni Minoli in tv. Non è colpa neppure sua essere alta, bella e bionda, come hanno scritto i giornali, né aver avuto per fidanzato il figlio del presidente Napolitano o aver fatto il bagno all’Ultima Spiaggia di Capalbio. La ragazza, che per ora non conosciamo personalmente, sarà sicuramente brava, studiosa, lavoratrice, piena di voglia di fare e di buttarsi in un’esperienza che, parole sue, le è arrivata addosso inaspettatamente dieci giorni fa. Non è colpa sua neppure aver accettato (lo avremmo fatto tutti, probabilmente) e chi la critica per questo appare soprattutto invidioso. Però. Però diciamolo: lei non c’entra, ma W sì. Il segretario del Pd voleva con sé la società civile, voleva le facce nuove (e quindi via De Mita). Nuove, però, non significa necessariamente inesperte in politica, come se l’ìnesperienza fosse, per il Pd, un valore in sé – perché l’inesperto non è stato lambito dalla “casta”, ci si chiede? Che cos’è, un farsi più dipietrista di Di Pietro? L’ha detto Marianna stessa, alla conferenza stampa di presentazione: “Sono inesperta”, porto in questo partito la mia inesperienza. E W sorrideva, felice. Di nuovo, Marianna non c’entra. L’ha detto perché l’inesperienza sembra a tutti gli effetti essere un punto d’onore del partito di W. Ma è sicuro, Walter, che le facce nuove debbano proprio essere tutte così politicamente nuove? Va bene cercare di stupire l’elettorato con liste non stantie, ma allora non si può negare che le sezioni ex ds e le sedi locali della Margherita pullulassero di facce carine, giovani e già da tempo occupate nel campo e pure nel progetto Pd. Ma queste facce, per ora, non sono capolista da nessuna parte. Marianna sicuramente imparerà in fretta, ma perché non affiancarle, in Piemonte o Toscana, per esempio, facce (altrettanto nuove) che abbiano già imparato? (il Foglio)

Walter crede di aver scritto un libro ma per ora c'è solo l'indice. Marcello Inghilesi

Leggere il cosiddetto programma di Veltroni o dei Democratici è come guardare all’indice di un libro, fatto di dodici capitoli. Come si fa a dire se il libro è buono o no, se si parla solo dell’indice?

Dall’indice e da come si mettono i fatti in casa veltroniana (assieme, sacro e profano; mangia preti e sacrestani; sinistri e destri; ex-cattocomunisti e comunisti veraci; giustizialisti e libertari: tutti uniti nell’amore per la gestione del potere), si è portati a pensare che questo indice si debba trasformare in un libro di almeno 120 pagine (10 per capitolo). Nel frattempo il sommario si è già trasformato in 32 pagine, talvolta contraddittorie con le stesse impostazioni. E’ poi annunciato per il 13 marzo il programma completo, che dovrà anche tener conto di esigenze un po’ diverse.

Ma cominciamo a ragionare su questo primo sommario, almeno sulle sue enunciazioni.

L’Italia deve essere modernizzata con infrastrutture, energia e ambiente: Ma no?

Dobbiamo avere un “grande obbiettivo di innovazione del Mezzogiorno, della sua crescita, che è la crescita dell’Italia”: ma che vuol dire? O niente o minestre riscaldate: di queste frasi i meridionali ne hanno fin sopra i capelli, per usare termini eleganti.

Per la spesa pubblica bisogna “spendere meglio, spendere meno". Ma va? Sarebbe curioso che dovessimo spendere di più e spendere peggio.

Subito dopo, per le tasse. Bisogna ridurle “ai contribuenti leali, ai lavoratori dipendenti e autonomi” (cioé a tutti, salvo che ai pensionati), che pagano troppo. Lo slogan è: “Pagare meno, pagare tutti”. Però !

“Bisogna trasformare il capitale umano femminile in un 'asso' per lo sviluppo” . Ma che vuol dire? Soprattutto se si lega questo obbiettivo programmatico ad una misteriosa o equivoca frase che lo precede: "Oggi in Italia ci sono tre patologie (sic!): bassi tassi di occupazione femminile, bassa natalità e alti tassi di povertà minorile”.

Bisogna rilanciare le case in affitto. Come? Elementare Watson! Costruendone 700 mila nuove “da mettere sul mercato a canoni compresi tra i 300 e i 500 euro”. Pubbliche? Private? Con il canone pianificato? Cioé come nella vecchia e, sembrava, superata, Unione Sovietica!

Bisogna dare una “dote fiscale” a chi fa figli : 2500 euro, per il primo mentre per il secondo non si sa. Forza ragazzi: dateci sotto! Ma poi siamo proprio sicuri che nello stivale siamo pochi, tenuto conto di tutto, compreso il declamato lavoro femminile, che deve crescere? Incentivare la procreazione può avere un senso di forzatura della libertà, quella vera.

“Cento nuovi campus universitari e scolastici entro il 2010” (cioé domani mattina). Inutile chiedere chi paga. Piuttosto ogni provincia avrà un cosiddetto “campus”, in accezione italiana e non americana, probabilmente. Già, ma che vorrà dire? Che in Toscana dovremo scegliere tra il campus di Livorno e quello di Pisa, con il Vernacoliere come giornale scolastico?

“La sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale della persona umana” nel lungimirante pensiero veltroniano. Per questo il salario minimo per i precari dovrà essere di 1000 euro. Cioé, il lavoro può in effetti essere “non sicuro”, in contrasto con il principio inderogabile, ma deve essere pagato di più.

“Far sentire sicuri i cittadini è uno dei principali obbiettivi del PD”. Come? Con maggiori soldi per le forze dell’ordine e con la certezza della pena per i condannati. Originalissime e nuovissime proposte, sicuramente concrete e credibilissime.

Bisogna smetterla con lo scontro tra magistratura e politica. I politici dovranno essere più virtuosi e non saranno candidabili in Parlamento i “condannati per mafia, camorra e criminalità organizzata o per corruzione o concussione”. Perfetto: vedremo lo svolgimento del tema. Sommessamente, per paura di non essere scudisciati in faccia, possiamo chiedere cosa succederà a magistrati, rei di violazione dei codici o di personalissime o partigiane persecuzioni, quasi sempre difesi e protetti dalla loro casta?

Per l’innovazione si parla di “portare la banda larga in tutta Italia “ e garantire a tutti una TV di qualità. Sulla banda larga molti lavoratori si chiedono quale grande orchestra sarà scelta per girare dappertutto. Sulla TV di qualità, lasciamo perdere.

Ora vedremo lo svolgimento del compitino sui dodici capitoli di un indice a dir poco sconcertante, per superficialità e banalità. Agli slogans lanciati (“spendere meno, spendere meglio” o “ pagare meno , pagare tutti”) ne mancano alcuni : per esempio, quello della cosiddetta sinistra francese, “lavorare meno, lavorare tutti” ; o quello degli ecologisti italiani, anni 80 , "Chi vive inquina anche te: digli di smettere". (l'Occidentale)

sabato 23 febbraio 2008

La battaglia di Sicilia: una svolta dentro Forza Italia. Carlo Panella

Una delle tante prove della assenza di un giornalismo serio in Italia ci viene dalla totale incapacità dei nostri rumorosi commentatori politici di afferrare il senso della partita che si sta giocando in Sicilia. Anchilosati dentro i loro schemini miseri, i nostri ''grandi'' ci raccontano uno scontro tra le candidature di Micciché e Lombardo di tipo classico: lotta di potere tra due leader locali. Ovviamente è anche così. Ma non è solo così, tanto che la lunghissima trattativa e lo stesso atteggiamento interlocuorio di Berlusconi ne sono il riflesso.
Il punto vero, la notizia vera è che Micciché si sente forte di una pressione della ''altra Sicilia''. Che non è affatto la ''Sicilia dell'antimafia'' della Borsellino, anch'essa stereotipa. Ma che è la Sicilia di Confundustria, di giovani e meno giovani che sono stufi, arcistufi del ''mastellismo'' di quel colloso intreccio tra politica e favori che caratterizza da cento anni la politica meridionale.
Questa pressione di svolta, questa voglia di una rappresentanza svincolata dalla centralità delle cariche nelle Asl è la vera posta in gioco, là dove Lombardo -personaggio rispettabile, peraltro- rappresenta con le sue liste di medici ospedalieri, medici mutualisti e personale paramedico, proprio l'Accademia della politica-Asl (con i guai e gli inciampi conseguenti e paradossali di un Cuffaro che non inciampa tanto sui 5 anni di condanna, quanto sui cannoli per festeggiare la condanna stessa).
Un vento nuovo attraversa e sconquassa il centrodestra siciliano. Questa è la notizia. Ancora più ghiotta perché in quello scontro politico il partito di Casini -il ''nuovo'', l'''innovatore''- è praticamente ostaggio del più vecchio clientelismo di cui Cuffaro è la gioiosa rappresentazione psicosomatica.

venerdì 22 febbraio 2008

Quell'ignorante di Michele Serra. Christian Rocca

Michele Serra è il teorico della superiorità della razza di sinistra, questo si sa. La cosa che non sapevo era che l'umoralista di Rep. fosse anche digiuno di informazioni elementari. Gli mancano le basi, si diceva una volta. Ecco che cosa ha scritto oggi: "Ahmadinejad non è affatto un dittatore. E´ un presidente liberamente eletto, che governa nel nome del popolo" e altre scemenze del genere. Serra non sa che l'Iran non è una democrazia, non sa che i candidati alla presidenza e al Parlamento e alle cariche locali sono scelti dal clero, cioè dai dittatori teocratici installatisi a Teheran nel 1979. Serra non ha idea di che cosa sia il principio costituzionale della Velayat-e Faghih, cioè del governo del saggio, cioè degli ayatollah, che guida tutto: lo stato, l'esercito, la giustizia. Serra non sa niente, ma scrive senza sapere di non sapere niente. Qualcuno gli segnali non dico gli articoli di Carlo Panella, perché sarebbe troppo, ma almeno quelli che spiegano perfettamente come funziona la teocrazia iraniana pubblicati da Repubblica. (Camillo)

martedì 19 febbraio 2008

Veltroni parte per la campagna elettorale in pullman fingendo di essere l'opposizione... Paolo Guzzanti

Quando il pullman di Veltroni ieri mattina si è mosso lentamente partendo dalla Bocca della Verità a Roma, un vecchio agit-prop dei tempi andati gli è corso dietro urlando: “Contrordine compagno, noi non siamo all’opposizione, siamo al governo!”. Troppo tardi. Il pullman non si è fermato, l’attivista si è accasciato esausto, e il candidato Uolter con i tappi nelle orecchie ha seguitato a correre verso il raccordo anulare dopo aver staccato i telefonini. Ma il vecchio compagno aveva ragione a gridare come ai tempi della famosa vignetta di Giovannino Guareschi: “contrordine compagni” la campagna elettorale di Veltroni è fondata su un equivoco. L’equivoco sta nel fatto che il segretario del Partito democratico non è all’opposizione, ma al governo. E che dunque, come vogliono le regole della democrazia, chi sta al governo e ne condivide politicamente ogni responsabilità deve difendersi e difendere, e non soltanto attaccare l’avversario.
Invece Veltroni lancia i suoi 12 punti che sono, lo notava ieri Fabrizio Cicchitto, l’esatto contrario di ciò che hanno sempre sostenuto non soltanto Prodi ma anche Ds e Margherita, cioè le forze del governo sostenuto da Veltroni. Insomma il nostro Uolter bara sapendo di barare quando bypassa Romano Prodi, omettendo pudicamente che proprio Prodi è il Presidente e non l’usciere del suo partito.
Ci troviamo insomma di fronte alla strategia del poker, anziché del politico di razza ed idealista: al giocatore di poker è consentito bluffare, cambia le carte che ha in mano, ingannare l’avversario per depredarlo. Un grande politico legato a un passato di cui è il figlio legittimo, prima di tutto deve difendere quel passato e spiegare perché sta dalla parte in cui sta, assumendosi per intero le responsabilità del governo che ha lealmente sostenuto. Invece Veltroni fa finta che il problema non esista e col suo pullman immagina di dirigersi verso l’Ohio e il Maryland, anziché verso l’Italia governata da Prodi e si comporta come se a Palazzo Chigi ci fosse già, o ci fosse ancora, Berlusconi. E purtroppo, poiché tutte le televisioni sono le sue, poiché i giornali dei veri poteri sono dalla sua parte, agli italiani viene fatta ingollare senza scrupoli la favola elettorale di un contendente nato ieri e che invece è politicamente vecchissimo ma che bara comportandosi come se rappresentasse l’opposizione mentre è corresponsabile del disastro con cui è stata messa in ginocchio l’Italia. (Rivoluzione Italiana)

lunedì 18 febbraio 2008

Perché la veltronomics non può rinnegare la politica di Prodi. Giuliano Cazzola

Walter Veltroni non finisce mai di sorprenderci. Un grande disegnatore satirico, Giorgio Forattini, lo rappresenta come un grosso verme in posizione eretta; ma il vero simbolo dell’ex sindaco di Roma dovrebbe essere il camaleonte, l’animaletto che assume il colore dell’ambiente in cui si trova.

Anni or sono scoprimmo che, nonostante la sua antica iscrizione al Pci, il leader del Pd non era mai stato comunista. Adesso, dopo il discorso programmatico di sabato all’Assemblea costituente del suo partito, ci siamo resi conto che il Pd non era il perno della maggioranza che sosteneva il Governo Prodi, ma la principale forza di opposizione, tanto che adesso sta proponendo agli elettori una politica totalmente alternativa a quella condotta finora.

Prodi aveva caricato gli italiani di tasse, Veltroni ridurrà la pressione fiscale, sfrondando tutte le aliquote di un punto l’anno.

Prodi aveva subito il veto dei Verdi sulle opere pubbliche, Veltroni rilancerà le infrastrutture.

Prodi e Padoa Schioppa erano andati a caccia di "tesoretti" da redistribuire anche a costo di mortificare la ripresa economica (con la manovra del 2007) e di peggiorare persino il deficit tendenziale (con la Finanziaria 2008). Veltroni ridurrà la spesa pubblica (girando però lontano da quella sociale e, immaginiamo, da quella degli stipendi del pubblico impiego).

Prodi aveva tartassato i giovani precari costringendoli a far fronte - col loro prelievo contributivo (9 punti in più dal 2007 al 2010) - agli oneri della controriforma pensionistica; Veltroni promette loro un salario minimo legale di 1.000-1.100 euro mensili (dimenticando che ci sono, purtroppo, tanti lavoratori dipendenti che non percepiscono una retribuzione equipollente).

E il professore bolognese ? Sabato si aggirava per il salone come un vecchio zio ormai rassegnato all’amara battuta di Groucho Marx: “Non mi iscriverei mai ad un club che ammette tra i suoi soci persone come me”.

Quella del Walter nazionale, in fondo, è una vecchia e collaudata tecnica degli ex comunisti: l’uso dell’amnesia auto-indotta come arma di rigenerazione politica. Quando sono in difficoltà, gli eredi di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer si trasformano in tanti "smemorati di Collegno", in tante persone "nate ieri", che gettano a mare un passato ingombrante e si mettano subito alla ricerca di un futuro. Magari comportandosi come quell’uccello – il cuculo, forse – che depone le uova nel nido degli altri.

Coloro che, dopo la caduta del Muro di Berlino, non esitarono a ballare sulle macerie di 70 anni della loro storia, non si fanno sicuramente degli scrupoli ad abiurare un "governicchio" che in una ventina di mesi ha scontentato tutti gli italiani. Ecco, allora, Veltroni che parla, propone e dispone come se, dal 2006 ad oggi, fosse rimasto seduto sui banchi dell’opposizione, come se non avesse trascorso tanti anni al Campidoglio, ma fosse appena tornato dall’Africa e si accingesse a consegnare alle cronache le sue memorie di viaggio.

Il leitmotiv della propaganda elettorale del Pd è chiaro: il Governo Prodi ha realizzato il risanamento finanziario di un Paese stremato, ha ottenuto risultati formidabili sul terreno della lotta all’evasione, ma è stato impedito dal "cattivo" Clemente Mastella e dalla "voglia di elezioni" del centro destra di avviare una grande stagione di riforme. Il PdL deve smontare questa rappresentazione distorta dei fatti.

L’Unione ha potuto avvalersi di un periodo di crescita economica che, unitamente all’impianto normativo predisposto dal Governo Berlusconi prima di passare la mano, ha consentito l’inatteso e imprevisto boom di entrate (il famoso extragettito) nell’"anno del Signore" 2006, quando TPS andava in giro raccontando che l’Italia era tornata alla situazione tragica del 1992.

Raccontare che pochi mesi dopo l’insediamento la terribile coppia Prodi-Visco aveva già combattuto e vinto l’evasione è una clamorosa bugia.

E se nel 2007 il gettito è aumentato ciò non è dipeso dalla ritrovata virtù dei contribuenti, ma dal fatto che gli italiani sono stati costretti a pagare nuove tasse. Sono state le maggiori entrate a tenere in equilibrio i conti pubblici e a consentire la redistribuzione dei "tesoretti", quando sarebbe stato meglio utilizzare i surplus per risanare strutturalmente le finanze pubbliche.

Ci accorgeremo presto - basterà che il rallentamento dello sviluppo produca i suoi effetti sul gettito – di quanto fosse effimero il risanamento di Prodi, dal momento che il deficit 2008 si avvicinerà nuovamente alla soglia del 3% nella seconda metà dell’anno.

Ecco perché non si può consentire, durante la campagna elettorale, che il Pd prenda, nei fatti, le distanze dall’esperienza del Governo Prodi e che Veltroni si presenti all’opinione pubblica (avvalendosi del conforto dei media più importanti) come il "figlio del contadino nuovo". (l'Occidentale)

Fotovoltaico e nucleare: domande e risposte. Carlo Cerofolini

Quando in Italia si affronta il problema dell'energia molti ambientalisti per evidenziare come sia logico, conveniente e risolutivo ricorrere al fotovoltaico (FV) e non puntare invece sul nucleare, usano, tra l'altro, la tecnica di porre delle domande a risposta, secondo loro, scontata ed ovvia per accreditare le loro tesi. Tutto questo senza però tener conto della complessa realtà tecnico-scientifica connessa a queste tematiche, che se affrontate in maniera superficiale e/o ideologica - come appunto fanno di solito gli ambientalisti - sono disastrose per il futuro del Paese. Al fine quindi di fare chiarezza è bene dare delle risposte chiare, seppur sintetiche, ad alcune delle domande che i fautori del FV e nemici del nucleare sono soliti porre. Nello specifico:

1. Come mai in Germania hanno installato così tanti impianti fotovoltaici? Hanno valutato male? La Germania - che ha installato circa 800 MW FV oltre a 18 GW eolici - «impone» questa tecnologia, di cui è leader, alle altre nazioni europee, che così ne sostengono la produzione, l'occupazione e le garantiscono forti guadagni sia nell'eolico che nel FV (anche se con queste «trovate» in Germania diverse volte si sono verificati dei black-out). Tant'è che queste industrie, da un fatturato 2006 di 16,4 miliardi, si prevede che raggiungano i 120 miliardi nel 2020. E molto probabilmente è soprattutto in virtù di questa prospettiva che il Cancelliere tedesco Angela Merkel, quando è stata Presidente di turno della Commissione Ue nel marzo 2007, ha tanto insistito sul fronte del raggiungimento del 20% delle energie rinnovabili e pari diminuzione gas serra rispetto al 1990 entro il 2020, come obbligo per la Ue stessa - e che a breve il Parlamento europeo è chiamato a ratificare - : il che significa che l'Italia dovrebbe chiudere molte delle sue centrali termoelettriche (siamo fuori di circa il 33% per la CO2), o andare in bancarotta per pagare le penali, a meno che non si opti per il nucleare. In ogni modo è bene sapere che la Germania produce energia elettrica per il 55% dal carbone (noi 9%), il 30% dal nucleare (noi 0,0%) e meno dello 0,3% dal FV.

2. I costi elevati del FV sono stati valutati anche in previsione di un aumento certo (almeno per quanto riguarda il petrolio) dei prezzi dell'energia e del fatto che sta nascendo una nuova tecnologia, per ricavare silicio da componenti biologici con rendimenti sempre maggiori? I seguenti dati sono illuminanti: costo in centesimi di euro a KWh - comprensivo costo costruzione e manutenzione - per centrali da 1 GWe, in (...%) è indicata la continuità della fonte: 1) nucleare 3 ct. (85%); 2) carbone 4 ct. (90%); olio 7 ct. (90%); 5) gas ciclo combinato 6 ct. (90%); 6) Fotovoltaico 55 ct. (15%) (cfr. F. Battaglia-R.A. Ricci. Verdi fuori rossi dentro , p. 101 ed Libero-Free 2007). Il FV, come si vede, costa a KWh circa 18 volte più del nucleare e 14 volte più del carbone, e quindi - pur non volendo considerare il soprassoldo del conto energia per ogni KWh prodotto con questa tecnologia, che non è poco - è al di fuori di ogni portata economica, anche nel caso che il costo del gas e del petrolio raddoppiasse ed i pannelli FV fossero gratis (il costo degli impianti FV dimezzerebbe). Oltre questo comunque il FV è una fonte caratterizzata da rigidità (mancanza di potenza) e fluttuazione (inaffidabilità) dell'energia che eroga e quindi necessita di centrali convenzionali o nucleari a tampone di pari potenza per non rischiare di andare in black out quando il sole non splende, per cui il suo uso è solo di nicchia. Inoltre il costo degli impianti FV nel tempo si allinea all'aumento del costo dell'energia che deriva soprattutto da fonti fossili. Infine va detto che la durata delle apparecchiature ausiliarie degli impianti FV (inverter, ecc.) non hanno durata ultra ventennale, come di solito la hanno i pannelli FV, e quindi debbono essere sostituiti almeno una volta, con aggravio non indifferente di spese dell'impianto stesso.

3. Il maggior costo degli impianti FV e del conto energia non sono compensati dal risparmio nei versamenti dovuto per l'adesione al protocollo di Kyoto? Solo per rispettare entro il 2012 l'abbattimento del 6,5% di anidride carbonica emesso imposto da Kyoto - anche se la diminuzione totale dovrebbe essere in realtà di più del 19% (!) rispetto al 1990, perché da allora i gas serra prodotti dall'Italia sono aumentati del 13% circa - si dovrebbero spendere oltre 500 miliardi per pannelli FV, senza per altro rinunciare ad avere almeno 8 GW convenzionali o nucleari a tampone in stand-by per non rischiare black out, come già detto. Questo quando con 10 centrali nucleari da 1 GW ognuna, per un costo totale di 25 miliardi, si raggiungerebbe lo scopo e si potrebbero così spengere 10 GW termoelettrici (cfr. F. Battaglia ,L'illusione dell'energia dal sole , p. 152 ed. 21° Secolo 2007). Insomma il danno e la beffa. Oltre a questo si deve poi considerare che avere in stand-by delle centrali termoelettriche porta costi aggiuntivi ed inficia i risparmi di gas serra del FV, fino anche ad annullarli, parola di GRTN (cfr. http://www.adamsmith.it/doc/Mauro%20Valeriani%203-6-03.pdf). Infine, se non costruiremo le centrali nucleari, saremo condannati al pagamento di circa due miliardi di euro annui (quasi il costo di una centrale nucleare da 1 GW) solo per il mancato rispetto del protocollo di Kyoto ed in più continueremo a pagare alla Francia 1,3 miliardi annui per l'energia che da lì importiamo e che proviene da centrali nucleari. Detto per inciso, in 20 anni di importazione di elettricità dalla Francia, da quando cioè abbiamo sciaguratamente rinunziato al nucleare, si sono spesi circa 25 miliardi, ovvero abbiamo pagato a questa nazione ben 10 centrali nucleari.

4. Come la mettiamo con le scorie nucleari? Le scorie nucleari consistono per il 95% di uranio (l'elemento naturale di partenza) e per l'1% da plutonio, ed entrambi, se opportunamente riciclati, sono perfettamente utilizzabili come combustibile in reattori a ciclo chiuso. Il restante 4% è la componente energeticamente inutilizzabile: ma il 3,5% contiene nuclidi che o sono stabili o dimezzano la loro attività ogni 24 ore, mentre lo 0,4% contiene nuclidi che dimezzano la propria attività in meno di 10 anni. Alla fine, del combustibile spento rimane meno dello 0,1% (principalmente stronzio 90 e cesio 137) che dimezza la propria attività in circa 30 anni. In definitiva, riciclando uranio e plutonio,queste scorie non riutilizzabili devono essere controllate per soli 100 (cento) anni - come si fa attualmente senza problemi - e non 100.000 (centomila). Inoltre se l'energia elettrica che ognuno di noi consuma fosse tutta da fonte nucleare, le scorie annualmente prodotte dal singolo occuperebbero il volume di u,na tazzina di caffé (Cfr. Franco Battaglia - Pregiudizi sul nucleare - Il grande bluff dell'energia solare Il Giornale 19/01/07 p. 16; F. Battaglia - R. A. Ricci, Verdi fuori rossi dentro , p. 102 ed. Libero-Free 2007). Infine, sempre della serie il danno e la beffa, è bene sapere che con la «modica» spesa di 250 milioni invieremo a rate a riprocessare in Francia tutte le barre di uranio delle nostre ex centrali nucleari (1.243 barre per un peso di 235 tonnellate) e regaleremo questo combustibile riprocessato alla Francia stessa, che le userà nelle proprie centrali e poi ci rivenderà, guadagnandoci, l'energia elettrica che queste produrranno proprio con il nostro uranio. Comunque, in «compenso», ci verranno restituite, entro il 2025 alla fine del riprocessamento, le scorie radioattive vetrificate che dovremo allocare in un apposito sito, che ovviamente, al momento, non abbiamo, questo anche grazie alla sindrome Nimby che da troppo aleggia sull'Italia e che, se non debellata, ci porterà rapidamente alla rovina.

5. Dopo il grave incidente avvenuto nell'ex Urss nel 1986 alla centrale nucleare di Chernobyl, come si può affermare che il nucleare sia sicuro? Per quanto riguarda quest'incidente, va detto che questo non è figlio dell'energia nucleare, ma è figlio legittimo del comunismo. Questo disastro è, infatti, potuto accadere sia per la completa mancanza della cultura della sicurezza e dell'individuo - che non c'era e non c'è nei paesi comunisti - sia per l'assenza di un decente livello di organizzazione dell'impresa e delle attività industriali, che anzi era caratterizzato da un'impressionante sciatteria e da un disimpegno personale collettivo. (cfr. Piero Risoluti, I rifiuti nucleari: sfida tecnologica o politica?, p. 86-87, ed. Armando 2003). E comunque nessuna di queste pericolose e obsolete centrali RBMK - che hanno il moderatore a grafite, che si può incendiare, come per altro è avvenuto a Chernobyl, che non hanno doppie pareti di contenimento dell'intera struttura, necessarie per impedire fughe radioattive verso l'esterno, ecc. - è in funzione nel mondo occidentale, tant'è che un incidente simile mai e poi mai da noi sarebbe potuto capitare. Inoltre, considerato che ora siamo già alla terza generazione di centrali nucleari, molto più sicure di quelle già sicure che avevamo in funzione in Italia oltre 20 fa, si può tranquillamente dire che non siamo lontani dal rischio zero, ovviamente irraggiungibile.

Conclusioni: da quanto sopra si evince chiaramente che il Re ambientalista oltre che nudo è pure pericoloso (vuole solo affermare un'ideologia anticapitalistica, antioccidentale e terzomondista e non salvaguardare l'ambiente e le persone) e quindi è necessario che il Partito della Libertà affronti con decisione ed in modo scientificamente corretto i problemi legati, oltre che all'ambiente, all'energia e butti il cuore oltre l'ostacolo, inserendo nel proprio programma elettorale un punto irrinunciabile che dovrà dire: «Il piano energetico nazionale sarà allineato al mix energetico europeo». Nucleare compreso quindi, perché a tale mix il nucleare contribuisce per il 28%. In difetto di ciò è illusorio solo pensare che l'Italia possa tornare ad essere competitiva se non avrà energia abbondante, a basso costo e, tutto sommato, poco inquinante e rispettosa sia di Kyoto sia dei futuri nuovi limiti Ue, riguardo al contenimento dei cosiddetti gas serra. Ed a quanti poi dicono che costruire centrali nucleari in Italia è un vasto programma, va detto chiaramente che la via è comunque obbligata e quindi prima la classe politica si rende conto di questo e meglio è, dopo di che occorre nell'ordine: informare (molto e bene), convincere, correggere, decidere e poi agire senza tentennamenti ed a questo punto quasi sicuramente - sempre parafrasando De Gaulle - gli italiani seguiranno e magari pure volentieri. (Ragionpolitica)

Casini si schianterà perché applica la strategia del cuculo. Carlo Panella

E' facile prevedere il disastro a cui sta andando incontro Casini, non soltanto guardando alle tante defezioni cruciali, di leader locali con proprio patrimonio di voti personale, che sta subendo in queste ore: dopo Baccini e Giovanardi, ora Bonisgnore e Zanoletti in Piemonte, un assessore e due deputati regionali in Sicilia e soprattutto la Mpa di Lombardo, che lo molla e si allea a Berlusconi. Casini perderà perché ha sbagliato strategia e quindi si prepara a seguire le orme di Martinazzoli. Casini vuole un grande Centro (come il Ppi nel 1994), come Pezzotta e altri. Aspirazione legittima, anche se fuori tempo e già più volte irrisa dalle urne. Se però vuole e voleva un grande centro, non deve e non doveva allearsi con Berlusconi, di cui sin dall'inizio è antagonista ''per principio'', proprio perché lo schema introdotto da Berlusconi in Italia è il bipolarismo spinto.
Casini, invece, si è alleato con Berlusconi, ma solo per insidiargli voti e premiership, sempre alla ricerca di una discontinuità -rivendicata- che ovviamente Berlusconi non poteva e non può dargli.
Era ed è una strategia velleitaria, che ha avuto l'unico risultato di fare irritare gli alleati, che non ha portato nulla a casa e che ha fatto dissipare il potenziale patrimonio politico personale di una presidenza della Camera, letteralmente regalatagli dopo che aveva appena perso le elezioni con un misero 3,8% di voti nel 2001.
Casini ha dunque seguito il metodo del cuculo, che mette le sue uova nel nido di altri uccelli e così fa allevare la sua prole da altri che faticano per lui.
Tattica legittima, che però funziona sono con uccelli scemotti.
Il cuculo sta attento a non cercare di fregare il falco.
Proprio qui ha sbagliato Casini.
E saranno guai

venerdì 15 febbraio 2008

Contrordine compagni. Carlo Stagnaro

Adesso il pianeta si sta raffreddando.
Pubblicato da Carlo Stagnaro a 17.18 4 commenti
(Realismo Energetico)

Una strana alleanza. Massimo de' Manzoni

Perché Veltroni, dopo aver eletto la semplificazione del sistema politico a suo vessillo e principale atout elettorale, dopo aver sfidato Berlusconi a correre da solo come avrebbe fatto lui, dopo aver predicato la fine delle alleanze tra soggetti non omogenei e dopo aver incassato per tutto questo consensi quasi unanimi, al pronti-via fornisce una sbalorditiva dimostrazione di incoerenza e forma un cartello elettorale con Di Pietro? Perché rischia di perdere tutto lo slancio di novità sul quale aveva fondato i presupposti della sua corsa per abbracciare uno che sta alla sinistra come il diavolo all’acqua santa? Un uomo law and order (con qualche licenza «poetica» personale, per la verità), che nella sua vita precedente ha arrestato o indagato un bel numero di persone poi finite nel Pd? Perché sfida l’ostilità di stretti collaboratori, di compagni d’avventura e di parecchi giornali della sua area politica pur di imbarcare l’ex magistrato, la contraddizione vivente dell’auspicio veltroniano di una campagna elettorale non urlata, uno che quando indossava la toga a proposito di Berlusconi diceva: «Io quello lo sfascio»?
Perché Veltroni concede a Di Pietro, dietro vaghissime promesse di un futuro scioglimento nel Pd, di correre col proprio simbolo, mentre nega la stessa possibilità a formazioni politicamente e ideologicamente assai più affini alla sua storia? L’altra sera in tv l’ex sindaco di Roma pontificava: quello di Prodi è stato un ottimo governo tradito da una maggioranza raccogliticcia che ha cominciato a sparargli addosso dal primo giorno. Bene, uno dei cecchini più solerti era Tonino il giustiziere, che si è accapigliato con mezzo Consiglio dei ministri prima di concentrarsi nel duello all’ultimo sangue con Mastella, prodromo del patatrac politico-grottesco-giudiziario sul quale è poi rovinato Prodi. Basterebbe per tenerlo lontano come la peste, invece lo si arruola senza un tentennamento.
E allora che cosa si nasconde dietro queste nozze frettolosamente consumate nel loft? Perché, a domanda, il leader del Pd svicola, non trovando neppure il coraggio di confessare d’aver semplicemente ceduto all’attrazione per il pugno di voti portati in dote dall’ex pm? Perché c’è ben altro? Mistero.
Di certo, come ha ricordato ieri anche il capo dello Stato, il rapporto tra politica e giustizia è uno dei veri, grandi problemi dell’Italia. Ed è uno dei primi nodi che, chiunque vinca, il prossimo governo dovrà sciogliere. La lobby in toga è potente e ormai dovrebbe essere chiaro che solo un accordo bipartisan può produrre risultati. Grazie a Veltroni, possiamo dire sin da ora che sarà l’ennesima occasione persa: con al suo fianco Di Pietro, la quinta colonna della magistratura, il segretario del Pd al tavolo della riforma della giustizia non potrà neppure sedersi. E forse non è solo un caso. (il Giornale)

martedì 12 febbraio 2008

La tragedia delle Foibe e l'inquinamento della verità. Davide Giacalone

Ha ragione, il Presidente della Repubblica, ad insistere nel considerare le Foibe come un frutto del nazionalismo annessionista slavo ed una pratica di pulizia etnica, con ciò intendendo che non furono parte di una guerra ideologica. Ma, purtroppo, la sua personale condizione di uomo che è sempre stato comunista, fino alla fine dei giorni del comunismo internazionale e del partito comunista italiano, rischia d’ingenerare una sgradevole confusione, quando non una colpevole omissione. Le azioni che si svolsero fra il 1943 ed il1947, che costarono la vita a tanti italiani colpevoli solo d’essere italiani, e costrinsero alla fuga le popolazioni dell’Istria e della Dalmazia, gli atti di ferocia genocida di cui si resero protagonisti gli uomini del maresciallo Tito, fino a gettare uomini, donne a bambini in fosse naturali e poi farne esplodere l’accesso, non sono inquadrabili in una guerra contro il fascismo, od a favore del comunismo. Se fosse così, oltre tutto, non si spiegherebbe perché fra gli infoibati si trovarono anche i partigiani della brigata Osoppo, che certo non erano e non sono assimilabili ai fascisti. Ma il modo in cui quella vicenda è stata poi occultata, negata o trasfigurata appartiene, eccome, alla guerra ideologica. Le cui colpe ricadono sui vivi ed i presenti, Giorgio Napoliotano compreso.

E’ vero o no che gli italiani in fuga non ricevettero assistenza nelle stazioni ferroviarie delle regioni rosse? Purtroppo sì, e lo si deve alla stessa ragione per cui questa storia non era raccontata nei libri scolastici, nel mentre si dedicavano vie e piazze d’Italia a Tito: le mani assassine erano mani comuniste, che agivano per scopi nazionalistici ed etnici, ma restavano comuniste. Gli assassini, insomma, erano dalla parte del bene e dei giusti, e questa loro posizione non poteva essere sporcata neanche dal sangue innocente dei nostri connazionali. E, si badi bene, questa non fu la tesi sostenuta a sangue non ancora rappreso, nel procedere e concludersi della carneficina europea, ma la si è sostenuta fino a ieri mattina, ed anche oggi. Tant’è che il ricordo delle Foibe ha trovano una giornata in calendario solo da poco, e prima era considerato appannaggio esclusivo delle destra che fu fascista.
E’ questo il motivo per cui, in questo come in altri casi (penso, ad esempio, agli incresciosi e vergognosi fatti d’Ungheria), Napolitano non può permettersi di dire il vero tacendo quel che segue: lui, e quelli come lui, sono stati responsabili di un lungo, convinto e continuo eccidio storico, di un pervicace sterminio della memoria, di un micidiale inquinamento della verità.
Non si tratta di evocare i fantasmi del passato, né di voler per forza trovare il tema e l’occasione per sputare addosso ad una storia comunista che merita ogni condanna, e che è anche stata sconfitta dalla forza delle democrazie e dalle armi della Nato (evviva!). Non si tratta di regolare i conti con il passato, ma d’indicare ai contemporanei quanto possa pesare la viltà che si ripara dietro la cortina dell’ideologia. (l'Opinione)

lunedì 11 febbraio 2008

Le riforme scomode. Francesco Giavazzi

Da più parti si auspica una grande coalizione: un governo fra Forza Italia e Pd, o almeno un accordo bipartisan per realizzare riforme che, si ritiene, né il centrodestra, né il centrosinistra da soli sarebbero in grado di varare. Mario Monti ( Corriere, 3 febbraio) propone che un simile accordo venga stipulato prima delle elezioni, in modo che diventi vincolante qualunque sia la coalizione che le vincerà. Persino Silvio Berlusconi fa capire di non essere pregiudizialmente contrario.
Dopo quindici anni in cui la politica ha navigato a vista, forse è venuto anche il momento delle grandi coalizioni. Ma la domanda da porsi è se una coalizione fra Forza Italia e Pd renda più probabili le riforme. Non è detto. Un esempio: un'alleanza fra avvocati e notai — categorie ben rappresentate da Forza Italia — e i sindacati, rappresentati dal Pd, probabilmente garantirebbe stabilità al governo, ma certo non consentirebbe né la riforma delle professioni né quella del mercato del lavoro.
Romano Prodi ha fallito, ma la sua strategia era sottile. Partiva dall'osservazione che in Italia non esiste una maggioranza in grado di fare le riforme da sola. I riformisti devono quindi trovare degli alleati. Prodi li aveva identificati nella sinistra radicale, alla quale aveva offerto un patto chiaro: riforme in cambio di redistribuzione. La sinistra accettava i provvedimenti Bersani, non chiedeva che venisse abolita la legge Biagi; in cambio avrebbe ottenuto una forte redistribuzione del reddito a favore del lavoro dipendente e delle famiglie più in difficoltà.
All'inizio l'accordo ha retto: non è certo la sinistra che ha ostacolato Bersani, né ha strillato quando il governo ha confermato la legge Biagi. Chi non è stato ai patti sono piuttosto i riformisti: di redistribuzione in questi due anni se ne è vista molto poca. È interessante chiedersi perché.Prodi si è illuso che per mantenere l'impegno alla redistribuzione fosse sufficiente negoziare ogni legge con i sindacati, che certo non rappresentano i ricchi, ma neppure i poveri. (Errore tipico di una sinistra che ancora pensa che non si possa far nulla senza l'accordo dei sindacati). Un caso emblematico è il modo in cui nell'estate scorsa sono stati distribuiti i fondi stanziati per aumentare le pensioni minime. La quota maggiore non è andata alle famiglie più povere, bensì alle fasce di reddito più presenti fra gli iscritti ai sindacati. Lo stesso è accaduto quando il governo ha deciso di abbassare l'età minima della pensione, un provvedimento che ha favorito i lavoratori anziani, spesso iscritti ai sindacati, e che è stato pagato per una metà tassando i giovani precari, raramente iscritti a un sindacato.
Per la verità accade anche in Francia. Sarkozy ha delegato la riforma del mercato del lavoro a sindacati e imprenditori. Non sorprendentemente l'accordo che hanno siglato (si legga Francis Kramarz, sul sito telos-eu.com) non cambia sostanzialmente nulla, in particolare non fa nulla per aiutare i giovani.
Per giudicare se un accordo politico sia auspicabile occorre innanzitutto chiedersi se esso renda più facile attuare alcune riforme. Anziché dagli schieramenti meglio quindi partire dai contenuti, da un'analisi dei problemi che il governo, qualunque esso sia, dovrà affrontare dopo le elezioni. (Corriere della Sera)

Il peccato di Walter. Massimo Teodori

Sembra che Walter Veltroni proceda con il passo del gambero. Il primo giorno avanza per rafforzare il bipolarismo legittimando il dirimpettaio berlusconiano e bastonando i partitini; il secondo vira di fianco dando fiato alla solita solfa per cui gli avversari sono «un guazzabuglio» che fanno «maquillage»; e il terzo proclama di rappresentare la parte che è sempre stata bella e buona mentre gli oppositori sono brutti e cattivi.
E ieri è stato il terzo giorno. Da queste colonne abbiamo più volte dato atto a Veltroni di avere compiuto un gesto coraggioso quando ha rotto con i massimalisti, così contribuendo a razionalizzare il sistema con la formazione dell'unica lista del Partito democratico. Ma oggi non possiamo accettare la visione manichea del discorso elettoralistico di Spello.L'ambiguità di Veltroni è di presentarsi come una creatura angelica immune dai mali della sua antica appartenenza politico-ideologica e dalla responsabilità della sua recente coalizione di governo. Occorre ricordare che il leader Pd ha addirittura sostenuto di non essere mai stato comunista, e di volere incarnare lo spirito dell'America positiva contro quella negativa, ignorando che negli Stati Uniti vige uno spirito patriottico che non consente la contrapposizione tra politica buona e cattiva?
Perciò c'è qualcosa di effimero nelle parole di Walter. Come l'idea che la vittoria del suo partito avrebbe una ragione mentre il centrodestra sarebbe senza obiettivi; o che il centrosinistra è nuovo di zecca mentre gli avversari rappresentano il passato che si ripete. Vi pare credibile la promessa di ridurre le tasse perché il governo Prodi ha risanato il bilancio? Vi pare possibile la promozione di «un ambientalismo del fare», dopo che il centrosinistra ha bloccato ogni iniziativa di ammodernamento e, con Bassolino, ha riempito la Campania di spazzatura?
Le fantasie veltroniane sembrano non avere limiti. Fa sorridere l'affermazione secondo cui non è stata la politica del centrosinistra a essere sbagliata, ma la colpa è più in generale da attribuire alle divisioni politiche, quasi che venissero dal cielo e non dalla stessa coalizione di governo.
Ora che la ragionevolezza ha fatto un passo avanti sulla strada di una democrazia matura con l'eliminazione dei nanetti ricattatori, sarebbe opportuno che il leader democratico si spogliasse dalla vecchia presunzione dei comunisti che pretendevano di essere «moralmente diversi» mentre erano solo affetti dal complesso di inferiorità rispetto ai partigiani della libertà e della democrazia.Coraggio, Veltroni, la buona politica ha bisogno di parole di verità, non di immagini fasulle! (il Giornale)

venerdì 8 febbraio 2008

Giornalisti approsimativi. Valerio Fioravanti

Ci risiamo, i nostri giornalisti di sinistra si confondono, si immedesimano, sognano, e seguono la campagna elettorale statunitense come fosse la nostra. Stanno tutti con Obama, tranne sparuti manipoli di vecchie femministe che ancora parteggiano per la Clinton. No, non ci stiamo lamentando del fatto che i candidati conservatori ottengano la metà della metà dell’attenzione di quelli progressisti, ma della strana confusione mentale per la quale vorrebbero convincerci, come al solito, che loro, i progressisiti italiani, sono quelli più intelligenti perché sono quelli che stanno dalla parte dei candidati migliori. Se dicessero “Obama ci piace, ed è un gran peccato che nessuno dei nostri candidati gli assomigli anche solo lontanamente”, ne verrebbe fuori un interessante dibattito. Invece no: è come se ci dicessero che in realtà tutti loro sono come Obama, e che se l’Italia fosse lasciata nelle loro mani, diventerebbe una specie di super-america, un’America con solo le parti belle, con solo New York, Boston e la California. Peccato che in America, giornalisti così approssimativi avrebbero serie difficoltà a lavorare, e comunque, di certo, non avrebbero il “posto fisso” nelle tv e radio di Stato. (l'Opinione)

L'inflazione non misura il problema. Davide Giacalone

L’inflazione italiana schizza verso l’alto, è vero, ma è pur sempre inferiore alla media europea, a sua volta inferiore a quella statunitense. Con questo non voglio dire che non ci si deve allarmare, ma solo che il termometro dell’inflazione non è in grado, da solo, di dire molto sulla malattia che ci affligge. Oltre tutto non è neanche in grado di descrivere l’impoverimento.
L’inflazione è un indice che misura il rapporto, in momenti diversi, fra i prezzi di un determinato paniere di merci. Il dato che oggi si strilla si riferisce all’aumento registrato nel gennaio 2008 rispetto al gennaio 2007, il più alto a partire dal 2001. Ma oltre ai prezzi che aumentano si devono tenere presenti anche altri dati. Per esempio il reddito disponibile, ovvero la quantità di denaro che le famiglie possono effettivamente spendere. E qui sono dolori, perché se le tasse locali crescono del sessanta per cento è evidente che dal portafoglio dei cittadini si devono togliere quei soldi, così che il senso d’impoverimento non è dato solo dal tasso d’inflazione, quindi dal crescere dei prezzi, ma anche dall’avere meno denaro a disposizione per pagarli.
L’inflazione in sé, poi, non ha alcun significato esplicativo: se i prezzi crescono del cinque per cento ed i redditi del dieci siamo tutti più ricchi, non più poveri. Ed è proprio questo il problema italiano: la nostra inflazione, che oggi accelera, cresce meno che altrove, ma il nostro prodotto cresce molto meno che altrove, e comunque meno della metà dell’inflazione. Quindi siamo più poveri.
Per affrontare il problema, pertanto, non serve istituire figure ridicole, del tipo “mister prezzi” (a proposito, ha detto che i consumatori dovrebbero ribellarsi, e adesso che lo ha detto lui è tutto più chiaro), ma rilanciare fortemente la produttività, quindi la crescita. A frenarci ci sono due vincoli. Uno è esterno, ed oltre ai francesi sarà il caso che qualche altro governo europeo cominci a porre il problema della Banca Centrale Europea, impegnata a combattere una battaglia del secolo scorso, nel mentre si fanno sentire i sintomi del rallentamento della crescita. Il secondo è tutto interno, con un fisco che non solo pesa insopportabilmente, ma punisce proprio chi dovrebbe essere premiato, ovvero chi lavora di più e meglio.
Il ritardo economico dell’Europa ha anche radici istituzionali, e tale ritardo si amplifica in Italia, dove le istituzioni (e la spesa) hanno smesso da tempo d’essere governate. Per quanto non sia simpatico, stiamo vivendo un esempio di quanto i mercati non siano indipendenti dalla politica, e di quanto le politiche sbagliate danneggiano tutti.

giovedì 7 febbraio 2008

Nanoparticelle: i nuovi mostri per gli ambientalisti. Carlo Cerofolini

Per molti ambientalisti il nuovo mostro da combattere è costituito dalle nanoparticelle o nanopolveri presenti nell'aria che respiriamo, fatte passare per dei killer spietati. Siccome tutte le combustioni ne producono, ecco che queste sono diventate il più recente marchingegno usato per allarmare e mobilitare i cittadini e quindi bloccare la costruzione di temovalorizzatori dei rifiuti e di centrali termoelettriche, specie se a carbone (combustibile molto più economico e disponibile del gas e del petrolio). Ora, considerato che senza questi importanti impianti industriali in breve tempo l'Italia rischia di diventare un incivile paese sottosviluppato, vuoi per carenza e/o costo esorbitante dell'energia vuoi per le montagne di rifiuti che la sommergeranno, come Napoli e la Campania insegnano, è necessario fare chiarezza su queste nanoparticelle perché niente fa più paura di ciò che non si conosce o si conosce in modo distorto e soprattutto occorre fare distinzione fra le nanoparticelle di cui sopra - con cui si può dire da sempre conviviamo - e quelle «nuove» usate per le nanotecnologie, che però interessano gli ambienti di lavoro e non l'esterno e sono cosa ed hanno azione diversa. Qui si farà riferimento - per studi ed effetti - solo a quelle che non sono legate alle nanotecnologie. Nel dettaglio:

1. Definizione di nanoparticelle

Sono corpi tridimensionali che hanno almeno una delle loro dimensioni più piccola di 100 nanometri = 0,1 micron. Con la dicitura PM10 - PM2,5 - PM1, si indicano le particelle che hanno un diametro medio inferiore a 10 - 2,5 - 1 micron rispettivamente e, quindi, tutte contengono nanoparticelle.

2. Fonti delle nanoparticelle

Anche se i meccanismi di formazione delle nanoparticelle sono ancora oggetto di studio, si può dire che per la parte antropica derivano da procedimenti di combustione, soprattutto se ad alta temperatura, ed in questi sono compresi: fumo di tabacco, barbecue, il traffico veicolare e gli impianti di riscaldamento (specie se usano legna e derivati), di produzione di energia elettrica, di incenerimento, ecc.; mentre per la parte naturale le nanopolveri derivano da incendi boschivi, eruzioni vulcaniche, erosione di rocce, polvere cosmica, ecc.

3. Raggio d'azione e «distribuzione» delle nanoparticelle

Vi sono pareri discordanti sul raggio d'azione di queste polveri. Secondo alcuni si potrebbero diffondere per centinaia di chilometri. Tuttavia indagini sperimentali evidenziano un calo drastico del particolato ultrafine già a 150 metri dalla fonte antropica. Inoltre un recente studio svolto per la Provincia di Bolzano ha misurato la concentrazione di particelle di diametro compreso tra i 5,5 e i 350 nanometri (quindi polveri cosiddette ultrafini) in vari punti, trovando valori di 10-20.000 particelle per centimetro quadrato nei pressi dell'autostrada, 5-7.000 al camino dell'inceneritore, 5-10.000 nel punto di massima ricaduta delle sue polveri e 5.000 in una zona non antropizzata. E' da notare che non sono state ancora stabilite dalla legge delle regole di determinazione quantitativa e quindi se ne misura il numero per unità di superficie, che è più intuitivo e logico, e comunque, dai dati di cui sopra, si comprende che l'inceneritore non è poi così pericoloso come lo si vorrebbe far passare neppure sotto quest'aspetto. In questo senso viene confermato quanto emerso in diversi studi internazionali che individua come principale fonte delle polveri e delle nanopol­veri il traffico cittadino (cfr. studio dell'Umweltbundesamt del novembre 2006 Forschungsbericht 20343257/05 UBA FB 000942).

4. Azione e pericolosità delle nanoparticelle

Le nanoparticelle attraverso la respirazione possono penetrare facilmente all'interno delle cellule del corpo umano e, date le loro ridottissime dimensioni, non sono attaccabili dagli anticorpi e la loro possibile tossicità probabilmente è legata alle dimensioni oltre che alla forma e composizione. Secondo lo SCENIHR (Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks) - che è il comitato scientifico UE che si occupa dei nuovi/futuri rischi per la salute - attualmente gli «studi epidemiologici riguardo l'inquinamento atmosferico non forniscono evidenze che le nanoparticelle siano più dannose di particolato di maggiori dimensioni». Allo stato attuale l'unico studio epidemiologico esteso a tutta l'Europa sembra escludere una correlazione tra concentrazioni di nanopolveri e mortalità, anche se le indagini e gli approfondimenti doverosamente continuano. Gli studi che attribuiscono la causa di varie patologie alle nanoparticelle, non risulterebbero ancora pubblicati e non sono di conseguenza verificabili dalla comunità scientifica, anche se sul web tuttavia si sostiene l'esistenza di indizi molto significativi (tutti comunque da validare e relativi a pochi soliti autori), seppur legati a fatti straordinari quale l'attentato al World Trade Center dell'11 settembre 2001 a New York. Inoltre alcune patologie, attribuite all'azione delle nanopolveri, sono in realtà di natura psicosomatica.

5. Cattura delle nanoparticelle

A questo proposito va premesso il fatto che la normativa vigente Ue pone dei limiti solo alle PM10 e non contempla nessun obbligo per il particolato più fine, che comunque - anche con la tecnologia normalmente usata per rispettare tali limiti - viene fortemente abbattuto. Nello specifico: l'impiego del filtro antiparticolato (fap) per i veicoli con motori diesel consente di ridurre drasticamente il particolato fine e ultrafine, comprese le nanoparticelle. Per quanto attiene gli impianti di combustione, con particolare riferimento ai cosiddetti termovalorizzatori, i sistemi di abbattimento delle polveri sono in grado di operare con rese altissime anche su particelle di 1 micron ed i filtri elettrostatici riescono a bloccare, con un'efficienza del 90%, le particelle aventi dimensioni di 0,01 micron = 10 nanometri, cioè una buona parte di nanoparticelle (cfr. Handbook of Air Pollution Tecnology, edited by S. Clavert and H. M. Englund, J. Wilej and Sons, New York, 1984). Cosa che, per altro, è stata dimostrata anche di recente sul campo in Italia, ad esempio con il monitoraggio del 2007 relativo alle emissioni dell'inceneritore di Bolzano, dove è emerso che i filtri antiparticolato abbattono soprattutto le particelle più fini (inferiori a PM1).

Conclusioni: come ben si evince da quanto sopra, non c'è assolutamente nessun killer spietato in agguato mimetizzato da nanoparticelle. Il tutto, poi, è pure avvalorato anche dal fatto che attualmente l'incidenza dei tumori legati all'inquinamento atmosferico è solo del 2-3%, mentre per il sole e radon si sale al 10%, per il fumo di tabacco al 30% e addirittura si va dal 30% al 50% per il tipo di alimentazione. Infine, considerato che oggi la vita media in Italia è circa 80 anni ed è quasi il doppio dell'inizio del 1900, questo deve indurre all'ottimismo e ad aver fiducia nell'uomo e nella scienza e non essere sempre in ansia - anche se mai bisogna abbassare la guardia - come mai bisogna correre dietro ai pifferai magici che perseguono il rischio zero (che non esiste) e che, con il loro niet a tutto, portano rapidamente alla rovina. (Ragionpolitica)

martedì 5 febbraio 2008

L'8 settembre della politica. Davide Giacalone

Pare che in Val di Susa comincino ad accorgersi d’aver fatto una bella cretinata, bloccando i lavori del treno ad alta velocità. In Campania, di sicuro, si sono accorti che senza fare discariche ed impianti di smaltimento si finisce sommersi dalla spazzatura. In tutti e due i posti toccano con mano l’inutile autolesionismo dell’ecologismo falso. Dal nord al sud, inoltre, si valuta l’insipienza di un mondo politico incapace di rivolgersi alla popolazione coagulandone le convinzioni, favorendone lo sviluppo, accrescendone le informazioni disponibili, ma capace solo di cavalcare gli istinti più belluini, alla ricerca di un voto che non sarà mai consenso. Sto ancora aspettando che un leader nazionale dica: in Italia ci vogliono dieci centrali nucleari, in Campania ci vogliono sette discariche e tre termovalorizzatori, la ferrovia del futuro non deve escludere l’Italia, e queste cose si fanno, qui e là, ora. Invece sento solo dei conigli che pensano d’essere coraggiosi e pensatori perché affermano: facciamo un gruppo di studio, spediamo sul posto un commissario.

In Piemonte, almeno, la Bresso e Chiamparino hanno avuto il coraggio delle loro opinioni, sebbene non siano stati capaci di farle valere, come pure avrebbero potuto, sul governo dei loro stessi partiti. Altrove neanche questo. Ed il brutto (ulteriore) è che cresce il numero delle anime candide che si svegliano al mattino e cominciano a sparacchiar sentenze sui cittadini che protestano. E’ vero, molti di loro sbagliano, ed è anche vero che interessi loschi possono approfittarne, ma è vero, prima di tutto, che la politica e le istituzioni sono fuggite, in un otto settembre virtuale. La politica, in democrazia, non è l’arte di vincere le elezioni, magari guidati dai sondaggi, bensì la forza ed il coraggio di convincere gli altri di quel che si ritiene giusto, per quel che si crede sia l’interesse collettivo. I pentiti della Val di Susa, in fondo, prendono solo oggi, certamente tardi, in considerazione quegli elementi e quelle evidenze che erano già note allora, che lo sono sempre state, se solo si fosse voluto vederle. E quando noi scrivevamo a favore della Tav, così come delle centrali nucleari e degli impianti d’incenerimento, lo facevamo e lo facciamo mettendo in fila gli imprescindibili bisogni del Paese e la necessità di non arrecare inutili danni all’ambiente. Insomma, più politica e meno politicanti gioverebbe alla salute morale, economica, ed anche ambientale dell’Italia. (l'Opinione)

domenica 3 febbraio 2008

E ora chiudete l'ultimo spiraglio. Mario Giordano

«Mi toccherà lavorare anche lunedì», ha detto Franco Marini salutando la 33esima o 34esima delegazione (se ne è perso il conto) a Palazzo Giustiniani. E sembrava che stesse annunciando uno dei fatti più strani della sua vita. Da quando in qua si lavora di lunedì? Il fatto che la circostanza sia più o meno condivisa da milioni di italiani, non ha fatto nemmeno capolino nel subconscio del presidente finalizzato. Chissà, forse nella precedente vita faceva il barbiere.
Lunedì Marini incontrerà Pd, An e Forza Italia. Avrà poche cose da dire, per la verità. Lui continua a parlare di spiragli, ma lo fa più per dovere d’ufficio che per convinzione. L’ultimo messaggio è arrivato da Luca di Montezemolo: dopo la sua consultazione, ha pronunciato la frase magica: «Si vada alle urne».
Del parere di Montezemolo sulle elezioni, per la verità, poco ce ne importa. Siamo convinti che se uno vuole fare politica, si deve candidare e prendere i voti. È la democrazia, bellezza. Troppo semplice giocare a fare il Coso bianco o giallo o beige, lasciando sempre aleggiare una possibile candidatura a tutto e usando la forza delle imprese per comportarsi da capo-partito senza avere il partito. E, se dobbiamo dirla tutta, continuiamo a non capire la necessità di Marini di consultare lui, e insieme a lui Cgil, Cisl e Uil, artigiani, commercianti e Legacoop.
Ma che anche Montezemolo, gran sostenitore della riforma elettorale, abbia alzato bandiera bianca (senza Cosa bianca) la dice lunga sul fatto che di spiragli non ce ne sono più. E se ce n’erano, qualcuno ha messo il silicone. Infatti se, come pare certo, Berlusconi e Fini lunedì rifiuteranno definitivamente ogni pateracchio, la strada per le urne è inevitabile.D’altra parte non è questo il momento di avere esitazioni. Né governi balneari né governi Marini. In effetti quella di ieri è sembrata già una giornata di campagna elettorale più che di trattativa. Con tanto di veleni annessi. Veltroni parlava di «ansia di voto», Repubblica titolava: «Ultimo appello a Berlusconi». La manovra è chiara: sostenere che la responsabilità della fine della legislatura è del centrodestra perché non ha accolto la disperata offerta del finalizzato. Anche se lui, poveretto, lavora persino di lunedì.
Sinceramente, ci pare un po’ troppo. La legislatura non finisce perché Berlusconi respingerà l’ultimo appello: finisce perché il centrosinistra ha fallito e perché Prodi ha governato nel peggior modo possibile. E quello di Marini è stato, come si sapeva, solo un disperato prolungamento d’agonia, un’inutile perdita di tempo, oltre che una triste passerella di strambe delegazioni. L’ultima, a sorpresa, è stata quella del Comitato per la riforma elettorale, ricevuto ieri, probabilmente poche ore dopo la sua nascita. Dicevamo l’altro giorno che mancava solo che Marini consultasse pure gli Amici del bollito. Evidentemente non ci siamo andati lontani: gli amici sono arrivati a Palazzo Giustiniani. Il bollito c’era già. (il Giornale)

sabato 2 febbraio 2008

Ad Almunia piace rimproverarci ma a fasi alterne

Il commissario Ue Joaquin Almunia è oramai una nostra vecchia conoscenza. Egli interpreta da tempo ed egregia­mente il ruolo che vede i responsa­bili economici europei usare con il nostro paese l'arte del bastone e della carota. Ultimamente però si preferiva tirare giù bastonate: e Almunia si è preoccupato di farce­le avere. Sostenendo, ad esempio, che il governo italiano era in ritar­do sulla crescita, sbagliava sulle pensioni, era indietro sulla flessibi­lità. Per non parlare d'altro. Ecco invece che, a sorpresa, appena il governo è caduto (a causa, chia­miamolo così, di un incidente di percorso), il commissario europeo si è preoccupato subito di far sape­re che la politica di rigore dell'ese­cutivo Prodi deve continuare. E via con le lodi al ministro dell'Economia Padoa-Schioppa, capace di tenere a bada i conti pub­blici.

Il ministro Bonino che non si spa­venta certo per le battaglie perse, nonostante lo sconquasso avvenuto ha subito dichiarato: "L'Ue confer­ma le buone scelte del governo", trascurando il fatto che il governo non c'è più e che l'Ue in tono minore conferma anche tutte le cri­tiche che ha sempre fatto, quelle relative alla spesa e alla previdenza sociale. Anche prima si apprezzava il rigore, come è ovvio, visto che Bruxelles mitizza da sempre il rap­porto deficit - pil. Ma si faceva cadere l'accento sui difetti consi­stenti della politica economica ita­liana. Ora che non c'è più il gover­no, invece, guarda caso, Almunia accentua gli elementi positivi, che poi, detto chiaramente, sono quelli che hanno frenato il complesso della nostra economia. Né possiamo trascurare il fatto che l'Unione Europea, come la Banca centrale, la prima con la sua tesi sul pareggio di bilancio e la seconda con la difesa del valo­re della moneta, hanno portato il vecchio continente ad un passo dalla recessione. La Fed, che deve fronteggiare un problema simile per l'economia americana, non ha esitazioni e taglia il costo del denaro. La Bce non batte ciglio e il commissario economico della Ue invita l'Italia a mantenere i cordoni della borsa stretti, sapendo benissimo che il risanamento dei conti, il rigore, è interamente dovuto ad una politica fiscale for­sennata, che ha depresso i consu­mi e che, accompagnata da un surplus di spesa sociale, non serve né agli investimenti né ad altro.

La carota europea, che loda i risul­tati ottenuti senza preoccuparsi dei difetti che li hanno accompagnati (o per lo meno nascondendoli) ha effetti peggiori di una sana basto­nata. L'ossessione del rispetto dei parametri che vige nella Ue, sotto l'influenza della Banca Centrale, purtroppo si confà molto poco all'esigenza di crescita del conti­nente nel suo complesso. E infatti l'Europa invecchia e non cresce. Il fatto che oggi anche gli Usa vivano un momento di difficoltà non aiuta. E se in America corrono subito ai ripari, da noi si consigliano medi­cine amare buone per stendere il paziente, non per curarlo. (La Voce Repubblicana)

La lezione romena al tagliatore di alberi. Salvatore Scarpino

Una lezione che viene da lontano, da Bucarest. Un’operazione discreta ed efficace eseguita ieri mattina da agenti della polizia ferroviaria di Milano e Bologna ha portato all’arresto, nella stazione del capoluogo emiliano, di un cittadino romeno, Chirica Viorel, 36 anni, originario di Buzau. L’arresto ha impegnato diversi uomini ed è stato effettuato sulla base di un mandato di cattura internazionale emesso dall’autorità giudiziaria romena. Chi è Viorel? Un complice di terroristi internazionali? Un assassino, uno stupratore, un rapinatore particolarmente violento e pericoloso? Nulla di tutto questo: il romeno è colpevole di aver tagliato nel suo Paese, per rubarli, alberi protetti, specie tutelate e sottratte al commercio. Questo reato gli è valso, in Romania, una condanna a due anni e mezzo di reclusione, sanzione alla quale ha tentato di sottrarsi fuggendo in Italia.
La Romania è un Paese che ha mille problemi, ma è uno Stato che sembra non avere smarrito il senso del diritto, con annessa certezza della pena. Ai magistrati romeni non piace che i condannati volino liberi come rondini ed è paradossale che la nostra polizia abbia dovuto impegnarsi per uno straniero al quale, senza quel pezzo di carta internazionale, non avrebbe riservato particolare attenzione, anche se avesse commesso più allarmanti reati. Da noi tanti romeni non fanno i boscaioli, si dedicano a più redditizie attività criminali, come la tratta dei piccoli mendicanti, oppure il furto sistematico di cavi di rame. I più individualisti fra loro si dedicano alle rapine, non disdegnando gli stupri e gli omicidi. Ma le forze dell’ordine non li braccano né sui treni né sulle strade, perché nessun magistrato ne ordina la cattura a tutti i costi. Taglio di alberi protetti, cos’è? In Italia nemmeno Pecoraro Scanio, il sinistro arciambientalista, avrebbe chiesto l’arresto di un immigrato gravato da quest’accusa.
Sì, anche da noi si arrestano i romeni responsabili di reati, ma le detenzioni che ne seguono sono rapide, inconcludenti. Non è un mistero che le nostre carceri abbiano le porte girevoli come certi alberghi: si entra e si esce con estrema facilità, se poi c’è un indulto la rotazione della porta è rapidissima. Tanti magistrati dovrebbero prendere lezioni di tenacia e di efficienza in Romania: ve l’immaginate un mandato di cattura internazionale, emesso dalla nostra autorità giudiziaria con una richiesta d’estradizione, per un immigrato colpevole di reati non gravissimi in Italia e sospettato di essere fuggito all’estero?
Fantascienza. È anche per questo lassismo giudiziario che le forze di polizia si stufano di acciuffare malviventi stranieri che dopo pochi giorni si ritrovano in strada, a commettere le stesse porcherie.
È questo contesto sbracato che spiega perché i romeni inseguiti dalla polizia di casa, o decisi a intensificare la loro attività criminale impunemente, accorrono in Italia. Le periferie di certe nostre città calamitano i malavitosi di ogni estrazione così come la Tangeri di decenni addietro calamitava ogni sorta di irregolari.
Certo, ogni tanto ci si imbatte in qualche magistrato romeno che non molla. A proposito, bisognerebbe importarne un po’ di questi giudici così tignosi da voler dare esecuzione alle sentenze. Non ai semplici proclami d’accusa. (il Giornale)

IBL: Malpensa, la soluzione è liberalizzare

Per l'Istituto Bruno Leoni, la via d'uscita dalla crisi dell'aeroporto di Milano Malpensa sta nell'apertura al mercato e alle compagnie low cost. Lo sostiene Andrea Giuricin, fellow dell'IBL, nel Focus “I vantaggi della liberalizzazione per Malpensa” (PDF).

Commenta Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL: “la decisione di Alitalia di rilasciare gli slot di Milano Malpensa entro i termini del 31 Gennaio è positiva. La compagnia italiana di bandiera non è mai stata in grado di sostenere un doppio hub. Milano Malpensa può da questo momento adoperarsi per cercare sul mercato i propri clienti, le compagnie aeree che vogliano investire sullo scalo milanese. La liberalizzazione dei voli europei e quella imminente dei voli verso gli Stati Uniti sono una grande opportunità di mercato per l’aeroporto gestito dalla SEA”. Quindi, “il Focus di Giuricin dimostra che, sebbene nei prossimi 9 mesi lo scalo lombardo avrà delle difficoltà, nel medio periodo le opportunità di avere delle compagnie aeree più forti rispetto ad Alitalia è un vantaggio per Malpensa”.

Il Focus di Andrea Giuricin “I vantaggi della liberalizzazione per Malpensa” è liberamente scaricabile qui (PDF).

venerdì 1 febbraio 2008

I Verdi usano i "rospi" contro le grandi opere. Dario Giardi

I verdi non sanno più cosa inventare per ostacolare la "variante di valico”, quel tratto nuovo di autostrada fra Bologna e Firenze che dovrebbe alleggerire il traffico su “nonna” Autosole (progettata e costruita negli anni ’50), cronicamente intasata da una fila ininterrotta di Tir nelle gole appenniniche di Roncobilaccio. Un’opera indispensabile, che se fosse stata inaugurata 30 anni fa avrebbe salvato centinaia di automobilisti e camionisti morti in sorpassi arrischiati su quel tratto. È ancora in alto mare, la variante, pur essendo un intervento già discusso, approvato, finanziato e “cantierato”. Anche Di Pietro ci ha ormai perso la pazienza e la salute denunciando la situazione: prima ci sono state le proteste per le falde acquifere deviate, poi le inchieste penali per l’indebito scarico di “materiali pericolosi” (terra di scavo!), poi le solite geremiadi contro il “devastante impatto ambientale” (il mantra preferito da certi ambienti ambientalisti) ed oggi il salvataggio dei rospi. Si tratta di salvare i Bufo bufo, normalissimi rospi, una parte dei quali di solito muore sotto le ruote dei veicoli quando, per accoppiarsi, attraversa strade trafficate.

Ci sono decine di volontari che di notte vigilano per salvarne il più possibile. Arrivano al calar del buio e sistemano delle luci di segnalazione tipo lavori in corso nei tratti di strada interessati dal passaggio degli anfibi. Poi, alla luce delle pile, raccolgono quelli che lentamente attraversano la strada e li traghettano in salvo. “Dal 7 al 26 febbraio 2007 abbiamo salvato 395 rospi e ne abbiamo contati 150 che purtroppo non ce l’hanno fatta”, dice sconsolato un agronomo bolognese di cui vi risparmio il nome. E aggiunge che nel 2006 ne avevano salvati 310 e perduti 215. A lui dei morti (umani, non anfibi) sulla Roncobilaccio per colpa della variante ferma non importa un fico secco. Né delle centinaia di specie di galline ed altri animali domestici estintisi negli ultimi 50 anni perché non rispondenti agli standard di resa carnea richiesti dagli allevatori. A lui, importano i rospi, e per salvarne qualche centinaio passa notti e notti sulla strada, all’addiaccio. E blocca la variante. Non per fare il goliardaccio, ma… e occuparsi meno degli anfibi e più delle passere? Perché se tutti passassero le notti come lui e i suoi amici verdi, si estinguerebbe la razza umana, non quella rospina.

Antonio Di Pietro giustamente non si dà pace. Per la sua resistenza alla linea oltranzista dei Verdi è accusato di fiancheggiare posizioni del centrodestra, anche per non aver bloccato i progetti avviati dal precedente governo. La modernizzazione del Paese non deve conoscere colori politici, non succede in nessun paese civile. Il danno sull'indotto provocato dai veti continui è terribile. Ogni appalto ha contenziosi, ricorsi al Tar, pareri legali contro pareri legali. Sprechi di denaro inauditi. Dio non voglia che, lungo il percorso di un' opera, si trovi un laghetto con due cigni e due papere. Per aggirarlo si deve studiare una variante e prevedere un nuovo percorso che viene a costare altre centinaia di milioni di euro. E poi magari loro, i Verdi, festeggiano con un buon pranzo a base di papere. Anzi canard, come li chiamano con snobismo ambientale. L’Italia non ha bisogno di questo ambientalismo ideologico ed estremo; ne tantomeno di quello che oggi, di gran fretta, settori moderati del centro sinistra si apprestano a definire come “ambientalismo del fare”. Troppo poco….troppo tardi. L’Italia deve marciare velocemente verso un’economia ed uno “sviluppo di qualità” all’interno del quale il governo dell’ambiente definisca politiche di sostenibilità mature, serie e strettamente correlate alle altre esigenze di sviluppo del Paese. (l'Occidentale)