giovedì 15 novembre 2012

Botte di orbi. Davide Giacalone

Lo hanno chiamato “sciopero europeo”, ma non è vero. Gli scioperi ci sono stati nell’Europa che affoga, non in quella che galleggia o nuota. Ci sono stati dove i morsi della crisi hanno già strappato le carni, come in Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Nelle lande della transnazionalità recessiva. Altrove qualche manifestazione o raduno. Se fosse stato “europeo” sarebbe stato un buon segno, tutto sommato, perché, che si condividano o meno gli slogan della protesta, avrebbe messo in luce un comune sentire e la necessità di un comune interlocutore. Invece le proteste si sono concentrate sulle conseguenze della crisi, indirizzandosi contro i governi nazionali che ne sono i gestori contabili. Con l’assurdo che si sono paralizzate le città epicentro della recessione, così amplificandone le dimensioni.


Protestare e scioperare è lecito, in democrazia, ci mancherebbe altro. Spero sia lecito anche segnalare la confusione mentale e culturale della protesta. Da una parte non si vogliono i tagli alla spesa pubblica, dall’altra si assaltano le banche che non prestano i soldi e strozzano i clienti. Ma per finanziare la spesa pubblica le banche hanno ricevuto soldi dalla Banca centrale europea, con cui comprare titoli del debito statale. Nel momento in cui scarseggia, o diventa troppo caro, il credito internazionale i soldi o li metti a finanziare la spesa pubblica o li metti nel circolo della vita civile, per imprese e famiglie. E siccome la spesa pubblica è largamente improduttiva, siccome i tagli a quella hanno effetti recessivi inferiori all’aumento della pressione fiscale, le proteste europee dovrebbero chiedere il contrario di quel che urlano: basta con la spesa pubblica, basta con le tasse troppo alte. Se i portatori d’interesse non conoscono i propri interessi diventano interpreti d’astratti furori. Che non portano a nulla, o portano a credere che si è tanto più convincenti quanti più cordoni di polizia si forzano. Così finisce male.

Meglio dirlo subito: ogni violenza deve essere punita. Nulla può giustificare lo scendere in piazza come se si andasse in guerra.

In Italia i protagonisti della protesta sono stati gli studenti. Hanno di che protestare, eccome. Ma non ho sentito chiedere una scuola più selettiva e meritocratica, nonché più vicina al mondo produttivo. Non ho sentito reclamare università capaci di osmosi con le imprese. Ho sentito la solita gnagnera de: la scuola pubblica non si tocca e no ai tagli. E’ grazie a questo genere di idee che ci troviamo con i peggiori risultati comparati, in quanto a preparazione degli studenti. E’ grazie a quel genere di diplomificio fine a sé stesso che il numero dei laureati è ridicolo. Mica scappano perché è difficile, se ne vanno perché è inutile.

Gli studenti dovrebbero chiedere tagli alla spesa pubblica corrente e cancellazione della scuola ottocentesca, fatta di libroni, quaderni, gesso e lavagne. Dovrebbero far vedere che il cellulare, e spessissimo lo smartphone, lo hanno in tasca, sicché si potrebbe utilizzarlo non solo per la socialità, ma anche per la didattica e l’interazione amministrativa. Da anni i governi rinviano la scuola digitale, cedendo alla lobby degli stampatori. Non m’è giunta notizia di proteste.

In uno striscione, retto da giovanissimi, ho letto che le ore d’insegnamento non devono essere più di 18, con evidente riferimento al (fallito) tentativo governativo di portarle a 24. Ma il loro interesse non è mica quello di avere la classe docente più affollata della media europea, salvo essere la meno pagata al mese e la più pagata a ore. Il loro interesse, semmai, è che la meritocrazia si faccia valere anche fra le cattedre, che i bravi professori siano premiati e che i tanti somari, specie all’Università, siano cacciati. Sono proprio quei lavativi cattedratici, quegli ignoranti che insegnano a gioire della difesa a spada tratta del modello pubblico, così passeranno direttamente dall’esamificio alla pensione. A spese di quelli che oggi protestano e domani reclameranno ancora spesa pubblica, per pagare la pensione degli altri.

Certo che servono una coscienza e una protesta europee. Come serve un’autorità, democratica, europea. Ma quelli visti ieri sono i brontolii di un corpo messo a troppo ridotta dieta, non assistiti dall’intelligenza che avverta il veleno dell’ingrasso precedente. Se non ci fosse l’Unione europea ciascun Paese conterebbe meno, e se non ci fosse l’euro si potrebbe sì svalutare, ma rodendo con l’inflazione i redditi familiari che mantengono i manifestanti. Non serve a nulla neanche avere ragione, se non si conoscono le proprie ragioni e si marcia difendendo i torti.