lunedì 31 dicembre 2012

Berlusconi risponde...

Giuseppe Intorre - Chiedo scusa, domando da profano: per quale motivo, visto che ha lavorato così male, fino all'altro ieri voleva Monti a capo della sua coalizione?

Silvio Berlusconi - Io non giudico la persona Mario Monti, giudico l'operato del governo dei tecnici e lo valuto a partire da tre aspetti: i dati economici oggettivi sono tutti negativi per gli italiani; l'enorme diffusione nel cuore dei cittadini di tristezza, sfiducia e pessimismo, sentimenti con i quali nessuno ha mai costruito nulla di buono; il fallimento del patto riformatore fondativo del governo: nonostante una maggioranza senza precedenti, il governo tecnico non ha saputo fare le grandi riforme - istituzioni, giustizia, costi della politica - per completare le quali avevamo appoggiato la sua nascita.
Ho chiesto a Monti di essere il federatore dei moderati italiani perché ho da sempre chiaro che i moderati sono la maggioranza in Italia e solo se si dividono fanno vincere la sinistra. 
Per questo dal 1994 ho lavorato per mettere insieme tutte le forze alternative alla sinistra. 
Per cercare di ricomporre l'unità dei moderati, nell'ultimo anno ho fatto tre passi indietro: dal governo, dal Popolo della Libertà, dalla prima linea della politica. Speravo che altri sedicenti moderati si unissero a noi. Così non è stato.
Ho voluto fare un ultimo tentativo, invitando il senatore a vita Mario Monti. L'ho fatto sapendo di fare un gesto indigesto alla maggioranza dei miei elettori: tuttavia lo reputavo necessario per aumentare le possibilità di battere la sinistra, ricomponendo l'unità completa dei moderati.
Oggi Monti ha scelto di dividere la sua strada dalla mia. Così è diventato di fatto un alleato della sinistra: ora indiretto, perché divide il fronte moderato; dopo le elezioni, nei suoi piani, prevede una esplicita alleanza con la sinistra. Moltiplicheremo il nostro impegno per evitare la vittoria di Bersani e Vendola, che renderebbe ancora più drammatica la già difficile situazione delle famiglie italiane e renderebbe permanente la recessione. (Forzasilvio.it)

venerdì 21 dicembre 2012

Tassa spazzatura. Davide Giacalone

La tassa sulla spazzatura è una tassa spazzatura. E’ la mascheratura dell’ennesima patrimoniale, un ladrocinio senza corrispettivo di servizi, un prelievo commisurato alle inefficienze comunali, un salasso per non risolvere i problemi e, come se non bastasse, un monumento all’idiozia legislativa e al sopruso incivile. Basti pensare che pagheremo ancora un’addizionale “ex Eca”, che sarebbe un di più che era dovuto agli enti comunali d’assistenza, istituiti nel 1938 e soppressi nel 1978. La Tares (fu Tarsu, fu Tia, fu TaRi), così ribattezzata dalla fantasia malata di chi cambia nome alle cose per lasciare le cose come stanno, è l’incarnazione del satanismo fiscale. Filiazione di uno Stato tanto più esigente quanto più inefficiente.


E’ una patrimoniale perché si paga in ragione dei metri quadrati e non dell’attitudine a produrre rifiuti. Una persona che vive da sola in 300 metri quadrati pagherà di più di quindici persone che vivono in un terzo dello spazio, laddove è evidente che i secondi produrranno assai più rifiuti (il pattume di ciascuno di loro varrà il 2,3% di quello del solitario). E’ giusto così, sento dire, perché è bene che paghino di più i ricchi. Ma è assurdo, perché già si paga una patrimoniale sulla casa (Imu) sicché questa è la seconda tassazione della stessa cosa. In più sono tenuti a pagare tutti quelli che possiedono, occupano o detengono, a qualsiasi titolo, qualsiasi tipo di locale, quindi ci sono cittadini che pagheranno due o tre volte per il medesimo servizio. E pagheranno cifre che non hanno nulla a che vedere con il servizio in questione.

Veniamo a quello, al servizio: peggio funziona e più si paga. Vorrà pur dire qualche cosa che la tassa più alta la pagano e la pagheranno i napoletani, periodicamente e ricorrentemente abbandonati ad annegare nella spazzatura! Più un comune è inefficiente, più gli costa gestire i rifiuti, più fa pagare ai cittadini. E andrebbe anche bene, se tutti i poteri e le responsabilità fossero del comune, perché, in quel modo, i cittadini saprebbero che c’è una cosa da fare, subito: sbarazzarsi del sindaco. Invece, posto che di molti sindaci sarebbe bene sbarazzarsi, i comuni hanno solo una parte dei poteri e delle responsabilità. Ad esempio: dare vita a un serio ciclo di smaltimento e sfruttamento dei rifiuti non è solo doveroso, ma anche economicamente conveniente, salvo il fatto che poi il termovalorizzatore non riesci ad aprirlo, complice una cittadinanza (mai dimenticarlo, perché ci sono anche colpe dei cittadini, mica solo quelle della politica) che è pronta a dire “no” a qualsiasi cosa, in questo modo avallando l’unica politica fin qui praticata: tassa e sperpera.

Poi ci sono le colpe specifiche dei comuni: non potrà mai funzionare una raccolta differenziata per la quale non vengono forniti gli strumenti e che, visibilmente, è una presa in giro. A Roma ho la casa da una parte della strada e l’ufficio dall’altra: a casa c’è la differenziata, ma non distribuiscono i sacchetti per metterci la roba, in ufficio non c’è, sicché tutto finisce assieme e marameo a chi s’affanna a dividere. Però pago due volte, per due servizi che non solo non sono uguali, ma che col piffero che hanno quel valore.

Quella dei rifiuti è un’emergenza nazionale, direttamente proporzionale al caos istituzionale delle autonomie locali. Siamo un Paese esportatore di spazzatura, arricchendo quelli che si prendono la nostra e sfruttano sia la nostra minchioneria che i nostri rifiuti. Roba da dare le craniate contro al muro. Quel che serve è un piano nazionale, con investimenti che non sono alla portata delle municipalità e che giustificherebbero un prelievo oggi ingiustificato. E’ la realtà che deve cambiare, non il nome della tassa.

Infine: con un emendamento alla legge di stabilità è stata spostata la prima rata da gennaio ad aprile. Questa sarebbe la ragione: dare respiro a contribuenti che hanno appena pagato l’Imu. Delle due l’una: o sono bugiardi o sono tutti evasori fiscali, posto che una cosa non esclude l’altra, perché ad aprile siamo alla vigilia della dichiarazione dei redditi e relativo versamento del saldo. Quindi questa è solo una miserrima trovata elettoralistica, posto che la Tares sarà più cara delle tasse che sostituisce e che, quindi, in un anno di ulteriore recessione, la pressione fiscale aumenterà. L’esatto contrario di quel che serve. Ecco perché questa è una tassa che, assieme all’intera politica fiscale, merita d’essere buttata nella spazzatura.
Pubblicato da Libero

domenica 2 dicembre 2012

La lezione Sea. Davide Giacalone

L’insuccesso della quotazione Sea non ha avuto nulla d’imprevedibile, in compenso dovrebbe servire da lezione per l’intero sistema Italia. Ove non si voglia farsi ripetutamente e costosamente del male. I giornali lo presentano come il frutto della lite fra azionisti, e segnatamente fra il comune di Milano e il fondo F2I, ma quello è un aspetto secondario, sebbene colorito. I due azionisti possono anche, se li diverte, continuare a suonarsele davanti a qualche giudice, ma noi tutti faremmo assai male a non capire il senso del giudizio espresso dal mercato. Decisivo, perché riguarda non solo quella quotazione, ma l’intero processo di vendita di parte consistente del patrimonio pubblico. Cui, meglio prima che dopo, si dovrà mettere mano.

Per conoscere i dati del problema non era necessario pagare, con generosità, uno stuolo di consulenti, noi li avevamo messi in fila su queste pagine. Erano accessibili allo strepitoso prezzo di un euro e venti centesimi. Un anno fa la società Sea (che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa, controllata dal comune, per il 54,8%, e dalla provincia di Milano, per il 14,56) era stata valutata 1,3 miliardi. Valutazione non teorica, perché sulla base di quel valore era stata venduta una quota a F2I (il 29,75%). Dopo un anno, che gli amministratori hanno descritto come di grandi successi e guadagni, è stata presentata al mercato con una forchetta che andava da 800 milioni a 1 miliardo e 75 milioni. Come anche qui anticipato, il limite più basso è stato considerato troppo alto. Già questo doveva essere più che sufficiente per sconsigliare d’avviare il processo di quotazione.

La colpa del ritiro ora si attribuisce alla condotta di F2I (partecipata da Cassa Depisti e Prestiti e da fondazioni bancarie, quindi con una natura pubblica, ma con la disciplina di un fondo privato). Non c’è dubbio che il fondo ha fatto di tutto per evitare di incassare una svalutazione della propria quota, ma c’è da chiedersi se, in questo modo, ha ostacolato o favorito una seria politica di dismissioni. Perché se si ammette che quel che il pubblico vende possa svalutarsi anche della metà del valore, in un tempo così breve, chi mai comprerà? Se l’indicatore Sea fosse stato assunto a termometro generale, allora il mercato si sarebbe preparato a chiedere di pagare subito la metà di tutto quello che lo Stato italiano vorrà vendere. Non è neanche una zappata sui piedi, sarebbe stato come darsela direttamente in fronte.
I
l Comune di Milano, oggi, sembra lamentarsi del fatto che gli è stato impedito di prendere il patrimonio dei milanesi, svalutarlo e, non contento, di piazzarlo in Borsa a danno dei risparmiatori. Che è come dire che un risparmiatore milanese sarebbe stato fregato più volte. Vale per l’intero patrimonio pubblico: procedere in questo modo è suicida.

Come si è potuti cadere in un simile abbaglio? Semplice: pretendendo di andare in Borsa non a vendere un progetto di sviluppo, ma per fare cassa, per dare soldi alla provincia, con la pretesa, comunque, che a comandare sarebbe rimasto il comune, quindi la giunta, quindi la maggioranza politica, quindi la politica. Stavano quotando la politica. Ecco l’errore. E siccome dovremo fare vendite e quotazioni, meglio prendere nota dell’errore e non ripeterlo.

Le municipalizzate sono dei mostriciattoli. Le municipalizzate quotate sono dei mostri. Per venderle, com’è saggio fare, o ne quoti la contendibilità, quindi non tieni la mano pubblica in maggioranza e al comando, oppure fai entrare soggetti finanziari in grado di valorizzare e vendere. Era il caso di F2I, che non andava sfidato a svalutare la propria quota, ma, semmai, a prendere il resto alla medesima valorizzazione. Non lo hanno fatto solo perché volevano continuare a comandare, ma con i soldi degli altri. Non poteva che finire male.

La politica di dismissioni deve accompagnarsi a quella di valorizzazione e liberalizzazione, altrimenti è una truffa: vuoi per il cittadino, vuoi per il risparmiatore, vuoi per entrambe. Nel caso degli aeroporti, inoltre, vendere va di pari passo con il preparare un serio piano nazionale degli scali, altrimenti si prendono musate come questa e come quella incassata dal comune di Torino, che volendo vendere partecipazioni Sagat (società che gestisce Caselle) non trova compratori. Il mercato, quello vero, ambisce a far profitti, non a diventare socio del sindaco.

Serve una politica nazionale delle dismissioni, servono scelte che rendano libero e prezioso quel che si vende e serve che i vari pezzi della troppo vasta e onnipresente mano pubblica non giochino a fregarsi a vicenda. Senza ciò si può solo svendere e impoverirsi, subordinando l’interesse collettivo a piccole convenienze. La lezione è chiarissima. Speriamo gli scolari non siano troppo testoni.