giovedì 30 gennaio 2014

Perché la sinistra è chic e la destra puah? Paolo Pillitteri

 


Ieri su “Il Giornale”, oltre ad un ottimo fondo sulla questione Giustizia del nostro direttore Diaconale, abbiamo letto con gusto, riflettendoci un po’ sopra, un articolo-saggio di un brillante Luigi Mascheroni che non si limita solo a prendere in giro la mainstream gauchista spalmata sui mass media, ma entra in medias res citando personaggi e luoghi (comuni) in cui le azioni e le reazioni degli addetti ai lavori di sinistra si comportano come un gruppo affiatato e scafato pur rimanendo, a ben vedere, nell’eterna, casereccia dimensione dei compagnucci della parrocchietta.

In effetti, e seguendo la riflessione di Mascheroni, uno dei pochi (e vedremo il perché) intellettuali non iscritti alla suddetta mainstream press, gli esempi offerti quotidianamente da quel sistema offensivo-difensivo spiegano tanti perché. Perché, infatti, un capace giornalista come Giovanni Toti - prestato alla politica di Forza Italia - se viene fotografato in tuta con a fianco il Cavaliere suo sponsor diventa automaticamente, per quei furboni della critica progressista, una macchietta, un cretinetti, mentre un altro non meno bravo giornalista come Gad Lerner (nel cui blog, detto inter nos, non mancano intriganti provocazioni) se fotografato in boxer a fianco di Carlo De Benedetti rimane, per antonomasia, l’intellettuale hipster.

È l’identico ragionamento provocatorio, au contraire, che ha suggerito alla bonomia di Paolo Liguori di aggiungere, sempre a proposito di Toti in tuta (bianca) che, se la indossa costui è un impresentabile, mentre Obama in tuta è un genio. E gli esempi continuano, si agganciano al super-medium televisivo nella cui offerta di giudizi incrociati - incrociati esattamente come le partecipazioni a talk, Twitter e blog - è facile rinvenire quella vena di appartenenza-supponenza che l’intellighenzia italiana nutre nei confronti degli altri, dei diversi, della destra. La quale si mostra a volte nella Rete 4, a volte altrove ma sempre e comunque sottoposta a una visione riduttiva, a una critica che è più un pregiudizio che un giudizio.

Mascheroni, implacabilmente, cita il caso della trasmissione di Formigli su “La7” che ha raggiunto, l’altra sera, il 5% ed è stata salutata come un successo; mentre il programma di uno che non è più una new entry ma una riuscita conferma come Paolo Del Debbio, pur avendo raggiunto il 6,5%, è considerato un imbarazzante turista per caso su una rete del Caimano. E così via, passando per le invasioni barbariche, gli otto e mezzo e il resto. Dopodiché e fermo restando gli opportuni appunti di Mascheroni che si aggiungono ai nostri da anni (si parva licet), dobbiamo comunque ragionare sul perché la sinistra, in Italia e soltanto in Italia, è sempre chic e la destra è sempre o quasi puah, impresentabile, imbarazzante.

Senza annoiarvi, dobbiamo per forza citare il lavoro di largo raggio e di lunga lena che dal dopoguerra i nipotini di Gramsci, Togliatti e Berlinguer hanno compiuto conquistando le “cittadelle borghesi” di cultura, arte, scuola, università, ricerca, editoria, giornalismo e, infine, tivù; il medium dove quel lavorio ha acquisito e contraddistinto in Rai, reti, telegiornali, programmi, talk e, in quelle private, l’intera La7 la cui informazione è marchiata indelebilmente da un caposcuola come Enrico Mentana, che non è certamente di destra. E perché? Perché da sempre, dal dopoguerra, da De Gasperi in poi, il centro, per non dire il centrodestra e figuriamoci la destra, non si sono mai occupati degli intellettuali, dell’arte, della cultura, spregiativamente definiti “culturame”.

La destra politica -e lo dice uno che è orgoglioso di essere un socialdemocratico senza tessera - non conosceva fino a una ventina di anni fa neppure Karl Popper, mentre uno dei pochissimi, autentici pensatori di quell’area, il grande filosofo cattolico Del Noce, è sempre rimasto una sorta di mosca bianca. E arriviamo a Berlusconi. La storica indifferenza del Cavaliere per la cultura fa da pendant, nel suo pensiero, con l’idiosincrasia per la parola partito, benché, col tempo, anche le sue televisioni hanno fatto passi in avanti in quell’ambito. Ma siamo ai passetti, Toti in tuta compreso. Perciò, direbbero i due indiscutibili opinion maker radiofonici, Cruciani e Parenzo: di che stiamo parlando?

(l'Opinione)

 

martedì 28 gennaio 2014

Le toghe intimidatorie. Arturo Diaconale

 

È difficile stabilire se le inchieste ed i processi a carico di Silvio Berlusconi rappresentino dei precedenti che spianano la strada a nuove forme di giurisdizione o se siano solo, grazie al grande rilievo mediatico che sempre assumono, lo specchio su cui si riflette una serie di nuove tendenze già presenti nella realtà giudiziaria del Paese.
 Il pm Antonio Sangermano e gli avvocati Piero Longo e Niccolò Ghedini

È probabile che solo in futuro, quando le vicende degli ultimi vent'anni e del presente saranno diventate storia, si potrà stabilire se su questo terreno sia nato prima l'uovo o la gallina. Per il momento bisogna accontentarsi di indicare ciò che emerge dall'ultima vicenda giudiziaria del Cavaliere. Che non è solo un atto dovuto, come ha sottolineato il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, a proposito dell'apertura dell'inchiesta per corruzione di testi e falsa testimonianza a carico di Berlusconi, dei suoi avvocati e di tutti i testimoni a favore della difesa nei processi Ruby 1 e Ruby 2. Ma è qualcosa di molto più importante e significativo. Che non riguarda solo le vicende personali dello stesso Berlusconi, degli avvocati Longo e Ghedini, di oltre quaranta ragazze e tutti gli altri indagati. Ma che solleva una questione che riguarda indifferentemente tutti i cittadini: quella della tendenza crescente alla limitazione del diritto alla difesa attraverso il ricorso sistematico alle incriminazioni per falsa testimonianza. Il processo Ruby 3 diventerà sicuramente il terreno su cui i difensori di Berlusconi e di tutti i suoi testimoni a favore incriminati solleveranno la questione del limite al diritto di difesa posto dall'uso massiccio da parte dei magistrati giudicanti ed inquirenti dell'incriminazione degli stessi testimoni. Non ci vuole una particolare scienza nel cogliere il potere intimidatorio dell'«atto dovuto» a cui ha fatto riferimento, peraltro in maniera formalmente corretta, Bruti Liberati. Quanti testimoni avranno la forza di confermare le loro deposizioni di fronte alla concreta prospettiva di subire pesanti condanne? E, al tempo stesso, quante ritrattazioni e correzioni potranno sfuggire al sospetto di essere state provocate non dall'amore per la verità, ma dalla paura di sanzioni ingiustificate? Il clamore mediatico che inevitabilmente si determinerà attorno alla vicenda trasformerà la natura del Ruby 3. Non si discuterà più solo di una vicenda pruriginosa che riguarda la vita privata di un cittadino o di giustizia a orologeria ai danni di un leader determinante per le sorti politiche del Paese. Si aprirà una questione d'interesse generale, come la sorte del diritto di difesa di tutti i cittadini. E questa inevitabile attenzione dell'opinione pubblica sul caso personale del Cavaliere farà scoprire che la tendenza a colpire il diritto di difesa non è una novità prodotta dal caso Berlusconi, ma un fenomeno ormai ampiamente diffuso dipendente dal progressivo processo di sacralizzazione della magistratura avvenuto negli ultimi due decenni. Le toghe sono state trasformate da amministratori di giustizia a depositari di verità. Con il risultato che, come ai tempi dell'Inquisizione, la verità non può essere messa in discussione, ma deve trionfare sempre e comunque. Anche a dispetto del diritto di difesa che, a causa della concezione sacrale della magistratura, diventa reato di eresia da perseguire ad ogni costo. Anche con la tendenza crescente al ricorso all'incriminazione per falsa testimonianza come strumento di intimidazione per la conversione alla verità espressa dal magistrato di turno!

(il Giornale)

 

venerdì 24 gennaio 2014

ArchivioAndrea's Version

24 gennaio 2014

Andiamo, dài, quello nei confronti dell’Amor nostro, delle sue ospiti, dei difensori e dei testimoni a favore, era nient’altro che un atto dovuto. E infatti il procuratore di Milano l’ha comunicato alla stampa senza enfasi, anzi, in modo molto professionale, serioso, ha snocciolato date, numero dei processi vecchi, numero del procedimento nuovo, nomi dei sostituti che prenderanno in carico la pubblica accusa, stop. Bruti Liberati, a dirla tutta, ha mostrato se mai un tono vagamente scocciato, come se l’atto dovuto fosse effettivamente dovuto, un dovere, ma di quei doveri che, potendo, la procura si sarebbe volentieri evitata. Una noia, quasi, un déja vu, una minestra riscaldata. Tanto è vero che il timbro della sua voce ha preso un’anda appena più vivace, più convinta, quando l’alto magistrato ha comunicato la rinuncia della dottoressa Boccassini, chiamata, e questo l’ha scandito, “a impegni più pressanti”. Va là, è già su Renzi?

venerdì 17 gennaio 2014

Grazia e ingiustizia. Davide Giacalone



E’ giusto che il presidente della Repubblica conceda la grazia a un detenuto, perché bisognoso di cure? Tema doloroso e difficile, dilemma innanzi al quale si spera sempre di non trovarsi. Ragione in più per essere netti: no, non è giusto.

Un detenuto, in gravi condizioni di salute, s’è rivolto a Giorgio Napolitano, chiedendo di poter accedere all’eutanasia, di potere morire. Richiesta ovviamente non esaudibile. Né che sia praticata in carcere, né che possa suicidarsi (con assistenza) una volta libero. Il tema di questo articolo non è l’eutanasia, ma è escluso che un provvedimento del Quirinale possa disporre quel che è illecito. Quel detenuto (non ne farò il nome, noto a chiunque voglia saperlo, perché qui interessa la giustizia, non quel caso particolare), però aveva già incontrato Napolitano, quando s’era recato in visita al carcere napoletano. Già gli aveva chiesto aiuto. Inoltre era stata inoltrata domanda di grazia, sempre basata sulla salute. Ragion per cui, una volta divenuta nota la supplica di suicidio, il Quirinale ha ufficialmente dichiarato che: a. ha sollecitato il ministero della giustizia, affinché l’istruttoria sia celere (segno che intende concederla); b. che la direzione del carcere è stata sensibilizzata affinché, nel frattempo, sia assicurata la massima assistenza sanitaria. Trovo che sia un cumulo di errori.

Il reato per cui il detenuto si trova in carcere è omicidio. Fosse anche di altra natura, una volta terminato il processo, la certezza del diritto impone la certezza della pena. Se la salute di un detenuto diventa incompatibile con la pena questa deve essere sospesa. E, naturalmente, finché la detenzione continua l’assistenza sanitaria deve essere assicurata. Si tratta di cittadini la cui vita è nelle mani dello Stato. Per essere punita, certo, ma non per essere tolta, minacciata, messa a rischio o anche solo umiliata. E questo deve valere per tutti, sempre. Quindi quel detenuto, ove siano reali le condizioni che descrive, dovrebbe trovarsi fuori, o in un centro medico, senza che la presidenza della Repubblica debba minimamente intervenire. Se, invece, le cose non funzionano come dovrebbero, e pare proprio che non funzionino, allora non si tratta di sensibilizzare le autorità competenti su un singolo caso, ma di licenziarle e sostituirle con chi assolva meno approssimativamente ai propri doveri.

Se solo dopo l’intervento il comunicato quirinalizio, come è accaduto, viene disposto il trasferimento in ospedale ciò non è da prendersi come un caso di bontà coronata da successo, ma d’incoscienza e insensibilità solo per fortuna non accompagnata dal decesso. E se il giudice ha ritenuto, come è accaduto, di non disporre la scarcerazione è segno che o sbaglia, e deve esserne responsabile, o ritiene che il ricovero sia sufficiente, il che toglie ulteriormente opportunità all’avere accelerato il procedimento di grazia.

Intervenire assicurando la grazia, dopo una lettera in cui si chiede il suicidio è un tragico errore, tenuto anche conto che l’autolesionismo è già fin troppo presente nella vita carceraria. Premiare l’annuncio di un gesto estremo è l’esatto contrario di quel che serve per tutelare la salute e la dignità dei detenuti. Di tutti i detenuti.

La situazione delle carceri italiane è d’intollerabile illegalità. Se anche non avessimo occhi per accorgercene da soli (ma quante volte lo abbiamo scritto e denunciato!?), c’è l’infamante collezione delle sentenze di condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per ricordarsene. Sta di fatto, però, che in sede politica restano circondate dal silenzio le tenaci battaglie dei radicali italiani, e in sede istituzionale è caduto nel vuoto il messaggio alla Camere inviato dal Colle. La ragione di tale fuga politica, di tanta viltà, è una: i partiti si rendono conto che non è presentabile il susseguirsi delle clemenze verso i criminali, nel mentre non si riesce ad assicurare giustizia ai cittadini, né hanno forza e coraggio per operare la riforma della giustizia, come tutti sanno si dovrebbe fare, ma come una congrega di codardi non riesce a fare perché bloccata da veti corporativi e propri timori personali. E guardate che il problema non è affatto solo il sovraffollamento, rispetto al quale basterebbe osservare che un numero impressionante di detenuti non sta scontando una pena, perché non ha sul capo una condanna. L’abuso di carcerazione preventiva è devastante per la civiltà, per il diritto e per il carcere.

Pensare di porre rimedio alla vergogna delle galere senza porre rimedio alla vergogna della malagiustizia è illusorio. Pensare di salvarsi la coscienza intervenendo per i casi che i mass media si preoccupano di descrivere come pietosi è non solo ipocrita, ma anche pericoloso. Quel detenuto ha diritto al rispetto della legge, e tutti i detenuti hanno diritto a essere considerati con pari attenzione. Se non si ha il coraggio di provvedere si abbia almeno il pudore di tacere.

Pubblicato da Libero


martedì 14 gennaio 2014

ArchivioBordin Line

14 gennaio 2014

La manifestazione è venuta bene. Migliaia di persone, standing ovation nei passaggi salienti dell’intervento di Barbara Spinelli, e soprattutto la presenza dei magistrati in solidarietà dei quali la manifestazione si teneva ovvero i pubblici ministeri del processo sulla trattativa. Prendo queste notizie dal Fatto di ieri. Del resto la vicenda la conoscete, si tratta delle minacce rivolte da Riina al dottor Di Matteo e al rischio che esse possano essere messe in atto, estese agli altri magistrati che nel processo rappresentano l’accusa. Qualcosa però nel resoconto del Fatto non c’è. Sabato è uscita su Repubblica, ma non sul Fatto, la notizia di un allarme in procura a Palermo. Una fonte confidenziale ha avvertito che Matteo Messina Denaro, latitante e non al 41 bis come Riina, sta preparando un attentato contro il procuratore aggiunto Teresa Principato che il mese scorso ha fatto arrestare alcuni famigliari e complici del boss di Castelvetrano. Il blitz ha dato i suoi frutti e il rischio per la dottoressa Principato ora è serio. Ma nella “fattoria dei magistrati” del Fatto quotidiano alcuni magistrati sono più uguali degli altri, e nella manifestazione “contro le minacce ai magistrati” non risulta, almeno dal resoconto, che della vicenda si sia fatto cenno.
di Massimo Bordin@MassimoBordin

lunedì 13 gennaio 2014

Il primo premio al politicamente corretto. Gianni Petrosillo



Il politicamente corretto è lo stadio terminale della degenerazione morale occidentale. Possiamo individuare come punto critico di questa parabola discendente della nostra civiltà il 2009, quando il Norske Nobelkomité conferisce, per inesistenti “contributi eccezionali alla società”, il Nobel per la pace al primo Presidente creolo della storia americana.

Il premio non venne assegnato alle intenzioni, come qualcuno ebbe a dire, perché Obama, divenuto Capo della Casa Bianca da pochi mesi, era assurto al “soglio” di Washington ricorrendo ad una narrazione pacifista e globalista che faceva ben auspicare. Tutti sanno che le parole di un Capo di Stato sono destinate, prima o poi, ad infrangersi sulla corteccia dura dei fatti e degli interessi strategici della nazione guidata, in ultima istanza prevalenti su qualsiasi racconto utopistico.

Il riconoscimento gli fu direttamente attribuito per caratteristiche somatiche rientranti nel cliché ideologico dominante il quale ha, da tempo, reso la “diversità omologata” il passe-partout per il comando (apparente). L’America già facendo eleggere Obama, cioè portando un simbolo delle sue invenzioni antirazziste, sul gradino più alto dell’establishment, aveva dato “l’esempio” a tutta la Comunità internazionale, e ciò al fine di rendere più credibili tutte le sue “storie” opportunistiche, raccontate e ancora da raccontare.

Qualche anno prima, nel 2007, la stessa onorificenza era toccata ad Al Gore, per “gli sforzi volti a costruire e diffondere una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici causati dall’uomo”. Ma qui eravamo ancora su un altro livello di mistificazione, perché era stato l’argomento “utilizzato” e non le qualità fisiche del personaggio a validare la pantomima. Pazienza, se quelle dell’ex vice di Bill Clinton erano tutte bufale propagandistiche smentite dai fatti e da studi scientifici concomitanti e successivi.

Il circolo ristretto della globalizzazione, che ha sede negli Usa ed influenza sul resto del mondo, aveva eletto a tematiche dirimenti quelle ecologiche (ora un po’ in discesa), trattate secondo un taglio allarmistico e colpevolizzante la specie umana, per cui chiunque ne avesse preso le parti dal verso giusto e nella giusta inconsapevolezza avrebbe ricevuto ori e allori. Touché, direbbero i francesi. Il catastrofismo climatico di questa fase storica, che nei suoi aspetti apocalittici è un prodotto specifico della disinformatia americana, è stato generato dai timori statunitensi di ritrovarsi troppi concorrenti sul mercato internazionale, con aspirazioni autonomistiche, regionali o di area, i quali attraverso il controllo delle fonti energetiche e gli approvvigionamenti potevano arrivare a contendere il loro primato mondiale. La rinascita russa, basata sulle prospezioni aggressive e le esportazioni di gas, quali mezzi di pressione geopolitica, ne è una testimonianza evidente. Gli Usa, in un certo senso, non si erano sbagliati ed hanno usato forme di terrorismo psicologico per sbarrare la strada ai possibili competitors.

Così sono nate le favole sul global warming e quelle sulle fonti pulite, al momento appena ausiliarie e non sostitutive di quelle classiche. L’ideale politically correct che canta nel cervello di molti idioti suboccidentali, un tempo semplicemente europei e fieri di esserlo, i quali hanno ceduto alle sirene d’oltreatlantico (abili a cantare per attirarci sugli scogli dove viene fatta a pezzi la nostra millenaria cultura) ha raggiunto vette di miserabilità inimmaginabili. Ieri mezza Italia progressista era in festa per il Ministro Kyenge che il Foreign Policy ha citato tra i 100 pensatori più influenti del pianeta.

Che avrà mai fatto la Kyenge per meritarsi tutto ciò?“Combatte la persistente xenofobia in Europa” ed ha avuto “il coraggio di proporre leggi per concedere facilmente la nazionalità italiana agli immigrati”. La motivazione reale ovviamente non è questa, anche perché le iniziative della Keynge si riducono a dichiarazioni ad effetto per conquistarsi le prime pagine dei giornali ed alzare inutili polveroni che danneggiano immigrati ed italiani. In verità, la signora riunisce in sé alcune proprietà fondamentali del politicamente corretto. È nera, è donna e ricopre un ruolo di alto profilo in un governo di sudditanza oltreoceanica dal quale, un giorno sì e l’altro pure, denuncia complotti nazisti, sessisti, reazionari.

Con la Kyenge, insomma, ci si avvicina all’agognato esemplare politicamente corretto perfetto, quello che rappresenta il meglio dell’umanità a prescindere da quel che fa e da come lo fa. Fosse stata omosessuale e vegetariana ci sarebbe stato l’en plein, con concessione dell’infallibilità papale.

Tasse in casa. Davide Giacalone

 
Ci sono due cose che ci rendono molto forti, anche nel confronto fra i più forti nel mondo: a. l’essere rimasti una potenza industriale, capace di esportare; b. avere famiglie con un patrimonio solido e poco indebitate. Mentre la prima cosa trova fuori d’Italia concorrenti determinati a indebolirci, per danneggiare la seconda provvediamo da soli. Possedere casa, o case, è diventata una colpa. Se guardate la televisione inglese vedete scorrere tanta pubblicità ai mutui per comprare casa. Se guardate quella italiana sembra che lo sport nazionale consista nel tassarvi per averlo fatto. Tralasciando l’indecente caos cui assistiamo da mesi, con i conti fatti a cappero e le tasse che aumentano per diminuirle (un caso umano), la domanda è: ha senso tassare le case? La risposta è sì, ma a condizione che questo crei e non distrugga ricchezza. Altrimenti è mera sudditanza al dilapidante dispotismo fiscale.

Si può tassare la casa per quel che quella comporta di costi collettivi. E’ vero che casa tua l’hai pagata tu, ma è anche vero che non potrebbe funzionare se non ci fossero servizi di urbanizzazione, fognari, viari, come anche di ritiro della nettezza urbana. Quindi chi ha una casa è giusto che paghi ed è ragionevole che lo faccia sulla base dei metri quadrati, della collocazione e delle caratteristiche (condominio, villa, etc.). Anche per la casa di residenza. Solo che se mi tassi per questa ragione non puoi poi chiedermi di pagare per le stesse cose: servizi comunali indivisibili, spazzatura, etc.. Altrimenti si applicano prima una patrimoniale e poi delle finte tasse che sono, in realtà, altre patrimoniali sul medesimo patrimonio. E questo comporta la sostanziale illegalità di quel che è solo apparentemente, o solo formalmente legale, vale a dire il satanismo fiscale.

Una casa, la seconda o l’ennesima, può essere tassata anche come valore patrimoniale in sé. Non la prima, perché il risiedere a casa propria è anche un valore collettivo, posto che i senza casa sono un problema collettivo. Qui, però, le cose si fanno più delicate. Prima di tutto perché i soldi con cui si compra casa, che siano stati guadagnati o ereditati, in ogni caso sono già stati tassati. Il patrimonio non lo creo comprando casa, perché investo soldi che sono già parte del mio patrimonio, già fiscalizzato. Se, invece, compro casa accendendo un debito allora la casa entra solo formalmente nel mio patrimonio, giacché sostanzialmente è mia solo a patto che si estingua il mutuo. Sicché è decisamente meno logico che me la si tassi come patrimonio.

Ci sta, però, anche questo tipo di tassazione, ma non, appunto, riferito al patrimonio in sé, bensì all’incremento del suo valore, a fronte del quale (benché teorico) lo Stato ne preleva una parte. In tal caso, però, sono obbligatorie due conseguenze: a. quando la venderò non dovrò pagare tasse aggiuntive, perché sulla valorizzazione ho già pagato e, per il resto, ritrasformo in liquido quel che trasformai in immobile; b. quando l’immobile il valore lo perde, anziché guadagnarlo, se proprio non mi si vogliono dare i soldi indietro, di sicuro non devo versarne altri. La patrimoniale fissa, su un valore presunto, dovuta in qualsiasi condizione di mercato, è un furto.

Chi stabilisce il valore di una casa? L’unico soggetto affidabile è il mercato, tutti gli altri appartengono al novero del socialismo demenziale. Gli estimi catastali non possono essere frutto di pianificazione burocratica, ma legati all’andamento del mercato. Se così stessero le cose, sempre facendo tara del casotto cui abbiamo assistito, si potrebbe e dovrebbe pagare per i servizi connaturati all’abitare e per gli incrementi di valore. Non si dovrebbe, invece, moltiplicare i tributi o tartassare il patrimonio. La legge aurea la si deve non a un grande fiscalista, o economista (il cielo ci guardi), ma a un filosofo: “è la somma che fa il totale” (Totò, op. cit.). Se la somma, come oggi capita, porta a intaccare il patrimonio, vendendolo o accendendo debiti, per reggere l’onere fiscale, il suo esito sarà la distruzione di ricchezza. Vale a dire la demolizione del nostro secondo punto di forza. Non so se questo ragionamento sia di destra o di sinistra, so che la redistribuzione della miseria e l’incenerimento della ricchezza è da stolti.

Pubblicato da Libero

giovedì 9 gennaio 2014

ArchivioBordin Line

9 gennaio 2014

Raggiungere a nuoto la Sardegna sarebbe ben più difficile che attraversare a bracciate lo Stretto di Messina, ma non è per questo che Grillo ha negato l’utilizzazione del simbolo a cinque stelle nelle prossime elezioni sarde. Il fatto che i meet-up locali litighino fra loro avrà avuto il suo peso, ma neanche questo credo sia stato decisivo. Ha paura di perdere, così dicono i giornali citando i risultati non brillanti delle ultime performance del Movimento cinque stelle nelle elezioni locali. Sarà senz’altro così. Però credo, pur detestando i pentastellati, che più che di perdere Grillo abbia paura di vincere. Vi ricordate Pizzarotti? A Parma vinse e promise rivoluzioni. Non se ne sono viste. Certo governa, probabilmente più bene che male, ma di sicuro non ha prodotto nulla di spendibile per grandi battaglie nazionali. Così come i numerosi consiglieri regionali siciliani, probabilmente migliori della media dei loro colleghi d’assemblea. In compenso il rischio delle famose “realtà locali” è quello di produrre un partito come il Psi che faceva disperare Pietro Nenni, con assessori fin troppo radicati nel “territorio” che però alle elezioni nazionali, meno motivati, portavano la metà dei voti. Un partito di minoranza che propone grandi riforme nazionali, giuste o sbagliate che siano, roba del genere non se la può permettere. Lo capì Pannella negli anni Ottanta quando affrontò una scissione pur di evitare l’automatismo della presentazione sempre e ovunque. Credo che Grillo sia alle prese con lo stesso problema. A modo suo, certo.
di Massimo Bordin@MassimoBordin
 

domenica 5 gennaio 2014

O dell'inutilità dei giornali (fatti così). Christian Rocca

5 gennaio 2014                   

Prendete le neve. La neve a New York. Oggi i quotidiani italiani, col solito piglio catastrofico, sfondavano le prime pagine con gran foto di neve a New York sotto gli allarmi emergenza, caos, voli cancellati. Una notizia di due giorni prima. Già ieri era tutto a posto, un sole che spaccava il freddo, e figuriamoci oggi. C'è tutta la crisi dei giornali in questa cosa della neve, che ovviamente non riguarda solo la neve ma anche tutto il resto del notiziario. Ora, che si possa pensare di vendere i giornali con le notizie peraltro banali di due giorni prima, e quando va bene del giorno precedente, è una follia senza paragoni. I giornali devono dire le cose che stanno per succedere, devono essere uno strumento per capire, devono anticipare o far riflettere. A che cosa serve un giornale di carta che dà (tardi) le notizie che si conoscono già. Non siamo più nell'Ottocento. L'era dei dispacci è finita da più di un secolo. L'Economist di questa settimana apre con le elezioni europee di maggio prossimo, non con una cosa successa due giorni fa. Da noi invece si continuano a fare giornali di carta come se vivessimo ancora in un'altra epoca. Finché c'è la neve in prima pagina non c'è speranza.
 
(Camilloblog)

 

sabato 4 gennaio 2014

Silenzio tombale. Davide Giacalone


Il silenzio continua, sulla sorte della Banca d’Italia. Un silenzio tombale. Escluso il disinteresse, può essere che a produrlo sia un cattivo interesse. Data la rilevanza del tema, vale la pena specificare non solo cosa non si deve fare, ma anche come si dovrebbe agire. Con una premessa: a questo punto, dopo la pessima partenza e dopo la bocciatura della Banca centrale europea, non credo che il ministro dell’economia possa restare al suo posto. Non è una questione personale, tanto che non c’è bisogno di riprodurne il nome, ma di credibilità e interesse nazionale.

La rivalutazione di Bd’I deve essere fatta, ma sarebbe stato saggio non cancellare e semmai applicare la legge del 2005, che stabiliva la riacquisizione statale delle quote. Questo è il punto fondamentale: non esistono gli azionisti della banca centrale, perché nel 1936 erano intestazioni fiduciarie. Tanti tecnici rubati alle officine si sono mai chiesti perché, da Luigi Einaudi in poi, il governatore si rivolge all’assemblea indirizzandosi ai “signori partecipanti” e non ai “signori azionisti”? Perché non sono i proprietari, ma gli intestatari. Pubblici. Dopo le privatizzazioni bancarie si sarebbe subito dovuto ritrasferire le intestazioni. Ora, invece, suprema follia, si vuole trasferire il patrimonio. Il più ciclopico trasloco di ricchezza dalla mano pubblica (di tutti) alle (poche) mani private. Dunque: la rivalutazione va fatta, ma in capo ai legittimi proprietari, gli italiani. E al più alto valore possibile.

Questo significa che non si possono dare soldi alle banche, aiutandole prima che parta la vigilanza europea? Certo che si può, ma in modo pulito e lineare: si rivaluta, si monetizza (ad esempio con obbligazioni specifiche), poi si trasferisce denaro per aumento di capitale. Lo hanno fatto i tedeschi, i francesi, i belgi, gli inglesi, ma sempre mettendo in chiaro che i cittadini dovranno riavere quei soldi, quando sarà possibile restituirli. Altrimenti è una pratica predatoria.

Ma non ce lo chiede l’Europa? Da vecchio europeista sono stufo di questa sciocca eurosudditanza.
Noi italiani abbiamo interesse al sistema bancario europeo e alla vigilanza europea, solo che dovremmo batterci per sostenere che: a. tutte le banche devono sottostarvi, comprese quelle che i tedeschi intendono sottrarre (le loro Landesbank); b. le banche di altri (tedeschi e francesi in testa) sono intossicate, con bilanci mal messi, non limpidi e con una vigilanza non severa, mentre le nostre sono “solo” sottocapitalizzate. Non è mica la stessa cosa! Il disastro del governo consiste nell’avere voluto fare il furbo, dimostrandosi fesso, e avere cercato di aggirare l’ostacolo della capitalizzazione con un trucco. Non solo è stato scoperto, ma così continuando perdiamo l’autorevolezza e la credibilità per indicare i mali altrui. Oltre al danno ne deriva la beffa di dovere tacere.

Noi italiani paghiamo da anni, con consistenti e continui avanzi primari. Abbiamo pagato moltissimo, negli ultimi tre anni, per non perdere l’aggancio europeo. Ora che siamo dalla parte dei forti e della ragione affondiamo tutto solo per fare un piacere a due banche (e buttare patrimonio anche nel buco rosso del Monte dei Paschi di Siena). Questa non è neanche sudditanza ai diktat altrui, questa è colpevole incapacità, o colpevolissima complicità.

Varando l’orrido decreto (nel silenzio generale e nel pronto firmare del Quirinale), il ministro dell’economia aveva un solo compito: trovare le coperture politiche e istituzionali, in Europa. La cosa è stata gestita così male da essere divenuta strumento per indebolire l’italiano che presiede la Bce. Da qui il parere schiaffeggiante. Essendo obbligatorio, ma non vincolante, ci manca solo che lo si ignori, mettendoci in una condizione insostenibile.

Sul tema tace il Partito democratico e tace Forza Italia, accompagnati dal tacere di Scelta civica. Gente professionalmente logorroica è stata presa da mutismo. Cerchino di capire che, in questo modo, stanno mostrando e dimostrando la loro reale consistenza. Tendente al nulla.

Pubblicato da Libero