lunedì 28 novembre 2011

Ipse dixit

Lunedì 28 novembre: lo spread è a quota 500 punti

L'8 novembre il Pd pubblicava il suo manifesto...
(l'Occidentale)

martedì 22 novembre 2011

Neanderthal in esilio. Paolo Gambi

Voglio raccontarvi una storia. Una storia che racconta l’Italia, e che spiega molti perché del nostro presente. Parliamo di un ragazzo, romagnolo, classe 1977, nato e cresciuto a Faenza, appassionato di un settore di quelli un po’ particolari, a cui di solito non si pensa per il lavoro futuro: la paleoantropologia, lo studio delle ossa degli uomini antichi.

Questo ragazzo trova il coraggio di buttarsi nella sua passione, si laurea a Bologna, e dopo una laurea con lode prova a rimanere in università a continuare gli studi. Fa un dottorato di ricerca, continua a studiare, e pubblica una cinquantina di articoli scientifici. Inizia a partecipare a progetti di ricerca: sulle ossa di Matteo Maria Boiardo, Dante Alighieri, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano, partecipa a studi biodemografici su popolazioni degli Appennini, e sulle ossa di una necropoli. Si dà anche da fare per fare fund raising presso fondazioni ed istituzioni, anche con ottimi risultati. Insomma, fa tutto ciò che un bravo ricercatore deve fare: studiare, scrivere, fare ricerca sul campo, e persino trovare fondi per la ricerca.

Un bel giorno però, come spesso accade negli atenei di questo Paese, questo ragazzo viene allontanato dal sistema universitario. La causa potrebbe essere una qualunque di quelle cui chi ha avuto a che fare con l’università italiana è oramai abituato: mancanza di fondi, logiche baronali, processi di selezione all’italiana. Non lo vogliamo sapere, non è rilevante. Fatto sta che se vuole continuare ad inseguire il suo sogno deve andarsene. E lo fa.

Finisce prima in Germania, a Francoforte, per un anno (perché ovviamente, a differenza di molti altri, che magari poi diventano professori, sa anche le lingue), per poi approdare a Vienna. Qui la situazione è un po’ diversa dall’Italia. E in poco più di due anni, messo nelle condizioni giuste, che cosa fa? Una scoperta che rivoluziona la conoscenza sull’uomo. Una di quelle scoperte che costringono la comunità scientifica internazionale a rivedere decenni, secoli di teorie. Lavorando su due piccoli denti di uomo preistorico con tecniche avanzatissime (e complicatissime) riesce a scoprire che l’Homo sapiens è arrivato in Europa, e nello specifico in Italia, non 40 mila anni fa, come si pensava, ma 45 mila, con la conseguenza che l’Homo sapiens ha convissuto (e per 5000 anni) con l’uomo di Neanderthal, forse anche incrociandosi con lui, anche in Europa, cioè in Italia. Con l’ulteriore conseguenza che molti reperti, e quindi molte tecniche, che erano state attribuite all’uomo di Neanderthal probabilmente appartenevano all’Homo sapiens, e l’uomo di Neanderthal risulta da tutto questo molto più stupido di quanto lo avevamo sin qui creduto. Tutti i giornali del mondo si interessano della questione, raccontando la storia ed intervistando il protagonista. Tutti tranne quelli italiani, ovviamente.

Questa è una storia vera, fresca di qualche settimana, ed il protagonista si chiama Stefano Benazzi, che ho avuto il piacere di intervistare nella mia piccola trasmissione locale su Tele1, per poi mandarlo nel nazionale da Cecchi Paone. E qui finisce la storia. Ed inizia la riflessione, che poi è molto breve. Innanzitutto, ancora una volta, noi italiani siamo i migliori. Messi nelle condizioni giuste finiamo sempre per eccellere. E questo è un fatto. Ma ce n’è un altro. Un sistema universitario che non è capace di riconoscere una mente del genere e finisce per non premiarla, ma addirittura allontanarla, è un sistema che non porta da nessuna parte.

Il problema dell’università italiana non sono i pochi fondi, o gli stipendi da fame dei ricercatori, ma le logiche clientelari, antimeritocratiche e baronali che fanno di questo Paese quello che è e che finiscono per punire il merito. Anche perché la vera scoperta antropologica del nostro Benazzi non è tanto quella esposta, che cioè l’Homo sapiens e l’uomo di Neanderthal hanno convissuto in Europa e che il Neanderthal era più stupido del sapiens, ma quella ancora più sconvolgente che non è stata scritta. Che cioè questo stupido uomo di Neanderthal, durante la sua convivenza con i nostri diretti antenati italiani Homo sapiens, deve aver veramente inzuppato con la propria stupidità il sangue del popolo italico in maniera decisiva. Perché per farsi scappare un cervello come questo possiamo essere solo degli ottusi uomini primitivi. (The Front Page)

Mici Vendola, il gattocomunista. Marcello Veneziani

Ho visto Nichi Vendola da Fazio e ho fatto una scoperta. Vendola è un gattone. Il faccione sornione, il parlar fuffo, il pelo liscio, lo sguardo felino.
Nichi Vendola
Nichi Vendola
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Mici Vendola. Non ditegli che è gonfio perché fu castrato o che ha l'orecchino in caso si perda, altrimenti si ingattivisce. Vendola presiede l'Arcigatti. Nella sua terra, che è pure la mia (ho il privilegio di essere non solo suo contemporaneo ma anche suo conterraneo), ci sono due mitici gatti: il Gattofuffo, che è una prefigurazione popolare di Vendola, i suoi stessi tratti somatici e caratteriali, direi quasi un antenato; e la proverbiale Gatta del seminario che si lagnava sempre però mangiava assai: e in lui la lagna, la trippa e pure il seminario sono palesi.
Mici Vendola parla bene e governa male. Non amministra ma somministra; sermoni, mica farmaci. Lascia la sanità in mano agli affaristi e lui si cura di cinema, teatro, lettere e arti. E' governattore, recita più che governare. Niente conti, solo racconti. Come Veltroni anche per Vendola la politica è un ramo del Dams. Sforna più libri che provvedimenti. Emoziona, dicono i suoi fans ma è pericoloso quando lo dice pure lui, perché con la zeta gli parte una sputazza.
Di Pietro è fermo a Mani pulite, lui a Mani di fata. Mici Vendola è arrivato gattonando al top. Non sanno come fermarlo. Avete provato a opporgli tre bottiglie di plastica piene d'acqua? Dicono che sia un esorcismo formidabile per tener lontani i gatti. Ma Mici Vendola è un gattocomunista, mica un micio qualunque. E' il meglio della sinistra. Figuratevi gli altri. (il Giornale)

venerdì 18 novembre 2011

Il maestrino Pisapia che ferma il traffico per educare la gente. Claudio Borghi

«Le domeniche a piedi? Contro l’inquinamento non servono a nulla ma le facciamo lo stesso per educare i cittadini». Una volta richiusa la bocca spalancata davanti a tanta sfrontatezza, è il caso di sviluppare qualche riflessione di fronte a quest’impostazione logica della giunta comunale milanese, espressa per bocca del suo assessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran.

In effetti domenica prossima ci sarà un blocco totale del traffico, coordinato con numerosi comuni dell’hinterland Milanese ed effettuato «in gemellaggio» con Roma: stop deciso con anticipo, senza emergenze gravissime, tant’è vero che sono già stati programmati altri stop per marzo, aprile e maggio, ovviamente senza poter sapere quali saranno le condizioni dello smog per quei giorni.

In effetti però a che serve saperlo? Tanto sono ormai tutti d’accordo che non vi è alcuna significativa evidenza di benefici sulle polveri sottili originati dalla sospensione del traffico, lo confermano sia il candido assessore Maran sia il nuovo ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha altre volte confessato che i blocchi «sono piuttosto incerti dal punto di vista dei risultati».

E allora? Di cosa stiamo parlando? Non abbiamo mai risparmiato critiche nemmeno alla giunta Moratti ma almeno si pensava ci fosse l’esimente della buona fede e che in effetti si pensasse di ottenere qualche risultato: se viene a cadere persino questa scusa il tutto diventa incredibile. Ma ci rendiamo conto che la limitazione dei diritti altrui per «scopi educativi» non è né logica né gratis?
Il pendio su cui portano a scivolare ragionamenti di questo tipo conduce a conseguenze pericolose.

Tralasciamo l’aspetto «tonnara fiscale» tale per cui si abbinano gli obblighi all’utilizzo dei mezzi pubblici con l’aumento sproporzionato (+50% il biglietto singolo) delle tariffe, con il risultato di convogliare i cittadini, come i tonni nelle reti, verso le casse del Comune guidato da Giuliano Pisapia, limitiamoci invece alla cultura del divieto. Sulla base di questo ragionamento la già conclamata invadenza dello Stato nella vita dei cittadini potrebbe non avere più freni: già ci sembra di vedere le utilissime «giornate al freddo» con multe pesantissime per chiunque osi accendere una stufetta, per educare i cittadini a stare vicini vicini sotto le coperte, oppure si potrebbero organizzare i «pranzi verdi» dove chi si azzarda a toccare una fettina si becca il suo bel verbale, necessario ad abituare il cittadino alle gioie della verdura.

A quel punto nulla impedirebbe, dato che ad esempio correre fa bene, di realizzare entusiasmanti «giornate al galoppo dove i vigili saranno sguinzagliati a multare chi non scatti come un maratoneta per la pubblica. Se la logica fa difetto a questi provvedimenti non dobbiamo poi pensare che siano gratis: si fa presto a vietare l’uso di alcuni mezzi di trasporto, tutti d’accordo, i bambini felici e altre scuse buone per ogni occasione, tuttavia le limitazioni alla mobilità costano, sia in termini immediati che come differimento del traffico negli altri giorni con aumento del traffico medesimo.

Quindi, adesso che la foglia di fico dell’effetto sulle polveri sottili è caduta, evitiamo almeno di bloccare le auto in giorni lavorativi quando, per i soliti motivi atmosferici, le polveri sottili ci saranno davvero. Nota a margine: la Domenica a Milano sarà allietata dall’allegro esercito di artisti della sinistra militante che hanno sostenuto la candidatura del sindaco Pisapia. A piedi e più propaganda per tutti, anche se non vuoi. (il Giornale)

giovedì 17 novembre 2011

Un Uomo Macchina per guidare il Paese. Marcello Veneziani

Oggi c’è il sole. È stata la battuta più audace di Mario Monti in questi giorni. E tutti a scorgere allusioni cifrate, messaggi elioterapici, metafore ottimiste.
mario monti 
L’Uomo Grigio che sognammo in un cucù dopo il colorito Berlusconi si è avverato. È lui, Mari-o-Monti. Il Tennico . Come vivono i Tecnici, le macchine da governo, di che si nutrono, come si riproducono? Per cominciare, Monti si accende solo se schiacci «on», che non è l’onorevole pestato, ma il tasto apposito. Quando finisce premere «off». Monti è ancora imballato nella placenta di plastica. Ha le mutande di polistirolo e i capelli in vetroresina, come si può notare. Sul teleschermo è mobile ma non si sa chi detiene il mouse che lo muove.
Napolitano è entusiasta di lui perché durante le consultazioni gli ha aggiustato un transistor del ’63, e non si è preso niente. Dicono che Monti abbia un cane golden retriever; il cane del Tecnico in realtà è un elettrodomestico, è il «bimby», un robot. Hanno confuso il cane col padrone, la Goldman Sachs.
Monti prende tre stipendi ma restituisce automaticamente il resto. Monti non mangia, ha l’alimentatore. Monti è ironico se gli installano il programma apposito. Quando fa sesso, a Monti sale l’indice mibtel e schizza lo spread. Si eccita col touchscreen, gli si accende la chiavetta. È stata captata una sua confidenza erotica: ti ricordi, cara, quando lo facemmo due volte di seguito, nel 2001 e nel 2002? Monti è wireless, non ha cavo e non ha presa. Teniamocelo caro, il Tecnico. Come disse Candide, questo è il migliore dei Monti possibili. (il Giornale)

mercoledì 16 novembre 2011

Partita sbagliata. Davide Giacalone

Per fare il gioco delle tre carte occorre mestiere, in caso contrario si parte per fregare e si finisce fregati. Mario Monti è stato chiamato a formare un governo commissariale, necessario per fronteggiare la tempesta della speculazione sui titoli del debito pubblico e impostosi nonostante il Parlamento non abbia mai votato la sfiducia al governo precedente, frutto di una vittoria elettorale. Questo è il senso di una chiamata autorevole, ma priva di forza politica. Il mandato è di fare, subito, quel che la politica non è stata e non è in grado di fare. Ma se Monti si cimenta con l’imitazione del piccolo politico, pretendendo una maggioranza tanto vasta quanto predefinita e tendenzialmente eterna, se arriva al ridicolo potente di consultare i giovani e le donne (quando fette della società sono prive di rappresentanza il rimedio non consiste nell’inventarsene una a capocchia), allora siamo su una pessima strada. Che può portare dal commissariamento all’esautorazione delle istituzioni democratiche, ma, più facilmente e probabilmente, al fallimento.

La scena che si svolge sotto ai nostri occhi è incredibile. Il Quirinale ha dedicato la domenica alle consultazioni, laddove tutti sapevano come sarebbe andata a finire, sicché si stavano facendo dei giri a vuoto. Ha cercato copertura formale a un incarico già conferito quando il governo era nella pienezza dei suoi poteri. E passi, per salvare la facciata istituzionale. Ma Monti avrebbe dovuto ritornare al Colle lunedì mattina, se proprio non direttamente la stessa domenica sera. Tocca a lui, e solo a lui, stabilire il programma immediato del suo governo e come deve essere composto. Tocca al Parlamento, poi, stabilire se deve ricevere la fiducia e durare in carica più di qualche settimana (al massimo fino alla primavera del 2013), oppure gestire solo il pronto soccorso, per poi passare la mano al primo governo della prossima legislatura. Monti, invece, ha commesso l’imperdonabile errore d’incassare il primo veto, quello che il Pd ha posto contro Gianni Letta, passando da commissario a commissariato. Da lì non può più tornare indietro: o lo ignora o lo subisce. Nel primo caso il tempo lavora contro di lui, nel secondo la natura del suo governo è già cambiata. Il che lo rende infinitamente più debole.

Nel frattempo, come non era vero che i mercati “bocciavano” Berlusconi così non è vero che ora “bocciano” Monti, ma era ed è vero che ci stanno massacrando e che noi, prima e ora, si dimostra di non sapere reagire. Con una differenza: prima era inerte un governo regolare, ora è inerte un incaricato il cui compito era proprio quello di mettere in atto la reazione.

Quando Monti dice che vuole l’appoggio convinto di tutti, con la partecipazione dei capi politici al suo esecutivo, apre una partita che non può essere sua. Quando afferma che non vuole scadenze al proprio governo dimentica che nella Costituzione non c’è traccia di governi cui si vota la fiducia una volta e poi governano per il resto della legislatura. Questo sovvertimento delle regole e della logica non porta bene a nessuno e aumenta il caos.

Un osservatore capace e prudente, Stefano Folli, ha scritto, su Il Sole 24 Ore, che Monti ha adottato questa tattica dimostrando “l’attenzione che deve al suo alleato: l’opinione pubblica”. E’ appunto quello che non deve fare, la natura dell’incarico che ha ricevuto è opposta, perché se si deve dare ascolto all’opinione pubblica, posponendo l’intervento al consenso, allora sarà bene ricordare che esiste uno ed un solo modo per auscultare gli elettori: votare. Stabilire cosa pensano gli italiani non spetta ai giornalisti che titolano su “SuperMario”. E non spetta nemmeno ai mercati. Siccome, però, non si può non opporre alla speculazione interventi immediati (risolutivi non lo saranno mai, perché il problema non è in Italia, ma nell’euro) ecco che si giustifica il governo commissariale. Ma solo in tal senso.

Quando Monti non aveva ancora ricevuto l’incarico scrissi che il suo governo sarebbe stato breve o brevissimo, giacché l’orizzonte temporale è comunque ristretto e non si riforma l’Italia in pochi mesi. In compenso, però, traccheggiando in politichese si sprecano anche i giorni. Questo è il buco nero in cui Monti sta cadendo, e noi tutti con lui.

martedì 15 novembre 2011

Il governo tennico. Christian Rocca

Dunque. Dicevano che bastava annunciare le dimissioni di Berlusconi che lo spread sarebbe sceso di almeno cento punti. Quello ha annunciato le dimissioni, ma lo spread non è sceso. Allora hanno detto che Berlusconi faceva finta, in realtà non si voleva dimettere e tramava qualche diavoleria, ecco spiegato perché lo spread non rispondeva agli editoriali di Repubblica. Berlusconi però non faceva finta, l’ha scritto subito il Quirinale e l’ha ribadito il giorno dopo. Eppure Mr. Spread se ne è impipato lo stesso. Allora si è detto che no, non bastavano le dimissioni di Berlusconi, ma la chiave di volta sarebbe stato l’annuncio di Monti, una persona seria, credibile e riconosciuta dai mercati. È arrivato Monti, con loden e trolley (Monti è incolpevole, ma gli articoli sul significato salvifico del loden e del trolley resteranno nella storia del giornalismo italiano e forse anche nordcoreano), ma caspiterina niente, niente di niente, lo spread sempre più su, nonostante qualche frettoloso editorialista avesse già festeggiato i meno 100 punti di spread esattmente come aveva festeggiato Berlusconi alla fine del primo tempo della finale di Coppa dei Campioni, poi persa contro il Liverpool.
No, un attimo, è stata l’ulteriore spiegazione, Monti non ha ancora ricevuto l’incarico, vedrete quando lo ricevera, e poi avete visto che bel loden? L’incarico è arrivato, ma lo spread ha ripreso ad aumentare (in questo momento è a 520, e Repubblica esulta "spread sotto 520", mentre quando era a 300 sembrava l’Apocalisse). Ora è il momento che no, non ci vuole un governo tecnico, ma politico. E allora vai con Monti che non vuole un governo tecnico, ma un governo politico, con i partiti, ma senza i voti popolari, con i voti degli altri (altri pensatori contemporanei direbbero "col culo degli altri"). Intanto lo spread continua a fare come crede. Il nuovo mantra è stato: lo spread sale perché il Pdl mette i bastoni tra le ruote a Monti. Ora invece pare sia il PD. E tutti convinti che lo spread dipenda dai retroscena del bravissimo Francesco Bei.
Seguiranno altre scuse. Incrociamo le dita.
Il punto è che mentre da noi si assicurava che sarebbe bastato l’addio del Cavaliere e l’arrivo del principe azzurro per calmare i mercati e rimettere le cose a posto, tutti i grandi giornali del mondo, finanziari e no, e tutti gli esperti, insigniti o meno del Nobel, dicevano altro: dicevano che Berlusconi non era più credibile come riformatore del sistema economico e produttivo (e peraltro nemmeno l’opposizione), dicevano che l’Italia era solvibile, dicevano che i nostri fondamentali erano a posto, dicevano che il problema interno era la crescita, dicevano che il problema esterno era la Banca Centrale che non difende la moneta, dicevano che per fermare lo spread la Bce avrebbe dovuto fare da prestatore di ultima istanza.
Noi, invece di batterci su cose serie come queste, di fare pressioni sull’Europa e sulla Germania, di chiedere alla Banca centrale di fare il suo dovere di Banca centrale, l’abbiamo buttata in politica, abbiamo indossato la sciarpa e siamo entrati in Curva sud a regolare i conti. Abbiamo scelto di usare la contingenza finanziaria per combattere la battaglia finale per far fuori il Caimano (che, beninteso, si meritava di essere fatto fuori). Abbiamo grottescamente creduto di essere a Piazza Tahrir, nella più grande mistificazione giornalistica dell’ultimo decennio (dopo Calciopoli). (Camillo blog)

lunedì 14 novembre 2011

L'Italia riparte dalla fermata di Bersani

14 Novembre 2011
Nel day after Berlusconi, mentre l'Italia è senza governo finché Mario Monti non scioglierà la riserva, in un momento in cui il debito pubblico e l'attacco dei mercati minano la stabilità del Paese, tra le fila del Pd si fanno proposte per fronteggiare l’emergenza.
A farle alle 21.57 di sabato 12 novembre, esattamente qualche minuto dopo il “mi dimetto” del presidente del Consiglio, è stato Pierluigi Bersani che ha sentito l’esigenza impellente di lanciare in tempo reale il suo monito per ricominciare a marciare con il piede giusto su uno dei social network più seguiti in assoluto, Twitter. “E adesso rimettete la fermata dell’autobus a via del Plebiscito”, ‘pigola’ @pbersani.
Quella della linea bus che si trova di fronte a palazzo Grazioli, soppressa per motivi di sicurezza nel dicembre del 2009, sembra essere una vera e propria urgenza nazionale. A tal punto da scalzare tutti gli altri punti della ‘fittissima’ agenda postCav. del Partito Democratico. A fare da eco a Pigi, i consiglieri democratici Dario Nanni e Paolo Masini: “Appena appreso che Berlusconi si stava recando al Quirinale abbiamo predisposto immediatamente una mozione nella quale si chiede di ripristinare la fermata che sarà consegnato immediatamente agli uffici dell’assemblea capitolina per giungere lunedì stesso ad una rapida discussione della proposta”.
Dopo petizioni, raccolte di firme e proteste pubbliche, per una volta Bersani e co. prendono in mano la situazione e si apprestano a risolvere il problema che toglieva il sonno agli italiani. Finalmente un obiettivo concreto! Direte. E invece no, perché c’è già chi, vista l’importanza della faccenda, mette in dubbio la ‘paternità’ del provvedimento. Chi? Il direttore di Europa Stefano Menichini che, letto il ‘twit’ del segretario del Pd immediatamente ricinguetta infastidito rivendicando i diritti d’autore della proposta: “Questa però l’aveva già detta qualcuno. Io per esempio”. In effetti è vero. L’8 novembre Menichini aveva suggerito: “Ora può ripartire una grande campagna di civiltà: ripristinate la fermata dell’autobus in via del Plebiscito”.
Con una questione di tale portata tra le mani sembra giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Perché un’Italia nuova passa anche per la fermata Plebiscito. (l'Occidentale)

giovedì 10 novembre 2011

16/10/2011

L'ECONOMISTA SUPER PARTES CHE SALVA L'ITALIA.  Gianni Pardo

L’articolo di Mario Monti sul “Corriere” di oggi (1) sarebbe anodino – e perfino poco interessante – se a scriverlo fosse stato un qualunque editorialista o economista. Il Rettore della Bocconi invece è stato molte volte indicato come il possibile Primo Ministro di uno di quegli esecutivi – battezzati con una ventina di nomi diversi –  che di fatto si chiamano soltanto TTB: tutto, tranne Berlusconi. Monti infatti dovrebbe essere un uomo estremamente competente e al di sopra delle parti. Purtroppo, il suo articolo di oggi non sembra dimostrarlo: la sua originalissima tesi è che la crisi attuale è colpa di Berlusconi e si risolverebbe se lui si dimettesse. Se questo è essere super partes, se così ci si dimostra obiettivi, non siamo messi bene.
Egli comincia col dire che l’Italia - malgrado le vanterie di Berlusconi - mette in crisi l’euro ed è di fatto un protettorato di Francia e Germania. Dimentica però di notare che tutto questo dipende non dall’attuale politica economica - l’Italia ha un avanzo primario migliore di quello della Francia, e dunque giudicata sul presente non creerebbe la minima preoccupazione - ma dal pregresso debito pubblico. Questo viaggia da decenni al di sopra del 100% del prodotto interno lordo, è nato negli anni Ottanta del secolo scorso ed è andato sempre crescendo. È vero, paghiamo tassi più alti della Spagna; è vero, se le banche e i privati non comprassero i nuovi titoli emessi per pagare quelli in scadenza, l’Italia dichiarerebbe fallimento dall’oggi al domani: ma tutto questo dipende dai 1.900 miliardi di euro del debito pubblico, non da Berlusconi. È così difficile da riconoscere? Invece Monti fa dire a innominate fonti straniere che “le principali responsabilità di questa situazione vengono attribuite al governo italiano in carica da tre anni e mezzo”. Responsabilità di oggi per un debito nato trent’anni fa. Come l’agnello che intorbidava l’acqua del lupo che stava a monte. Ecco che significa essere super partes.
Ma Monti spiega le colpe del governo. “L’Italia è più indietro [della Spagna] perché non c’è stato neppure il minimo riconoscimento di responsabilità da parte del governo”. Come se vestirsi di saio e battersi il petto cambiasse la realtà dei mercati e delle Borse. E qual è, comunque, il merito della Spagna? Nientemeno, quello di avere annunciato nuove elezioni. Traduzione, sempre rimanendo super partes: se buttiamo fuori Berlusconi tutto si risolve e i creditori del debito pubblico rinunceranno forse a riscuotere i loro titoli. 
Il governo, dice Monti, avrebbe dovuto chiedere la collaborazione delle opposizioni. E con ciò dimostra di essere tanto al di sopra delle parti da averle perse di vista. Forse pensa che la Camusso applaudirebbe l’abolizione dello Statuto dei Lavoratori, se Berlusconi lo proponesse. 
Il governo avrebbe anche la colpa di avere scaricato su altri le responsabilità: sull’opposizione, sui magistrati, sui corrispondenti esteri (per la cattiva fama dell’Italia nel mondo). Anche a dargli ragione: che c’entra, tutto questo, con la crisi economica? Se fosse Primo Ministro Antonio Di Pietro il debito pubblico sparirebbe? Non si dovrebbero più pagare gli interessi? I mercati accorderebbero all’Erario tassi più favorevoli?
Ma in fondo perché insistere nell’analisi? Monti attribuisce a Berlusconi “un’ovattata percezione della realtà”, cioè gli dà del demente, e a suo parere coloro che lo sostengono “toccano livelli inauditi di servilismo”. Invece lui che è super partes stila queste auree parole: “la permanenza in carica dell’attuale presidente del Consiglio viene vista da molti come una circostanza ormai incompatibile con un’attività di governo adeguata, per intensità e credibilità, a sventare il rischio di crisi finanziaria e a creare una prospettiva di crescita”. La quale affermazione è di una stupidità talmente colossale che veramente vorremmo Mario Monti Primo Ministro per cavarci lo sfizio di vedere quale sarebbe la sua attività di governo adeguata, come renderebbe tutti nel mondo ammiratori del debito pubblico italiano  e come creerebbe in un battibaleno una smagliante crescita economica dell’Italia. Lui e la sinistra sarebbero dunque capaci di decidere quei tagli alla spesa pubblica, di adottare quelle riforme liberiste e “anti-sindacali” che non è stato capace di adottare il centro-destra? Vorremmo proprio vederlo all’opera.
Si può non avere grande stima di Berlusconi, che fra l’altro scherza abbastanza per dare a volte l’impressione di essere solo un comico mediocre. Ma se si pensa di sostituirlo con questo genere di personaggi super partes, capaci di sparare con sussiego una simile sfilza di affermazioni balorde, forse dobbiamo sperare di rimanere sub partibus, tenendoci il governo che abbiamo.
Mario Monti ha tutto il diritto di avere un’idea politica anche chiaramente antigovernativa e antiberlusconiana. Non ha il diritto di presentarsi come neutrale. (Pardo blog)


(1)http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_16/monti-false-illusioni-sgradevoli-realta_068269c4-f7bf-11e0-8d07-8d98f96385a3.shtml

martedì 8 novembre 2011

Resistere, resistere, resistere (e altre cose)

Per rilanciare la sua traiettoria politica, in questo momento difficile, al Cav. potrebbe venire utile usare alcune parole d'ordine del recente passato:
- Resistere, resistere, resistere
- Io a quello (Crosetto) lo sfascio
- La Lega è una costola della sinistra
- Con una lettera alla Bce rivolteremo l'Italia come un calzino
- Mediaset è una risorsa del paese
- (Non) abbiamo una banca centrale
- I principali esponenti dello schieramento a noi avverso
- Bye-Bye Gabri  (Camillo blog)

lunedì 7 novembre 2011

Pelanda: 2012, Italia in recessione grazie alla Germania. Carlo Pelanda

Ma perché Berlino fa questi errori madornali? Non li considera errori, ma buona condotta economica da tenere in qualsiasi situazione, indipendentemente dalla realtà: (a) evitare anche un minimo rischio di inflazione, cosa che in effetti ci sarebbe se la Bce avesse il permesso di stampare di fatto moneta comprando titoli di debito; (b) mantenere l’ordine economico (disciplina di bilancio) a qualsiasi costo, anche quello dell’impoverimento; (c) punire chi è disordinato per dissuasione futura. Tale dottrina viene definita “idealismo economico” e ha il difetto di non adeguarsi alla realtà e, quindi, di creare disastri per irrealismo.
Da un lato, i governi italiani di destra e di sinistra negli ultimi 15 anni hanno responsabilità pesantissime per non aver cambiato una situazione di debito troppo elevato combinato con crescita troppo bassa dell’economia nazionale. Dall’altro, il fatto che il mercato finanziario abbia dubbi sulla capacità prospettica dell’Italia di ripagare il proprio debito dipende più dal fatto che l’eurosistema dominato dalla cultura economica tedesca non voglia creare garanzie “di ultima istanza” e soluzioni positive ai problemi delle sue nazioni, mentre potrebbe e dovrebbe. Sarebbe bastato creare una eurogaranzia di 360 miliardi di euro, un’inezia per l’eurosistema, sulla totalità del debito greco per evitare il contagio di sfiducia su altri eurodebiti.
Il come è importante. Non un fondo salvastati, ma un cambio dello statuto della Bce per darle il permesso di operare come prestatore di ultima istanza. Il mercato avrebbe fatto il seguente calcolo: la capacità della Bce di fare interventi di emergenza, quali comprare o garantire titoli di debito, è stimabile in circa 6 trilioni di euro. I debiti dei Paesi più a rischio o perché a economia debole (Grecia, Portogallo e Spagna) o perché di volume troppo elevato pur avendo un’economia forte (Italia) sono complessivamente inferiori a tale cifra. Quindi una Bce con piena capacità di agire nel ruolo di prestatore/garante di ultima istanza, come la Riserva federale statunitense, sarebbe stato un segnale al mercato che era inutile speculare al ribasso sugli eurodebiti o non necessario fuggire da essi.
Infatti, il mercato non aggredisce o abbandona il debito statunitense nonostante abbia raggiunto il 120% del Pil (se inclusi i debiti degli Stati locali) e il fatto che l’America sia in stagnazione. Ma la Germania si è opposta. Non solo. Al riguardo della Grecia ha voluto mescolare l’intervento di salvataggio con quello di punizione, dando al mercato il messaggio devastante che il debito di una euronazione sarà lasciato andare in insolvenza per il 50-60%. Il mercato ha trasformato questo esempio in profezia negativa sull’Italia ed è fuggito dal suo debito nonostante la capacità tecnica di ripagarlo e di arrivare al pareggio di bilancio nel 2013 per non farne di più.
Per esempio, la svalutazione dei titoli di debito costringe le banche che li posseggono a ricapitalizzarsi e quindi a ridurre gli impieghi, creando una crisi del credito che sarà concausa principale della recessione nel 2012 in Italia. Il caso peggiore si può ancora evitare mettendo la Germania di fronte alle sue responsabilità e dando all’euro un’architettura politica realistica: (a) modificare lo statuto della Bce aggiungendo alla missione di difesa dall’inflazione quelle di stimolazione dell’economia e di prestatore di ultima istanza; (b) creare un centro di governo unico dell’economia nell’Eurozona con propri bilancio e capacità fiscali con la missione di riequilibrare le condizioni economiche nell’area. O così o l’euro difficilmente potrà durare. (il Sussidiario.net)