mercoledì 30 luglio 2008

Quando le toghe non andavano in tv. Sandro Delmastro Delle Vedove

Gentile direttore,
sono avvocato ed ho letto il pensiero del dott. Gian Carlo Caselli su La Stampa di domenica 27 luglio alla pagina 35. Spero sia lecito, pur di fronte alla sacralità del personaggio, esprimere il più profondo dissenso. Trasuda dalle quattro colonne di piombo offerte da La Stampa al Procuratore Generale di Torino non solo l’ansia doverosa per il buon funzionamento della giustizia, ma anche la critica aperta, inaccettabile, nei confronti del governo; affiora nettamente l’impegno politico che dovrebbe essere distante, secondo la mia personale opinione, anni luce dalla figura del magistrato.

Confesso allora di essere uno di quegli «ipocriti che bollano l’indipendenza della magistratura come privilegio di una casta irresponsabile» (come Caselli, con grande rispetto per le altrui opinioni, descrive coloro che la pensano diversamente da lui). Da trentatré anni faccio l’avvocato e, caro dottore, se vogliamo eliminare «l’inefficienza efficiente» (come Lei suggestivamente scrive), cominciamo a far sì che i magistrati in servizio girino meno le scuole della Repubblica per insegnare la retorica della giustizia, e cominciamo a timbrare, tutti quanti, la cartolina all’ingresso ed all’uscita dai Tribunali.

Ho a mie mani, per combinazione, una edizione del 1880 dell’allora vigente codice di procedura civile (non esiste, dr. Caselli, soltanto il processo penale, ma esiste anche il processo civile!). L’art. 147 (Del termine per comparire) prevedeva il termine di giorni dieci (!!) se il luogo in cui si eseguiva la citazione coincideva con quello in cui si doveva comparire; di giorni dodici (!!) se i luoghi erano diversi ma nello stesso mandamento; di giorni quindici (!!) se i luoghi erano nella giurisdizione della corte d’appello. Erano, storicamente, i tempi in cui i magistrati non potevano ancora comparire in televisione (non essendo ancora stata inventata), non facevano conferenze e non si facevano fotografare.

Il povero avvocato Fulvio Croce, barbaramente assassinato, a me giovanissimo praticante, parlando dei magistrati, diceva che i problemi erano cominciati quando i giornali avevano iniziato a pubblicare il nome ed il cognome dei giudici e non più ad indicare anonimamente l’ufficio. E non erano, quelli, i tempi in cui le toghe facevano le rivoluzioni per ipotesi di provvedimenti del governo - come di recente accaduto - ricalcanti, fra l’altro, una «circolare Maddalena». È legittimo ed anzi positivo che il dott. Caselli faccia conoscere il suo pensiero: se, peraltro, è legittimo, in questa Repubblica ... "magistratocratica", che anch’io possa esprimere il mio, spero, a maggior ragione dopo aver letto il Caselli-pensiero, che venga presto il mese di settembre per quella riforma della giustizia che restituisca il purtroppo violato principio della divisione dei poteri e che sancisca finalmente tutto ciò che al dr. Caselli non piace. Questa è la mia personale opinione, condivisa da moltissimi avvocati che peraltro preferiscono, spesso (anche se, per fortuna, non sempre), tenerla per sé. (la Stampa)

lunedì 21 luglio 2008

Scandaloso silenzio sulla vittoria di Berlusconi a Napoli. Carlo Panella

Ha quasi dell'incredibile l'atteggiamento della quasi totalità della stampa nazionale a fronte della clamorosa capacità dimostrata da Berlusconi di risolvere in 58 giorni il problema dei rifiuti a Napoli.Notizia in prima per un giorno, poi basta. Pure, quei rifiuti erano il frutto di 14 anni di amministrazioni di sinistra. Pure, Prodi non ce l'aveva fatta. Pure, l'impresa pareva a tutti impossibile.
Ma Berlusconi ce l'ha fatta, ha fatto l'impossibile. Il grave, il drammatico è che era indispensabile non certo che tutta la stampa nazionale rendesse omaggio al vincitore -figurarsi!- ma che scatenasse le sue firme migliori per capire, scavare, analizzare il modo in cui una spaventosa emergenza sociale dalle dimensioni ciclopiche è stata domata in un batter d'occhio. Su questo, silenzio. Silenzio anche dal mondo intelettuale, dai professoroni, dai politologi che ogni giorno pure ci spiegano da questi giornali come radrizzare l'Italia e il mondo.
La spiegazione di questi colpevoli e vili silenzi è semplice: Berlusconi ha domato i rifiuti a Napoli eliminando ogni influenza della magistratura -con la Superprocura- e obbligando così i magistrati -che avevano contribuito al debordare dei rifiuti- a essere subordinati alle scelte politiche; poi Berlusconi ha costretto i sindaci, dichiarando le discariche ''di interesse strategico nazionale'' a smettere con le loro manfrine localistiche e a sedersi a serii tavoli delle trattative (il bello del miracolo è che è stato pienamente partecipato) e infine Berlusconi ha fato capire con le cattive alla Camorra che non doveva azzardarsi a muoversi più, perché l'avrebbe stesa.
Decisionismo, dunque, ma ben mirato, proprio contro quei protagonisti della società meridionale che avevano creato l'esplosione dello scandalo.
Nessuno ne parla, dunque, ed è l'ennesima occasione persa dalla stampa e dall'intellighentjia italiane per dare un segno di intelligenza e vitalità.
Si meritano solo Bassolino, loro vero modello di vita.

lunedì 14 luglio 2008

A Roma tramonta il mito palestinese. Dimitri Buffa

Abu Mazen è di nuovo a Roma. A battere cassa all’Italia. Altri 20 milioni di euro dal fondo della cooperazione allo sviluppo, praticamente a fondo perduto, che si aggiungono ai 220 stanziati solo da questo capitolo di spesa negli ultimi dieci anni.
Poi ci sono gli altri capitoli di spesa che portano a quasi un miliardo di euro i soldi versati dall’Italia nelle casse voraci (e custodite da persone molto poco fidate) dell’Anp nell’ultimo decennio. Ieri Abu Mazen (benché sia un negazionista dell’Olocausto, non conti praticamente più nulla per il processo di pace con Israele e sia stato in passato tra gli organizzatori dell’attentato di Monaco del 1972) è stato ricevuto in sequenza dalle più alte cariche dello Stato e della città di Roma. Prima una visita in Campidoglio da Alemanno, per la solita “foto opportunity”, poi, di fila, si è fatto la tripla passerella istituzionale con Napolitano, Berlusconi e Frattini. Oggi probabilmente tocca al Papa e alla diplomazia vaticana. Rispetto ad altre occasioni del genere, questa volta la caratteristica che salta agli occhi è il basso profilo: quasi nessuno fino a giovedì sera si era ricordato di questa visita di “quasi Stato” ed è assente la retorica filo palestinese nelle piazze e nel Parlamento. Finita l’epoca dell’equivicinanza della Farnesina, finita anche l’era della rappresentanza parlamentare di verdi, sinistra esterema e no global, quasi a nessuno in Italia importa un granché del fatto che Abu Mazen si faccia una due giorni romana in cerca di soldi e di improbabili appoggi politici.

Era proprio dell’altro giorno la notizia che uno dei dirottatori dell’Achille Lauro (evento accaduto il 7 ottobre 1985 e conclusosi con la morte dell’ebreo americano paraplegico Leon Klinghoffer) era stato liberato dopo avere scontato la pena in Italia e adesso si ritrovava nella condizione di clandestino da espellere, mentre in realtà aveva chiesto di potere restare qui da noi per motivi politici. Si ignora se tra Abbas e Frattini si sia affrontata anche questa grottesca situazione. Di certo ormai Abu Mazen non incanta più nessuno, né in patria, dove non è mai stato “profeta”, né fuori. A consuntivo di una carriera politica passata nell’ombra del grande terrorista internazionale Yasser Arafat, Abu Mazen può ben dire di avere raccolto solo un pugno di mosche. Anzi un po’ meno. Almeno Arafat riusciva a tenere a bada Hamas e a mantenere l’unità dei territori palestinesi. Con il suo successore invece quel popolo che voleva uno stato si è frantumato in due pezzi, creando a Gaza un’ulteriore enclave di terrorismo islamico nel Medio Oriente. E se anche Israele è costretta a trattare con Hamas per il cessate il fuoco da Gaza, per le città di confine e per liberare Shalit, fra poco saranno in molti, in Cisgiordania e nel resto del mondo, a chiedersi a cosa diamine serva Abu Mazen e soprattutto a chi giovi continuare a finanziarlo a fondo perduto. (l'Opinione)