martedì 28 aprile 2015

la Malalingua 265. Dino Cofrancesco





L’Italia può considerarsi una vera democrazia? E’ una domanda che ci poniamo da 150 anni. La risposta non è facile giacché il nostro è un paese complesso, complicato, difficile da etichettare in un modo o nell’altro. Comunque ci provo: siamo indubbiamente una democrazia liberale se, per riprendere la teoria delle due libertà di Isaiah Berlin, ci riferiamo alla libertà negativa ovvero al non impedimento, al fatto che nessuno ci impedisce di fondare un partito o un giornale o di astenercene se questo è il piacer nostro. Non siamo una democrazia liberale se ci riferiamo alla libertà positiva ovvero al potere reale – in termini di concrete risorse materiali – che ci garantisce influenza e accesso al dibattito pubblico.

Un liberale non se ne lamenterebbe se tutto dipendesse dal mercato e dalle libere scelte dell’opinione pubblica ma in Italia non è così. La piovra corporativa, in nome della solidarietà e dai ‘diritti sociali’, affida alla sfera pubblica la decisione relativa alla quantità e alla qualità degli attori autorizzati a salire sul palcoscenico. In tal modo, un quotidiano che vende poche migliaia di copie, come ‘Il Manifesto’ non manca mai nelle rassegne stampa radiofoniche e televisive giacché, lassù in alto, si è deciso che la pars sanior del paese non può ignorarlo. Ma di casi analoghi se ne potrebbero citare centinaia.

Cantautori, romanzieri, registi, filosofi, giuristi in linea con il republicanism antifascista, saranno sempre sotto i riflettori (gratis, beninteso) dei canali televisivi – pubblici ma non solo, giacché vi sono canali privati che non rinunciano affatto alla funzione rieducativa. Teniamoci cara la libertà negativa che, anche da sola, non è affatto ‘formale’ e irrisoria – come ritenevano Marx e ritengono ancora oggi i realisti di destra e di sinistra – ma senza dimenticare che la libertà positiva amministrata dallo Stato e realizzata da un mercato condizionato dai suoi ‘consigli per gli acquisti’, può essere l’anticamera della democrazia totalitaria.

(LSBlog)

venerdì 10 aprile 2015

Coop e Mafia Capitale reggono Renzi & Co. Cesare Alfieri


 
 
Mafia Capitale attraverso le Coop dà i soldi al Pd. E il Pd se li tiene. Nessuno restituisce niente. Nessuno è perseguito per alcunché. Nessuno eccepisce alcun tipo di responsabilità. E’ passato un anno, meglio, c’è voluto un anno per capirlo e adesso che è chiarissimo, nessuno fa niente. Il governo Renzi è stato imposto da Napolitano, come i precedenti Monti e Letta. Vogliamo chiamarlo a rispondere Napolitano, che è l’inizio di questo scempio contro la nostra democrazia o no? I magistrati d’attacco sono stati da Renzi subito esauditi, una specie di trapasso storico in cui da Tangentopoli ad oggi si sono garantiti il potere, e chi ha alzato la voce o ha iniziato a perseguire papà Renzi e governo, amici e parenti, è stato cooptato e messo di peso nella pubblica amministrazione (si tenga presente che un giudice in politica mantiene intatto posto e stipendio da giudice). La delinquenza e le cooperative danno i soldi alla sinistra tutta e la inseriscono e mantengono nei posti di governo, si veda l’attuale ministro del lavoro Poletti così come Delrio ora a fare affari al ministero dei lavori pubblici, collocano cioè propri esponenti in modo che ripaghino quanto dovuto con appalti e lavori cospicui. Ecco cos’è questo governo Renzi, ecco cos’è la politica della sinistra post partito comunista pagato dall’Urss, è alla base delinquenza, al livello intermedio cooperative degli amici, poi affari, e infine governo. Come farli saltare? Se ne è accorto adesso Berlusconi da chi è stato intortato e distrutto? Lo capiscono il centrodestra e la destra che verranno fatti fuori da ogni ganglo istituzionale, politico, sociale ed economico, ad uno ad uno, e che questo era il “disegno” iniziale? Come si è fatto a pensare diversamente quando, dall’inizio, Renzi è stato messo al governo non eletto, dopo Monti e Letta facce della medesima medaglia, per fare da prestanome e testa di legno al mondo della sinistra politica corrotta e delinquenziale, tanto quanto incrostata nel nostro Paese? Renzi non vuole il libero mercato, non vuole il merito, la competizione, getta fumo negli occhi quando dice di volerli, Renzi è stato imposto al governo per fare da banderuola e tenere in piedi il mondo delle coop, di Mafia Capitale, dei sindaci di sinistra pagati dai primi due (Coop e Mafia Capitale), degli amici degli amici nella pubblica amministrazione, nelle istituzioni, per garantire al giudicetto di turno che si agiti, un posto al sole, perché stia zitto e lasci a lui e ai suoi, alla banda bassotti d’Italia, ruberie e “sistema” corrotto e criminale. Sicuramente anti democratico. E’ per questo che sarebbe stato fondamentale bloccare da subito Napolitano e quello che stava facendo. Per far sì che non succedesse ciò che sta accadendo. E cioè il Paese strozzato piano piano, progressivamente, inesorabilmente, nella morsa di sinistra sino ad “esistere” solo per garantire il suo stesso “sistema”, di sinistra. Ma un “sistema” siffatto, è noto sui libri di storia, “macina”, mangia e trangugia, inghiotte se stesso. E’ solo questione di tempo. Renzi cadrà e il boato sarà enorme, portando giù con sé fino all’ultima particella della sinistra oggi al governo. Si spera succeda più prima che poi. Si spera l’evoluzione venga “aiutata”, assecondata, spinta. Per il bene e nell’interesse dell’Italia.

Intercettando il giustizialismo. Davide Giacalone


Parole e fatti hanno divorziato, in tema di giustizia. Le prime volano a caso, mentre i secondi sprofondano nel nulla. Eppure, volendo, c’è il modo per risolvere la questione delle intercettazioni telefoniche. Tenendo assieme le ragioni della riservatezza, della decenza, della prevenzione e della giustizia. Volendo.

Discettare su come disciplinarle è un gioco di società, che si vuole non finisca mai. Immaginare punizioni per chi le diffonde è un gioco fesso assai, dato che è già proibito e chi se ne infischia viene premiato. La più stupida delle idee è puntare sull’autodisciplina degli intercettatori (le procure), o su quella dei pubblicatori (i giornalisti). Mentre è oltraggiosa del diritto l’idea, esposta da Giovanni Legnini, vice presidente del Csm, secondo cui “si deve tutelare chi non è indagato”. Avvertite questo signore che il diritto esiste anche per tutelare gli indagati, che non sono dei colpevoli, non, almeno, fin quando non prevale quel frullato d’inquisizione e soviet che gli gira per la testa.

La soluzione c’è e noi la proponiamo da cinque anni: mai le intercettazioni negli atti processuali, mai nei mandati di cattura, mai a disposizione delle parti, quindi mai alibi per la loro pubblicità, perché, come nel sistema inglese, devono essere strumenti d’indagine e praticamente mai prove da esibire. Così si tiene in equilibrio la prevenzione dei reati e la riservatezza delle comunicazioni.

Qualcuno di noi ha qualche cosa in contrario a che siano ascoltate le conversazioni di soggetti o gruppi che si suppone si stiano preparando a commettere reati gravi? Che siano potenziali integralisti assassini o pedofili alla ricerca di minorenni di cui abusare, no, non ho alcunché da obiettare. S’intercetti pure. Una volta colto un indizio, che può condurre a un ipotetico reato, il compito degli inquirenti consiste nel trovare prove che possano essere esibite in un processo. Se due o più soggetti ne parlano offrono elementi a chi indaga. In ogni caso le loro conversazioni non vanno da nessuna parte. Men che meno quelle con o su altri, magari riferite ad affari di corna. E’ questo il modo per far convivere la repressione con il diritto. Non altro. Considerare le intercettazioni, in sé, come elementi adducibili alla richiesta di custodia cautelare, quindi da depositare in atti giudiziari, porta a due conseguenze corruttive. Da una parte imbastardisce le indagini e degrada il lavoro delle procure. Dall’altra trasforma i giornalisti in copisti servili. Ci perdono sia la giustizia che il giornalismo, progressivamente rattrappiti nel ruolo di guardoni.

Leggo che un magistrato di valore, come Carlo Nordio ha idee simili alle nostre. Me ne compiaccio. Ma questa roba deve trovarsi nella legge, non nella presunta bontà d’animo o nella morigeratezza di chi maneggia quel materiale. La soluzione è semplice e può essere immediata. Se non la si adotta è patetico lamentarsi di un male di cui si è la causa.

Matteo Renzi, che promette interventi ma non chiarisce quali, ha detto che sta leggendo il libro di Mario Rossetti (con Sergio Luciano: “Io non avevo l’avvocato”). Lettura utile a dimostrare che in più di venti anni s’è straparlato, nulla è cambiato, semmai peggiorato. Dice Renzi che non si deve essere giustizialisti. Bravo, ma aumentare le pene e allungare la prescrizione (come sta facendo) è la quintessenza del giustizialismo. Quella è la resa del diritto alla retorica della severità farlocca. La resa del processo all’accusa eterna. Più che giustizialismo: è dispotismo. L’idea che i diritti individuali siano subordinati alle verità sociali. L’accoppiata “ignoranza & viltà” socia di quella “chiacchiere e inutilità”. Una quadriglia che prova a fermare la divulgazione delle intercettazioni dando sempre più potere a chi se lo conquista divulgando. Galattica bischerata.

Pubblicato da Libero