sabato 31 dicembre 2011

Superciuk.  Davide Giacalone


Il ministro ministro della sanità, Renato Balduzzi, dice: tassiamo le schifezze alimentari e l’alcool per finanziare la costruzione degli ospedali. Tasse su quel che fa male per dar soldi a quel che fa bene. Nulla di più sano. Invece è una trovata alla Superciuk. Un obbrobrio concettuale. Questa pessima idea buonista è una specie di bomba a grappolo, capace di scatenare errori a catena. Ragione per cui, sapendo in partenza di ometterne parecchi, guadagno sintesi procedendo per punti.
1. Se ogni volta che serve un soldo si mette una tassa da due soldi potevamo risparmiarci di allontanare tante menti dagli studi e affidare il governo a Cetto Laqualunque. La spesa sanitaria va tagliata, non alimentata. L’imposizione fiscale in ragione della spesa pubblica fuori controllo è la corda che ci strangola, non la cima cui aggrapparsi.
2. Il ministro Balduzzi dovrebbe saperlo, visto che tiene corsi universitari sulla spesa sanitaria e, tanto per approfondire il tema sul campo, è anche presidente dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Speriamo non ci siano anche agenzie regionali per i servizi sanitari nazionali, da consultare assieme alle agenzie provinciali per la sanità municipale, da riunire con le agenzie comunali per la salute provinciale). Chiamare un conoscitore di quell’immane dilapidazione, uno che dovrebbe sapere che i farmaci cambiano prezzo a seconda della provincia e della regione, dovrebbe preservare dal sentirsi chiedere soldi da aggiungersi a tanto dissennata spesa.
3. Gli ospedali, comunque, si deve chiuderli, non costruirli. Ci servono grandi ospedali, con molte specializzazioni e dimensioni che li rendano economicamente sostenibili. Ci serve una rete di pronto soccorso cui ci si possa rivolgere per l’emergenza. Certo, sia il popolo che i politici si oppongono, lo so. Un tecnico potrebbe spiegare che è meglio prendere il treno per rendere visita al ricoverato che il tram per portare fiori al morto. Segnalando, comunque, che la sanità è un affare nel mondo e un debito in Italia, segno che il sistema va cambiato, non alimentato.
4. Essendo ministro del governo Monti, ovvero di un esecutivo che si ripromette di liberalizzare le professioni, potrebbe far tornare i medici a essere dei professionisti, anziché dei burocrati del servizio sanitario. Vuole un modello di riferimento? Le vecchie mutue: a. i medici venivano a casa; b. guadagnavano in ragione delle prestazioni (e non ti proponevano il nero senza iva); c. le mutue erano ricche. Bello, no?
5. Veniamo alla tassazione del junk food, del cibo spazzatura, delle schifezze. Una vera superciuccata (lo scrivo per i colpevolmente ignoranti: Superciuk viveva nel fumetto Alan Ford, di Max Bunker e Magnus, tutto made in Italy, era uno spazzino e prediligeva i ricchi, perché non sporcano, dopo l’esplosione di una distilleria aveva acquisito superpoteri). Dunque, signor ministro: mangio quello che mi pare. Se una roba è velenosa, proibitela. In caso contrario eviti di fare il moralista su quel che mastico. La tassa come sistema educativo è la premessa della frusta come mezzo espiativo e del rogo quale strumento redentivo. No, grazie.
6. In ogni caso, le assicuro che chiunque (tranne, forse, Bill Clinton) è in grado di capire che un bel filetto al barolo è migliore di una polpetta fritta, ma si dà il caso che il primo costi dalle dieci alle cento volte di più. Se vuol mettere tasse sui consumi poveri metta in conto la reazione dei poveri consumatori.
7. Vorrei sapere: pane e panelle (palermitano sono) è junk food? e le frittelle zuccherate fatte in piazza? e la frittura di paranza stradaiola? Farete una circolare esplicativa o un menù illustrativo? Mi chiami, la prego, ci voglio essere quando sosterrà che questa nostra memoria collettiva, questa proustiana reminiscenza è da considerarsi spazzatura tassabile.
8. E l’alcool (Superciuk aveva già avuto la sua dose etilica), non vorrò difendere anche quello! Certo che sì: Barbera e Champagne è il nostro brindar, e davanti a un fisco de vin quel fiol d’un can fa le feste, perché l’è un can de Trieste. Ma l’alticcio non sono io che difendo il bicchiere, l’ubriaco fradicio è chi non si ricorda che si tratta di una grande impresa nazionale, della quale dovremmo difendere e diffondere la qualità, oltre che l’educazione all’uso e l’orrore per l’abuso. In Cina se dici “vino” pensano alla Francia, e mi fa una rabbia incontenibile. Dovremmo aiutarla senza finanziarla, la nostra industria vitivinicola, non tassarla.
9. A proposito, signor ministro, la pizza è italiana, ma Pizza Hut è statunitense. Il gelato è italiano, ma nel mondo c’è Häagen-Dazs, a stelle e strisce pure quella. Lo spaghetto è solo italiano, e non ha catene mondiali. Non le punge vaghezza che punire e tassare è una pratica masochista?
Mi fermo prima del decimo rilievo. La moda dei decaloghi mi fa orrore. Non sono fra quanti sognano che i tecnici risolvano i nostri mali, né fra quanti li considerano un male in sé (sono lì per colpa della politica, che ha fallito). Mi accontenterei del non sopraggiungere di nuove castronerie.

sabato 17 dicembre 2011

Caro prof. Monti, una proposta sui taxi

Qualche tempo fa l'Istituto Bruno Leoni fece una proposta geniale per raddoppiare d'incanto le licenze dei taxi, senza che i tassisti ne avessero un danno economico (la diminuzione del valore della propria licenza per effetto delle nuove messe sul mercato). La proposta era questa: diamo a tutti i tassisti dotati di licenza una seconda licenza, liberamente alienabile. Il tassista deciderà se venderla, ricavandoci un bel po' di soldi a compensazione del valore diminuito della sua, affittarla o assumere una persona per guidare una sua seconda vettura. La proposta diventò anche una proposta di legge, a prima firma Daniele Capezzone (state buoni, quando Daniele era deputato del centrosinistra). Caro professor Monti, perché non la riprende? (Camillo blog)

mercoledì 14 dicembre 2011

The Protester

L'uomo dell'anno di Time

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(Camillo blog)

venerdì 2 dicembre 2011

Indecente Pd. Kuliscioff


Il Pd chiede di trattare. Non gli basta l’errore – l’orrore – della contro-riforma della riforma Maroni. Non gli bastano i numeri – le prove cioè – della mostruosa iniquità di un sistema che ai pagatori di contributi dell’ultimo quindicennio nega persino la restituzione di quanto loro coattamente tolto. Non gli basta neanche l’unanime allarme dei tecnici – una parte autorevole dei quali di sinistra – sulla necessità di intervenire, e con urgenza, per ricreare condizioni di equità, cioè restituire universalità ad un sistema invece così abusivamente selettivo, così generazionalmente discriminatorio da risultare stupido perché evidentemente suicida. Un sistema kamikaze, questo il Pd ritiene doveroso impegnarsi a tutelare.
Si copre di ridicolo, il Pd, sconfessando il piano pro-giovani del ‘suo’ giuslavorista, Pietro Ichino. Trova più opportuno seguire a ruota le aberrazioni propagandistiche dei sindacati – che macinano iscritti tra quei pensionati a cui in realtà nessuna riforma toccherà mai niente – e quei pensionandi a cui nessuna riforma potrà chiedere nulla più che il ‘sacrificio’ di rinunciare ad una parte degli interessi folli opzionati a spese dei figli per i quali oggi spendono assai più – in valore materiale ed emotivo – di quanto potrebbe mai costare loro mantenersi produttivi.
Il Pd – coi sindacati di cui sopra – pretende ora di sedersi al tavolo con quei tecnici investiti del certo non invidiabile compito di sanare le devastazioni compiute da una ‘classe politica’ che, unica in Europa, anzi no, insieme solo a quella greca, ha saputo fare solo male. Così tanto male che anche a mettersi d’impegno, sarebbe difficile fare di peggio. Siamo al default per via di un debito scientemente pasciuto. Siamo al default per via di una crescita scientemente boicottata. Siamo al default per via di quell’ottusa ostinazione – condivisa da tutti, teorizzata a sinistra – di tutelare interessi acquisiti che altro non sono se non privilegi estorti.
Ma questi qui, questi del Pd dico, vogliono parlare al governo in nome di chi, a titolo di cosa, e con quale razza di autorità? Questi qui non sono sinistra, non sono politica: sono una cricca di rentier che si fa portavoce dei confratelli.
Che restino pure a fare l’unica cosa di cui sono capaci: chiudersi nel soviet dei cooptati, collettivizzare l’irresponsabilità, coltivare parassitismo ed inerzia democratica. Sono i soli, loro, quelli che, mentre l’Italia implode, riescono a farsi le seghe per un comunicato-stampa ripreso dalle agenzie. Ma questi qui, perché il governo Monti dovrebbe starli ad ascoltare? (the FrontPage)

lunedì 28 novembre 2011

Ipse dixit

Lunedì 28 novembre: lo spread è a quota 500 punti

L'8 novembre il Pd pubblicava il suo manifesto...
(l'Occidentale)

martedì 22 novembre 2011

Neanderthal in esilio. Paolo Gambi

Voglio raccontarvi una storia. Una storia che racconta l’Italia, e che spiega molti perché del nostro presente. Parliamo di un ragazzo, romagnolo, classe 1977, nato e cresciuto a Faenza, appassionato di un settore di quelli un po’ particolari, a cui di solito non si pensa per il lavoro futuro: la paleoantropologia, lo studio delle ossa degli uomini antichi.

Questo ragazzo trova il coraggio di buttarsi nella sua passione, si laurea a Bologna, e dopo una laurea con lode prova a rimanere in università a continuare gli studi. Fa un dottorato di ricerca, continua a studiare, e pubblica una cinquantina di articoli scientifici. Inizia a partecipare a progetti di ricerca: sulle ossa di Matteo Maria Boiardo, Dante Alighieri, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano, partecipa a studi biodemografici su popolazioni degli Appennini, e sulle ossa di una necropoli. Si dà anche da fare per fare fund raising presso fondazioni ed istituzioni, anche con ottimi risultati. Insomma, fa tutto ciò che un bravo ricercatore deve fare: studiare, scrivere, fare ricerca sul campo, e persino trovare fondi per la ricerca.

Un bel giorno però, come spesso accade negli atenei di questo Paese, questo ragazzo viene allontanato dal sistema universitario. La causa potrebbe essere una qualunque di quelle cui chi ha avuto a che fare con l’università italiana è oramai abituato: mancanza di fondi, logiche baronali, processi di selezione all’italiana. Non lo vogliamo sapere, non è rilevante. Fatto sta che se vuole continuare ad inseguire il suo sogno deve andarsene. E lo fa.

Finisce prima in Germania, a Francoforte, per un anno (perché ovviamente, a differenza di molti altri, che magari poi diventano professori, sa anche le lingue), per poi approdare a Vienna. Qui la situazione è un po’ diversa dall’Italia. E in poco più di due anni, messo nelle condizioni giuste, che cosa fa? Una scoperta che rivoluziona la conoscenza sull’uomo. Una di quelle scoperte che costringono la comunità scientifica internazionale a rivedere decenni, secoli di teorie. Lavorando su due piccoli denti di uomo preistorico con tecniche avanzatissime (e complicatissime) riesce a scoprire che l’Homo sapiens è arrivato in Europa, e nello specifico in Italia, non 40 mila anni fa, come si pensava, ma 45 mila, con la conseguenza che l’Homo sapiens ha convissuto (e per 5000 anni) con l’uomo di Neanderthal, forse anche incrociandosi con lui, anche in Europa, cioè in Italia. Con l’ulteriore conseguenza che molti reperti, e quindi molte tecniche, che erano state attribuite all’uomo di Neanderthal probabilmente appartenevano all’Homo sapiens, e l’uomo di Neanderthal risulta da tutto questo molto più stupido di quanto lo avevamo sin qui creduto. Tutti i giornali del mondo si interessano della questione, raccontando la storia ed intervistando il protagonista. Tutti tranne quelli italiani, ovviamente.

Questa è una storia vera, fresca di qualche settimana, ed il protagonista si chiama Stefano Benazzi, che ho avuto il piacere di intervistare nella mia piccola trasmissione locale su Tele1, per poi mandarlo nel nazionale da Cecchi Paone. E qui finisce la storia. Ed inizia la riflessione, che poi è molto breve. Innanzitutto, ancora una volta, noi italiani siamo i migliori. Messi nelle condizioni giuste finiamo sempre per eccellere. E questo è un fatto. Ma ce n’è un altro. Un sistema universitario che non è capace di riconoscere una mente del genere e finisce per non premiarla, ma addirittura allontanarla, è un sistema che non porta da nessuna parte.

Il problema dell’università italiana non sono i pochi fondi, o gli stipendi da fame dei ricercatori, ma le logiche clientelari, antimeritocratiche e baronali che fanno di questo Paese quello che è e che finiscono per punire il merito. Anche perché la vera scoperta antropologica del nostro Benazzi non è tanto quella esposta, che cioè l’Homo sapiens e l’uomo di Neanderthal hanno convissuto in Europa e che il Neanderthal era più stupido del sapiens, ma quella ancora più sconvolgente che non è stata scritta. Che cioè questo stupido uomo di Neanderthal, durante la sua convivenza con i nostri diretti antenati italiani Homo sapiens, deve aver veramente inzuppato con la propria stupidità il sangue del popolo italico in maniera decisiva. Perché per farsi scappare un cervello come questo possiamo essere solo degli ottusi uomini primitivi. (The Front Page)

Mici Vendola, il gattocomunista. Marcello Veneziani

Ho visto Nichi Vendola da Fazio e ho fatto una scoperta. Vendola è un gattone. Il faccione sornione, il parlar fuffo, il pelo liscio, lo sguardo felino.
Nichi Vendola
Nichi Vendola
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Mici Vendola. Non ditegli che è gonfio perché fu castrato o che ha l'orecchino in caso si perda, altrimenti si ingattivisce. Vendola presiede l'Arcigatti. Nella sua terra, che è pure la mia (ho il privilegio di essere non solo suo contemporaneo ma anche suo conterraneo), ci sono due mitici gatti: il Gattofuffo, che è una prefigurazione popolare di Vendola, i suoi stessi tratti somatici e caratteriali, direi quasi un antenato; e la proverbiale Gatta del seminario che si lagnava sempre però mangiava assai: e in lui la lagna, la trippa e pure il seminario sono palesi.
Mici Vendola parla bene e governa male. Non amministra ma somministra; sermoni, mica farmaci. Lascia la sanità in mano agli affaristi e lui si cura di cinema, teatro, lettere e arti. E' governattore, recita più che governare. Niente conti, solo racconti. Come Veltroni anche per Vendola la politica è un ramo del Dams. Sforna più libri che provvedimenti. Emoziona, dicono i suoi fans ma è pericoloso quando lo dice pure lui, perché con la zeta gli parte una sputazza.
Di Pietro è fermo a Mani pulite, lui a Mani di fata. Mici Vendola è arrivato gattonando al top. Non sanno come fermarlo. Avete provato a opporgli tre bottiglie di plastica piene d'acqua? Dicono che sia un esorcismo formidabile per tener lontani i gatti. Ma Mici Vendola è un gattocomunista, mica un micio qualunque. E' il meglio della sinistra. Figuratevi gli altri. (il Giornale)

venerdì 18 novembre 2011

Il maestrino Pisapia che ferma il traffico per educare la gente. Claudio Borghi

«Le domeniche a piedi? Contro l’inquinamento non servono a nulla ma le facciamo lo stesso per educare i cittadini». Una volta richiusa la bocca spalancata davanti a tanta sfrontatezza, è il caso di sviluppare qualche riflessione di fronte a quest’impostazione logica della giunta comunale milanese, espressa per bocca del suo assessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran.

In effetti domenica prossima ci sarà un blocco totale del traffico, coordinato con numerosi comuni dell’hinterland Milanese ed effettuato «in gemellaggio» con Roma: stop deciso con anticipo, senza emergenze gravissime, tant’è vero che sono già stati programmati altri stop per marzo, aprile e maggio, ovviamente senza poter sapere quali saranno le condizioni dello smog per quei giorni.

In effetti però a che serve saperlo? Tanto sono ormai tutti d’accordo che non vi è alcuna significativa evidenza di benefici sulle polveri sottili originati dalla sospensione del traffico, lo confermano sia il candido assessore Maran sia il nuovo ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha altre volte confessato che i blocchi «sono piuttosto incerti dal punto di vista dei risultati».

E allora? Di cosa stiamo parlando? Non abbiamo mai risparmiato critiche nemmeno alla giunta Moratti ma almeno si pensava ci fosse l’esimente della buona fede e che in effetti si pensasse di ottenere qualche risultato: se viene a cadere persino questa scusa il tutto diventa incredibile. Ma ci rendiamo conto che la limitazione dei diritti altrui per «scopi educativi» non è né logica né gratis?
Il pendio su cui portano a scivolare ragionamenti di questo tipo conduce a conseguenze pericolose.

Tralasciamo l’aspetto «tonnara fiscale» tale per cui si abbinano gli obblighi all’utilizzo dei mezzi pubblici con l’aumento sproporzionato (+50% il biglietto singolo) delle tariffe, con il risultato di convogliare i cittadini, come i tonni nelle reti, verso le casse del Comune guidato da Giuliano Pisapia, limitiamoci invece alla cultura del divieto. Sulla base di questo ragionamento la già conclamata invadenza dello Stato nella vita dei cittadini potrebbe non avere più freni: già ci sembra di vedere le utilissime «giornate al freddo» con multe pesantissime per chiunque osi accendere una stufetta, per educare i cittadini a stare vicini vicini sotto le coperte, oppure si potrebbero organizzare i «pranzi verdi» dove chi si azzarda a toccare una fettina si becca il suo bel verbale, necessario ad abituare il cittadino alle gioie della verdura.

A quel punto nulla impedirebbe, dato che ad esempio correre fa bene, di realizzare entusiasmanti «giornate al galoppo dove i vigili saranno sguinzagliati a multare chi non scatti come un maratoneta per la pubblica. Se la logica fa difetto a questi provvedimenti non dobbiamo poi pensare che siano gratis: si fa presto a vietare l’uso di alcuni mezzi di trasporto, tutti d’accordo, i bambini felici e altre scuse buone per ogni occasione, tuttavia le limitazioni alla mobilità costano, sia in termini immediati che come differimento del traffico negli altri giorni con aumento del traffico medesimo.

Quindi, adesso che la foglia di fico dell’effetto sulle polveri sottili è caduta, evitiamo almeno di bloccare le auto in giorni lavorativi quando, per i soliti motivi atmosferici, le polveri sottili ci saranno davvero. Nota a margine: la Domenica a Milano sarà allietata dall’allegro esercito di artisti della sinistra militante che hanno sostenuto la candidatura del sindaco Pisapia. A piedi e più propaganda per tutti, anche se non vuoi. (il Giornale)

giovedì 17 novembre 2011

Un Uomo Macchina per guidare il Paese. Marcello Veneziani

Oggi c’è il sole. È stata la battuta più audace di Mario Monti in questi giorni. E tutti a scorgere allusioni cifrate, messaggi elioterapici, metafore ottimiste.
mario monti 
L’Uomo Grigio che sognammo in un cucù dopo il colorito Berlusconi si è avverato. È lui, Mari-o-Monti. Il Tennico . Come vivono i Tecnici, le macchine da governo, di che si nutrono, come si riproducono? Per cominciare, Monti si accende solo se schiacci «on», che non è l’onorevole pestato, ma il tasto apposito. Quando finisce premere «off». Monti è ancora imballato nella placenta di plastica. Ha le mutande di polistirolo e i capelli in vetroresina, come si può notare. Sul teleschermo è mobile ma non si sa chi detiene il mouse che lo muove.
Napolitano è entusiasta di lui perché durante le consultazioni gli ha aggiustato un transistor del ’63, e non si è preso niente. Dicono che Monti abbia un cane golden retriever; il cane del Tecnico in realtà è un elettrodomestico, è il «bimby», un robot. Hanno confuso il cane col padrone, la Goldman Sachs.
Monti prende tre stipendi ma restituisce automaticamente il resto. Monti non mangia, ha l’alimentatore. Monti è ironico se gli installano il programma apposito. Quando fa sesso, a Monti sale l’indice mibtel e schizza lo spread. Si eccita col touchscreen, gli si accende la chiavetta. È stata captata una sua confidenza erotica: ti ricordi, cara, quando lo facemmo due volte di seguito, nel 2001 e nel 2002? Monti è wireless, non ha cavo e non ha presa. Teniamocelo caro, il Tecnico. Come disse Candide, questo è il migliore dei Monti possibili. (il Giornale)

mercoledì 16 novembre 2011

Partita sbagliata. Davide Giacalone

Per fare il gioco delle tre carte occorre mestiere, in caso contrario si parte per fregare e si finisce fregati. Mario Monti è stato chiamato a formare un governo commissariale, necessario per fronteggiare la tempesta della speculazione sui titoli del debito pubblico e impostosi nonostante il Parlamento non abbia mai votato la sfiducia al governo precedente, frutto di una vittoria elettorale. Questo è il senso di una chiamata autorevole, ma priva di forza politica. Il mandato è di fare, subito, quel che la politica non è stata e non è in grado di fare. Ma se Monti si cimenta con l’imitazione del piccolo politico, pretendendo una maggioranza tanto vasta quanto predefinita e tendenzialmente eterna, se arriva al ridicolo potente di consultare i giovani e le donne (quando fette della società sono prive di rappresentanza il rimedio non consiste nell’inventarsene una a capocchia), allora siamo su una pessima strada. Che può portare dal commissariamento all’esautorazione delle istituzioni democratiche, ma, più facilmente e probabilmente, al fallimento.

La scena che si svolge sotto ai nostri occhi è incredibile. Il Quirinale ha dedicato la domenica alle consultazioni, laddove tutti sapevano come sarebbe andata a finire, sicché si stavano facendo dei giri a vuoto. Ha cercato copertura formale a un incarico già conferito quando il governo era nella pienezza dei suoi poteri. E passi, per salvare la facciata istituzionale. Ma Monti avrebbe dovuto ritornare al Colle lunedì mattina, se proprio non direttamente la stessa domenica sera. Tocca a lui, e solo a lui, stabilire il programma immediato del suo governo e come deve essere composto. Tocca al Parlamento, poi, stabilire se deve ricevere la fiducia e durare in carica più di qualche settimana (al massimo fino alla primavera del 2013), oppure gestire solo il pronto soccorso, per poi passare la mano al primo governo della prossima legislatura. Monti, invece, ha commesso l’imperdonabile errore d’incassare il primo veto, quello che il Pd ha posto contro Gianni Letta, passando da commissario a commissariato. Da lì non può più tornare indietro: o lo ignora o lo subisce. Nel primo caso il tempo lavora contro di lui, nel secondo la natura del suo governo è già cambiata. Il che lo rende infinitamente più debole.

Nel frattempo, come non era vero che i mercati “bocciavano” Berlusconi così non è vero che ora “bocciano” Monti, ma era ed è vero che ci stanno massacrando e che noi, prima e ora, si dimostra di non sapere reagire. Con una differenza: prima era inerte un governo regolare, ora è inerte un incaricato il cui compito era proprio quello di mettere in atto la reazione.

Quando Monti dice che vuole l’appoggio convinto di tutti, con la partecipazione dei capi politici al suo esecutivo, apre una partita che non può essere sua. Quando afferma che non vuole scadenze al proprio governo dimentica che nella Costituzione non c’è traccia di governi cui si vota la fiducia una volta e poi governano per il resto della legislatura. Questo sovvertimento delle regole e della logica non porta bene a nessuno e aumenta il caos.

Un osservatore capace e prudente, Stefano Folli, ha scritto, su Il Sole 24 Ore, che Monti ha adottato questa tattica dimostrando “l’attenzione che deve al suo alleato: l’opinione pubblica”. E’ appunto quello che non deve fare, la natura dell’incarico che ha ricevuto è opposta, perché se si deve dare ascolto all’opinione pubblica, posponendo l’intervento al consenso, allora sarà bene ricordare che esiste uno ed un solo modo per auscultare gli elettori: votare. Stabilire cosa pensano gli italiani non spetta ai giornalisti che titolano su “SuperMario”. E non spetta nemmeno ai mercati. Siccome, però, non si può non opporre alla speculazione interventi immediati (risolutivi non lo saranno mai, perché il problema non è in Italia, ma nell’euro) ecco che si giustifica il governo commissariale. Ma solo in tal senso.

Quando Monti non aveva ancora ricevuto l’incarico scrissi che il suo governo sarebbe stato breve o brevissimo, giacché l’orizzonte temporale è comunque ristretto e non si riforma l’Italia in pochi mesi. In compenso, però, traccheggiando in politichese si sprecano anche i giorni. Questo è il buco nero in cui Monti sta cadendo, e noi tutti con lui.

martedì 15 novembre 2011

Il governo tennico. Christian Rocca

Dunque. Dicevano che bastava annunciare le dimissioni di Berlusconi che lo spread sarebbe sceso di almeno cento punti. Quello ha annunciato le dimissioni, ma lo spread non è sceso. Allora hanno detto che Berlusconi faceva finta, in realtà non si voleva dimettere e tramava qualche diavoleria, ecco spiegato perché lo spread non rispondeva agli editoriali di Repubblica. Berlusconi però non faceva finta, l’ha scritto subito il Quirinale e l’ha ribadito il giorno dopo. Eppure Mr. Spread se ne è impipato lo stesso. Allora si è detto che no, non bastavano le dimissioni di Berlusconi, ma la chiave di volta sarebbe stato l’annuncio di Monti, una persona seria, credibile e riconosciuta dai mercati. È arrivato Monti, con loden e trolley (Monti è incolpevole, ma gli articoli sul significato salvifico del loden e del trolley resteranno nella storia del giornalismo italiano e forse anche nordcoreano), ma caspiterina niente, niente di niente, lo spread sempre più su, nonostante qualche frettoloso editorialista avesse già festeggiato i meno 100 punti di spread esattmente come aveva festeggiato Berlusconi alla fine del primo tempo della finale di Coppa dei Campioni, poi persa contro il Liverpool.
No, un attimo, è stata l’ulteriore spiegazione, Monti non ha ancora ricevuto l’incarico, vedrete quando lo ricevera, e poi avete visto che bel loden? L’incarico è arrivato, ma lo spread ha ripreso ad aumentare (in questo momento è a 520, e Repubblica esulta "spread sotto 520", mentre quando era a 300 sembrava l’Apocalisse). Ora è il momento che no, non ci vuole un governo tecnico, ma politico. E allora vai con Monti che non vuole un governo tecnico, ma un governo politico, con i partiti, ma senza i voti popolari, con i voti degli altri (altri pensatori contemporanei direbbero "col culo degli altri"). Intanto lo spread continua a fare come crede. Il nuovo mantra è stato: lo spread sale perché il Pdl mette i bastoni tra le ruote a Monti. Ora invece pare sia il PD. E tutti convinti che lo spread dipenda dai retroscena del bravissimo Francesco Bei.
Seguiranno altre scuse. Incrociamo le dita.
Il punto è che mentre da noi si assicurava che sarebbe bastato l’addio del Cavaliere e l’arrivo del principe azzurro per calmare i mercati e rimettere le cose a posto, tutti i grandi giornali del mondo, finanziari e no, e tutti gli esperti, insigniti o meno del Nobel, dicevano altro: dicevano che Berlusconi non era più credibile come riformatore del sistema economico e produttivo (e peraltro nemmeno l’opposizione), dicevano che l’Italia era solvibile, dicevano che i nostri fondamentali erano a posto, dicevano che il problema interno era la crescita, dicevano che il problema esterno era la Banca Centrale che non difende la moneta, dicevano che per fermare lo spread la Bce avrebbe dovuto fare da prestatore di ultima istanza.
Noi, invece di batterci su cose serie come queste, di fare pressioni sull’Europa e sulla Germania, di chiedere alla Banca centrale di fare il suo dovere di Banca centrale, l’abbiamo buttata in politica, abbiamo indossato la sciarpa e siamo entrati in Curva sud a regolare i conti. Abbiamo scelto di usare la contingenza finanziaria per combattere la battaglia finale per far fuori il Caimano (che, beninteso, si meritava di essere fatto fuori). Abbiamo grottescamente creduto di essere a Piazza Tahrir, nella più grande mistificazione giornalistica dell’ultimo decennio (dopo Calciopoli). (Camillo blog)

lunedì 14 novembre 2011

L'Italia riparte dalla fermata di Bersani

14 Novembre 2011
Nel day after Berlusconi, mentre l'Italia è senza governo finché Mario Monti non scioglierà la riserva, in un momento in cui il debito pubblico e l'attacco dei mercati minano la stabilità del Paese, tra le fila del Pd si fanno proposte per fronteggiare l’emergenza.
A farle alle 21.57 di sabato 12 novembre, esattamente qualche minuto dopo il “mi dimetto” del presidente del Consiglio, è stato Pierluigi Bersani che ha sentito l’esigenza impellente di lanciare in tempo reale il suo monito per ricominciare a marciare con il piede giusto su uno dei social network più seguiti in assoluto, Twitter. “E adesso rimettete la fermata dell’autobus a via del Plebiscito”, ‘pigola’ @pbersani.
Quella della linea bus che si trova di fronte a palazzo Grazioli, soppressa per motivi di sicurezza nel dicembre del 2009, sembra essere una vera e propria urgenza nazionale. A tal punto da scalzare tutti gli altri punti della ‘fittissima’ agenda postCav. del Partito Democratico. A fare da eco a Pigi, i consiglieri democratici Dario Nanni e Paolo Masini: “Appena appreso che Berlusconi si stava recando al Quirinale abbiamo predisposto immediatamente una mozione nella quale si chiede di ripristinare la fermata che sarà consegnato immediatamente agli uffici dell’assemblea capitolina per giungere lunedì stesso ad una rapida discussione della proposta”.
Dopo petizioni, raccolte di firme e proteste pubbliche, per una volta Bersani e co. prendono in mano la situazione e si apprestano a risolvere il problema che toglieva il sonno agli italiani. Finalmente un obiettivo concreto! Direte. E invece no, perché c’è già chi, vista l’importanza della faccenda, mette in dubbio la ‘paternità’ del provvedimento. Chi? Il direttore di Europa Stefano Menichini che, letto il ‘twit’ del segretario del Pd immediatamente ricinguetta infastidito rivendicando i diritti d’autore della proposta: “Questa però l’aveva già detta qualcuno. Io per esempio”. In effetti è vero. L’8 novembre Menichini aveva suggerito: “Ora può ripartire una grande campagna di civiltà: ripristinate la fermata dell’autobus in via del Plebiscito”.
Con una questione di tale portata tra le mani sembra giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Perché un’Italia nuova passa anche per la fermata Plebiscito. (l'Occidentale)

giovedì 10 novembre 2011

16/10/2011

L'ECONOMISTA SUPER PARTES CHE SALVA L'ITALIA.  Gianni Pardo

L’articolo di Mario Monti sul “Corriere” di oggi (1) sarebbe anodino – e perfino poco interessante – se a scriverlo fosse stato un qualunque editorialista o economista. Il Rettore della Bocconi invece è stato molte volte indicato come il possibile Primo Ministro di uno di quegli esecutivi – battezzati con una ventina di nomi diversi –  che di fatto si chiamano soltanto TTB: tutto, tranne Berlusconi. Monti infatti dovrebbe essere un uomo estremamente competente e al di sopra delle parti. Purtroppo, il suo articolo di oggi non sembra dimostrarlo: la sua originalissima tesi è che la crisi attuale è colpa di Berlusconi e si risolverebbe se lui si dimettesse. Se questo è essere super partes, se così ci si dimostra obiettivi, non siamo messi bene.
Egli comincia col dire che l’Italia - malgrado le vanterie di Berlusconi - mette in crisi l’euro ed è di fatto un protettorato di Francia e Germania. Dimentica però di notare che tutto questo dipende non dall’attuale politica economica - l’Italia ha un avanzo primario migliore di quello della Francia, e dunque giudicata sul presente non creerebbe la minima preoccupazione - ma dal pregresso debito pubblico. Questo viaggia da decenni al di sopra del 100% del prodotto interno lordo, è nato negli anni Ottanta del secolo scorso ed è andato sempre crescendo. È vero, paghiamo tassi più alti della Spagna; è vero, se le banche e i privati non comprassero i nuovi titoli emessi per pagare quelli in scadenza, l’Italia dichiarerebbe fallimento dall’oggi al domani: ma tutto questo dipende dai 1.900 miliardi di euro del debito pubblico, non da Berlusconi. È così difficile da riconoscere? Invece Monti fa dire a innominate fonti straniere che “le principali responsabilità di questa situazione vengono attribuite al governo italiano in carica da tre anni e mezzo”. Responsabilità di oggi per un debito nato trent’anni fa. Come l’agnello che intorbidava l’acqua del lupo che stava a monte. Ecco che significa essere super partes.
Ma Monti spiega le colpe del governo. “L’Italia è più indietro [della Spagna] perché non c’è stato neppure il minimo riconoscimento di responsabilità da parte del governo”. Come se vestirsi di saio e battersi il petto cambiasse la realtà dei mercati e delle Borse. E qual è, comunque, il merito della Spagna? Nientemeno, quello di avere annunciato nuove elezioni. Traduzione, sempre rimanendo super partes: se buttiamo fuori Berlusconi tutto si risolve e i creditori del debito pubblico rinunceranno forse a riscuotere i loro titoli. 
Il governo, dice Monti, avrebbe dovuto chiedere la collaborazione delle opposizioni. E con ciò dimostra di essere tanto al di sopra delle parti da averle perse di vista. Forse pensa che la Camusso applaudirebbe l’abolizione dello Statuto dei Lavoratori, se Berlusconi lo proponesse. 
Il governo avrebbe anche la colpa di avere scaricato su altri le responsabilità: sull’opposizione, sui magistrati, sui corrispondenti esteri (per la cattiva fama dell’Italia nel mondo). Anche a dargli ragione: che c’entra, tutto questo, con la crisi economica? Se fosse Primo Ministro Antonio Di Pietro il debito pubblico sparirebbe? Non si dovrebbero più pagare gli interessi? I mercati accorderebbero all’Erario tassi più favorevoli?
Ma in fondo perché insistere nell’analisi? Monti attribuisce a Berlusconi “un’ovattata percezione della realtà”, cioè gli dà del demente, e a suo parere coloro che lo sostengono “toccano livelli inauditi di servilismo”. Invece lui che è super partes stila queste auree parole: “la permanenza in carica dell’attuale presidente del Consiglio viene vista da molti come una circostanza ormai incompatibile con un’attività di governo adeguata, per intensità e credibilità, a sventare il rischio di crisi finanziaria e a creare una prospettiva di crescita”. La quale affermazione è di una stupidità talmente colossale che veramente vorremmo Mario Monti Primo Ministro per cavarci lo sfizio di vedere quale sarebbe la sua attività di governo adeguata, come renderebbe tutti nel mondo ammiratori del debito pubblico italiano  e come creerebbe in un battibaleno una smagliante crescita economica dell’Italia. Lui e la sinistra sarebbero dunque capaci di decidere quei tagli alla spesa pubblica, di adottare quelle riforme liberiste e “anti-sindacali” che non è stato capace di adottare il centro-destra? Vorremmo proprio vederlo all’opera.
Si può non avere grande stima di Berlusconi, che fra l’altro scherza abbastanza per dare a volte l’impressione di essere solo un comico mediocre. Ma se si pensa di sostituirlo con questo genere di personaggi super partes, capaci di sparare con sussiego una simile sfilza di affermazioni balorde, forse dobbiamo sperare di rimanere sub partibus, tenendoci il governo che abbiamo.
Mario Monti ha tutto il diritto di avere un’idea politica anche chiaramente antigovernativa e antiberlusconiana. Non ha il diritto di presentarsi come neutrale. (Pardo blog)


(1)http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_16/monti-false-illusioni-sgradevoli-realta_068269c4-f7bf-11e0-8d07-8d98f96385a3.shtml

martedì 8 novembre 2011

Resistere, resistere, resistere (e altre cose)

Per rilanciare la sua traiettoria politica, in questo momento difficile, al Cav. potrebbe venire utile usare alcune parole d'ordine del recente passato:
- Resistere, resistere, resistere
- Io a quello (Crosetto) lo sfascio
- La Lega è una costola della sinistra
- Con una lettera alla Bce rivolteremo l'Italia come un calzino
- Mediaset è una risorsa del paese
- (Non) abbiamo una banca centrale
- I principali esponenti dello schieramento a noi avverso
- Bye-Bye Gabri  (Camillo blog)

lunedì 7 novembre 2011

Pelanda: 2012, Italia in recessione grazie alla Germania. Carlo Pelanda

Ma perché Berlino fa questi errori madornali? Non li considera errori, ma buona condotta economica da tenere in qualsiasi situazione, indipendentemente dalla realtà: (a) evitare anche un minimo rischio di inflazione, cosa che in effetti ci sarebbe se la Bce avesse il permesso di stampare di fatto moneta comprando titoli di debito; (b) mantenere l’ordine economico (disciplina di bilancio) a qualsiasi costo, anche quello dell’impoverimento; (c) punire chi è disordinato per dissuasione futura. Tale dottrina viene definita “idealismo economico” e ha il difetto di non adeguarsi alla realtà e, quindi, di creare disastri per irrealismo.
Da un lato, i governi italiani di destra e di sinistra negli ultimi 15 anni hanno responsabilità pesantissime per non aver cambiato una situazione di debito troppo elevato combinato con crescita troppo bassa dell’economia nazionale. Dall’altro, il fatto che il mercato finanziario abbia dubbi sulla capacità prospettica dell’Italia di ripagare il proprio debito dipende più dal fatto che l’eurosistema dominato dalla cultura economica tedesca non voglia creare garanzie “di ultima istanza” e soluzioni positive ai problemi delle sue nazioni, mentre potrebbe e dovrebbe. Sarebbe bastato creare una eurogaranzia di 360 miliardi di euro, un’inezia per l’eurosistema, sulla totalità del debito greco per evitare il contagio di sfiducia su altri eurodebiti.
Il come è importante. Non un fondo salvastati, ma un cambio dello statuto della Bce per darle il permesso di operare come prestatore di ultima istanza. Il mercato avrebbe fatto il seguente calcolo: la capacità della Bce di fare interventi di emergenza, quali comprare o garantire titoli di debito, è stimabile in circa 6 trilioni di euro. I debiti dei Paesi più a rischio o perché a economia debole (Grecia, Portogallo e Spagna) o perché di volume troppo elevato pur avendo un’economia forte (Italia) sono complessivamente inferiori a tale cifra. Quindi una Bce con piena capacità di agire nel ruolo di prestatore/garante di ultima istanza, come la Riserva federale statunitense, sarebbe stato un segnale al mercato che era inutile speculare al ribasso sugli eurodebiti o non necessario fuggire da essi.
Infatti, il mercato non aggredisce o abbandona il debito statunitense nonostante abbia raggiunto il 120% del Pil (se inclusi i debiti degli Stati locali) e il fatto che l’America sia in stagnazione. Ma la Germania si è opposta. Non solo. Al riguardo della Grecia ha voluto mescolare l’intervento di salvataggio con quello di punizione, dando al mercato il messaggio devastante che il debito di una euronazione sarà lasciato andare in insolvenza per il 50-60%. Il mercato ha trasformato questo esempio in profezia negativa sull’Italia ed è fuggito dal suo debito nonostante la capacità tecnica di ripagarlo e di arrivare al pareggio di bilancio nel 2013 per non farne di più.
Per esempio, la svalutazione dei titoli di debito costringe le banche che li posseggono a ricapitalizzarsi e quindi a ridurre gli impieghi, creando una crisi del credito che sarà concausa principale della recessione nel 2012 in Italia. Il caso peggiore si può ancora evitare mettendo la Germania di fronte alle sue responsabilità e dando all’euro un’architettura politica realistica: (a) modificare lo statuto della Bce aggiungendo alla missione di difesa dall’inflazione quelle di stimolazione dell’economia e di prestatore di ultima istanza; (b) creare un centro di governo unico dell’economia nell’Eurozona con propri bilancio e capacità fiscali con la missione di riequilibrare le condizioni economiche nell’area. O così o l’euro difficilmente potrà durare. (il Sussidiario.net)

lunedì 24 ottobre 2011

Sarkozy e la sinistra italiana ridono. Ma non per molto. Gennaro Malgieri

Gioiscono davanti al sorriso sarcastico di Sarkozy, con compiacimento ricambiato dalla collega tedesca Merkel, le opposizioni di sinistra (Casini si è distinto nel non associarsi alla vigliaccata e gliene diamo atto). Traggono alimento dalla indignazione partitocratica del presidente francese contro Berlusconi e contro l’Italia per aver perso un posto nel board della Bce ed intende farcela pagare. Si dicono ancor più convinti che questo governo deve andare a casa immediatamente. E già sperano in cuor loro di baciare le mani all’inquilino dell’Eliseo ed alla Cancelliera venuta dall’Est per il servizio resogli. Se la maggioranza di centrodestra non gode buona salute, la minoranza che dovrebbe prendere il suo posto è in stato addirittura comatoso. Aggrapparsi alle disgrazie interne per gioire delle nefandezze europeiste (si fa per dire) di due sconfitti di successo quali sono Sarkozy e la Merkel, prossimi al pensionamento politico come concordemente tutti i sondaggi di opinione prevedono, asseverati dalle verticali e rumorose cadute elettorali che hanno registrato negli ultimi due anni, è veramente il segno della più indifendibile debolezza delle sinistre italiane il cui patriottismo si riduce ad una spilletta da esibire in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Garruli come fringuelli a primavera i Bersani e i Letta, i Di Pietro e i Donadi, unitamente ai loro sodali, hanno rovesciato nel pomeriggio di domenica scorsa fiumi di contumelie contro il governo irriso dal direttorio franco-tedesco, rappresentativo, secondo i poteri fortissimi che imperversano lungo la Penisola, dell’Europa che, alla prova dei fatti, non solo non conta niente, ma neppure esiste se venticinque Stati permettono soltanto a due di elargire patenti di affidabilità ed inducono organismi burocratici che ragionano in base a parametri fantasiosi delle difficoltà reali dei popoli dell’Unione, a declassare chi, per motivi diversi, si trova in difficoltà.

Certo, non si pretende che le opposizioni assolvano il governo che di responsabilità ne porta. Ma è disgustoso questo sentimento antinazionale a fini puramente interni, di lotta politica insomma, insufflato dal marito di una Carlà capace di perdere un notevole patrimonio di consensi in soli tre anni perché dedito arrogantemente alla cura del suo potere personale piuttosto che dedicarsi alla cura degli interessi della collettività. Al punto che il suo predecessore Jacques Chirac ha già fatto sapere che alle presidenziali di maggio voterà per l’antagonista socialista François Hollande. Non gli resta che il palcoscenico dell’Unione europea e la platea dei giornalisti che detestano Berlusconi, il centrodestra, l’Italia forse, per farsi una risata. La prossima primavera le sue labbra, con ogni probabilità, resteranno chiuse in un imbarazzante mutismo e sul suo volto calerà un velo di tristezza constatando, per di più, che lascia al suo successore una Francia economicamente non proprio florida come vorrebbe far credere in questi mesi di campagna elettorale.

Torniamo alla miseria dell’opposizione italiana. Soltanto per dire che se domani, disgraziatamente, dovesse varcare il portone di Palazzo Chigi un Bersani o un Vendola o un Di Pietro cos’altro potrebbe fare se non dare seguito alle puntuali indicazioni della Bce, alle intemerate di Van Rompuy, alle pretese di Sarkozy e della Merkel? Senza un briciolo di dignità. E senza neppure prendere in considerazione i sindacati che non vogliono assolutamente che si tocchino le pensioni e la Confindustria che alla patrimoniale neppure ci pensa. Un governo zerbino degli euro-burocrati piuttosto che decisionista. Ma che certamente si guadagnerebbe bei titoli sui giornali che contano e considerazione in Eurolandia dove più che governanti i padroni del vapore gradiscono interloquire con lacchè.

Tuttavia, quel che è accaduto a Bruxelles non ci esime dal ricordare che il governo, pur ereditando disastri strutturali, nell’ultimo anno, complice la testardaggine del ministro dell’Economia, poco o niente ha fatto per evitare l’impasse attuale. C’è pure da ricordare che la Lega gli ha dato una bella mano a Berlusconi nel farsi corbellare in Europa. E questo è un altro problema ancora.

Come se ne esce? Posto che le elezioni non sono la soluzione e guai se il premier e Bossi ne fossero tentati, bisognerebbe mettere subito mani alla riforma delle pensioni, ma non sotto dettatura dell’Unione europea, dismettere l’ingente patrimonio dello Stato, procedere con le privatizzazioni, investire nella ricerca. Poi accada quel che deve accadere. Non escluso la fine di questa ridicola Europa e di questa sciagura che è l’euro. (l'Occidentale)

Dio, Patria e Famiglia. Christian Rocca

Mi fanno molto ridere quelli che, a sinistra, hanno iniziato la campagna “Renzi è pericoloso, perché le sue idee piacciono anche a destra” (con la consueta grazia si è distinta la direttrice di YouDem Tv, già nota alle cronache per aver fatto la pipì al Pentagono). A parte che le elezioni, come dimostra Obama, si vincono convincendo anche una parte dell’elettorato avverso, mi colpisce come gli anti Renzi indichino Renzi e non si accorgano che nel frattempo loro stessi si sono trasformati in uno schieramento di destra, della destra che più destra non si può, a cominciare dall’amore per il giustizialismo manettaro fino alla continua evocazione di governi tecnocratici e quindi antidemocratici. Ma c’è di più. Dio, Patria e Famiglia, a torto o a ragione, è sempre stato lo slogan caratterizzante la destra bacchettona del nostro paese. Ora sono i valori fondanti dell’opposizione di centrosinistra con le richieste pressanti ai vescovi di intervenire nella politica in nome dei principi cristiani, con l’ipocrita indignazione, signora mia, per l’immagine del nostro paese all’estero e con la condanna morale per lo stile di vita del premier invero lontano da quello della famiglia tradizionale e poco morigerato. Dio, Patria e Famiglia. Altro che Renzi. (Camillo)

sabato 22 ottobre 2011

Il padre e il giudice.  Davide Giacalone


Per come funzionavano i padri, quando facevano i padri, il problema non sarebbe stato l’arresto, ma la scarcerazione, quindi il ritorno a casa e il lesto passaggio dalla contestazione alla punizione. Avessero fotografato me, nel mentre avessi lanciato non un estintore, ma anche solo un sasso o una bottiglia, contro le forze dell’ordine, la cosa che avrei temuto di più non sarebbe stato l’incontro con il giudice, ma con mio padre. Lì la clemenza me la sarei potuta scordare. E non erano dei selvaggi, o dei sadici, i padri che facevano i padri, ma persone cui non sfuggiva la loro responsabilità: dare l’esempio e far sapere ai figli che gli errori si pagano.
Figli si nasce, padri si diventa. Lo sono divenuto e, da genitore, comprendo il dolore di quelli che ieri hanno sperato di riabbracciare i figli, fuori da Regina Coeli. Non un bel posto. Invece il giudice delle indagini preliminari ha confermato tutti gli arresti, tranne uno, considerando quei cittadini pericolosissimi, in quanto responsabili (non da soli) delle violenze che hanno sconvolto Roma e l’Italia, sabato scorso. Capisco meno, invece, l’ansia di giustificarli. Ho l’impressione che sia anche il desiderio di non essere giudicati. Perché ci sono due sole possibilità: che siano innocenti o colpevoli. Nel primo caso, ci torno subito, meritano le scuse. Nel secondo non è opportuno né far finta di niente né minimizzare, perché, come un tempo ben si sapeva, e come ancora si sa in tantissime famiglie per bene, se non si è capaci di stroncare sul nascere una devianza quelli diventano delinquenti ancora più pericolosi. Posto che delinquenti lo sono di già.
Parlo in generale e senza nominarne i cognomi, perché fra le cose che non sopporto c’è il cannibalismo mediatico, l’uso dei casi specifici per allestire lo spettacolo dell’informazione non ragionata. A ciascuna di quelle persone auguro ogni bene, compreso il subire una giusta pena, se colpevoli. Ma i genitori che proteggono a prescindere, quelli che non hanno visto mai le mazze ferrate e le pessime frequentazioni, che non si sono accorti del calcio vissuto come battaglia e dei cortei praticati come palestre di violenza, cosa credono di ottenere? E’ fin troppo chiaro come finiscono queste storie: malissimo. Forse i nostri figli non hanno alcun bisogno che si proiettino su di loro le nostre paure e li si protegga dalla vita, ma che, al contrario, li si consideri persone, li si cresca con speranza e si presenti loro il conto del bene e del male. Come può fare un genitore.
Ora, però, sono nelle mani della giustizia. Ora è bene che ciascuno ripassi i pilastri della civiltà: nessuno di loro deve essere considerato colpevole fin quando una sentenza definitiva non lo stabilisca. Ed è qui l’essenziale: spero che ciò avvenga presto, ma non per smania repressiva (sono favorevole alla repressione), ma per il loro bene. La cosa peggiore che possa capitare loro è una sentenza di condanna che arrivi dopo anni, spezzando una vita o non ponendo rimedio al suo disfarsi nella distruzione e nell’autodistruzione. Il tempo perso sarebbe per loro una pena aggiuntiva, il che ci ricorda che una giustizia giusta, amministrata in tempi ragionevoli, è una garanzia per la collettività, una speranza per l’innocente e un diritto anche del colpevole.
Il processo ai violenti non dobbiamo farlo qui, o in qualche studio televisivo. Qui dobbiamo batterci perché siano rispettati i diritti di ciascuno, compreso quello a non avere terroristi in circolazione.

giovedì 20 ottobre 2011

Non diveniamo ostaggi.     Davide Giacalone


Non cadiamo nella loro trappola, non finiamo tutti quanti ostaggi dei violenti. Sono “solo” dei criminali, degli spiantati, gente che non vale l’inchiostro dedicato loro. L’errore è già stato commesso, consentendo loro di fermare i lavori dell’alta velocità in Val di Susa e lasciando credere che contino qualche cosa. Vanno solo individuati, arrestati e puniti, reprimendo una rete che non è un movimento politico (anche in quel caso andrebbe represso), ma un insieme di teppisti che puntano a imporsi scassando e a realizzarsi nella violenza. Quello fotografato nel mentre lancia un estintore dice: non sono un black bloc. Gli credo, è, più semplicemente, uno che merita la galera.
Attenti anche a non credere che si debba limitare la libertà di tutti, per poterli ingabbiare. E’ sufficiente far funzionare la giustizia e affrontare senza paura i tanti che sono pronti a dir minchionerie sul disagio sociale, l’esclusione, le loro buone ragioni e la necessità di comprenderli. Non c’è un accidente da comprendere, questa è gente che sfascia per il gusto di sfasciare. Non servono leggi d’emergenza, semmai servono leggi ragionevoli e serie. Prendete il caso concreto delle telecamere e delle intercettazioni telefoniche: a Londra sono strumenti di prevenzione, utilizzati dalle forze dell’ordine, in Italia sono o materia per discutere (del tutto a sproposito) di privacy, oppure roba messa nelle mani dei magistrati, che sbobinano per poi passare ai giornali. La legge deve cambiare, ma nel senso di offrire più garanzie ai cittadini e all’ordine pubblico, prendendo esempio dagli inglesi: le intercettazioni non sono prove, ma strumenti d’indagine, non si depositano e non si pubblicano, non arrivano al magistrato (se non in casi eccezionali), ma si usano per prevenire e per raccogliere prove, con le quali, in pochi giorni, si ottiene la condanna di chi mette a ferro e fuoco le piazze.
Non lasciatevi distrarre da questi criminali, né lasciatevi traviare da chi vi suggerisce di doverli “capire”. Se siamo nei guai è perché la nostra giustizia non funziona e non è capace di condannarli alla giusta pena (non esemplare, giusta). Corriamo dei rischi perché la giustizia ha deragliato. Rimettiamola sui binari e puniamo la teppa. Saremo più sicuri e più civili.

mercoledì 12 ottobre 2011

12 ottobre 2011
La vicenda è ormai nota. La federazione romana di Sel pubblica un manifesto con l’immagine di una mela (quella della Apple) con dentro il simbolo del partito. Cosa c’entra un partito di sinistra (radicale) con Steve Jobs? Niente.
Il manifesto di Sel con l’omaggio a Steve Jobs
Parole chiave: nichi vendola, sel, steve jobs


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/politica#ixzz1aaW6LhJA

venerdì 7 ottobre 2011

Magistratocrazia. Angelo Libranti

Non passa giorno che questo riverito Ordine istituzionale non faccia parlare di se per le più svariate ragioni, tutte intese a regolare la vita del cittadino fin nelle sue intime manifestazioni e sensazioni.
Siamo ormai uno Stato sotto tutela ed i parlamentari, che pur rappresentano il popolo italiano, da almeno una quarantina di anni, hanno rinunciato a far valere i loro diritti costituzionali, per viltà o paura di essere inquisiti, magari per un’infrazione qualsiasi.
Lo stesso presidente del Consiglio, massima autorità del potere legislativo, è sotto schiaffo da 18 anni per accuse tra le più varie, tra le quali spiccano quelle di essere mafioso e pedofilo.
La cosa si spiega perchè, purtroppo, una parte della magistratura,  fin dai primi anni del dopoguerra, auspice il ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, ha cominciato a far politica aderendo alle tesi socialiste.
Togliatti, politico raffinato e lungimirante, influì sulla stesura della Carta costituzionale facendo inserire articoli sull’indipendenza della magistratura, creando di fatto un potere parallelo a quello legislativo pensando al domani, in quanto sapeva che elettoralmente il Pci  non sarebbe mai diventato partito di maggioranza.
Massimo Caprara, segretario particolare del capo del Partito comunista, dopo aver abiurato all’ideologia marxista, ebbe più volte a denunciare l’inquinamento della magistratura italiana, fin dal 1946, arrivando a testimoniare a favore di Giancarlo Lehner, in un processo a Trento nel 2005, l’esistenza di un registro riservato, custodito a Mosca, con l’elenco di tutti i magistrati italiani aderenti al Pci.
Nel 1964, ritenendo maturi i tempi, alcuni magistrati di sinistra uscirono allo scoperto fondando Magistratura Democratica, nel cui documento programmatico era scritto a chiare lettere, l’intenzione di “riformare” lo Stato, ispirandosi “ai valori della resistenza”.
Favorito da un momento storico, quando già si profilava la strategia della tensione, il gruppetto iniziale si allargò inserendo nuovi elementi, fidando nell’ignavia del partito di maggioranza che non seppe, o non volle, opporre  idee garantiste e più consone alla nostra civiltà giuridica,  e piano piano riformò, se non proprio l’Italia, la Magistratura, modificando le procedure delle indagini giudiziarie e dei processi penali e civili.
Da allora è stata una continua escalation nell’imporre la loro politica giudiziaria ed i primi effetti evidenti si notarono dopo il 1969, quando fior di terroristi la sfangarono per distrazione o collusione di certi magistrati, espatriando all’estero.
Con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, amico di Craxi e nemico giurato della sinistra tutta, la giustizia creativa si è manifestata in tutta la sua virulenza, arrivando a sconvolgere le regole e la Costituzione alla quale dicono, mentendo spudoratamente, di ispirarsi.
Non trovando ostacoli al loro procedere, hanno invaso tutti i campi del vivere civile e dei rapporti fra cittadini e fra il cittadino e lo Stato. Al dolo si unisce la superficialità ed ora siamo all’invasione completa della vita privata.
E’ di questi giorni, ma già si esercitavano da tempo, la novità di togliere i figli alla famiglia legittima, senza avviso e senza indagini, basta la relazione di un assistente sociale qualsiasi e scatta improvvisamente il decreto di affido ad altra famiglia, creando problemi psicologici notevoli in un minore di 10 anni.
Certa magistratura regola pure (e sopratutto) i rapporti di lavoro, intervenendo pesantemente nelle controverse aziendali, riassumendo o spostando il personale, ignorando i contratti e condividendo in toto le tesi dei sindacati.
Nella Rai-Tv riesce a mutare i palinsesti ed anche nelle attività sportive ignora i regolamenti di autonomia delle Federazioni, rifacendo risultati e classifiche.
Entrano pure nelle redazioni dei giornali e perquisiscono i giornalisti non graditi con un’impunità unica, adducendo pretesti che non valgono per altri giornalisti ed per altre testate.
Cosa dire poi di certe sentenze nel penale (il civile lo lascio perdere), quando si va dalla condanna certa all’assoluzione con formula piena, o viceversa, oppure quando si imbastisce un processo per il furto di un ovetto di cioccolata.
Novità degli ultimi anni è l’intercettazione a tappeto; l’origliare al telefono la vita altrui, per poi passare tutto a giornali amici per la pubblicazione.
Il risultato, devastante, è lo sputtanamento dell’intercettato, pur non dovendo rispondere di nessun reato.
Scontato il fatto che nessuno li controlla, il Csm tace in tutt’altre faccende affaccendato, il ministro della Giustizia non fa valere le sue prerogative, pur indicate nella Costituzione, il Parlamento è succube ed incapace di reagire, schiavo pure delle magagne di alcuni suoi esponenti di spicco.
Della loro arroganza e dei loro errori non paga nessuno, anzi paga lo Stato, cioè tutti noi. (The FrontPage)

giovedì 29 settembre 2011

I tre omissis dei vescovi e una proposta. Marcello Veneziani

Condivido l'appello dei vescovi alla sobrie­t­à e all'aria pulita. Aggiungo solo tre corol­lari omessi e una riflessione sul futuro. Uno, magari il degrado denunciato dai vescovi si po­tesse circoscrivere a una persona, fosse pure il premier, e a una fase, i nostri giorni. Purtroppo il degrado è più radicale, più diffuso, più stagio­nato. Due, ma l'uso pubblico della vita privata, la pubblicazione amplificata di deplorevoli ri­svolti dell'intimità e infine l'incitazione all' odio, non hanno gravi corresponsabilità nel degrado morale e civile del Paese?

Tre, ma chi dovrebbe«purificare l'aria»,la sinistra di Pena­ti e Vendola, i comitati d'affari che si vedono all' orizzonte, i tifosi di Zapatero, dell'aborto e del­le unioni gay? Lo dico dal vostro punto di vista. Senza togliere una virgola alla denuncia, sareb­be stato più onesto e veritiero aggiungere an­che questi tre aspetti. La riflessione, invece, ci sposta sull'agire po­litico. Con l'estrema unzione dei vescovi, si è completato il pronunciamento delle vecchie zie, o «poteri forti», compatti contro il governo Berlusconi. È già accaduto in passato. Ma ha senso spostare la partita politica sul terreno personale, in difesa del privato? Ha senso gio­care la partita soli contro il resto del mondo, non avendo più il vasto consenso popolare e con il fiato di Bossi sul collo? Lasciate che io dis­senta e dica: meglio annunciare che a fine legi­slatura si chiude un ciclo, puntare a concluder­lo degnamente per il bene dell'Italia, e poi ri­partire dalla politica. Cioè da zero. (il Giornale)

giovedì 22 settembre 2011

Come leggo i giornali. Uriel Fanelli


Il Corriere della Sera.

Il Corriere della Sera e' governato da quelli che in Italia vengono considerati "i salotti buoni della finanza". In particolare, si tratta di Gemina e altri. Per fare un elenco, Unicredit, Assicurazioni Generali, Mediobanca, Benetton Group (Sintonia) , Schroder, Oxburgh, Deutsche Investment Management Americas, BPM Gestioni SGR e Eurizon. In dettaglio:

Al 10 febbraio 2010, l'azionariato di RCS MediaGroup S.p.A., aggiornato secondo le comunicazioni pervenute alla Consob, è così composto :
Come potete vedere, ci sono praticamente tutti i grandi finanzieri italiani. Di conseguenza, si tratta del giornale che e' portavoce, per forza di cose, delle istanze della finanza. Esse sono un pelino diverse da quelle di Confindustria, perche' la finanza appare un pelino piu' "popolare", cioe' sembra meno orientata ai "padroni" e piu' alle persone.
Ma questo e' dovuto essenzialmente al fattore trainante della finanza italiana: l'immobiliare , il credito al consumo e la cartolarizzazione dell'economia.

martedì 20 settembre 2011

Il vero conflitto di interessi in Italia va cercato nei giornali. Daniela Coli

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l'Occidentale - Pochi storici e politologi si sono resi conto che dalla metà degli anni ’70 la vita politica italiana non è stata diretta dai partiti e da leader, ma da tre giornali amici: il Corriere, la Repubblica e la Stampa. Tra giornali legati insieme da un enorme conflitto di interesse che nessuno dei più battaglieri giornalisti contro Berlusconi ha mai rivelato. La famiglia Agnelli, proprietaria della Stampa, a metà anni ’70 divenne anche azionista di maggioranza di Rcs, e Antonio Caracciolo, azionista di maggioranza del gruppo Espresso da cui nacque nel 1976 Repubblica, diretta da Scalfari, era il fratello maggiore di Marella Caracciolo, la moglie di Gianni Agnelli. Tutto in famiglia, anche se all’insegna della condanna del familismo amorale italiano, dell’etica e della modernità. Sulla lobby responsabile di questo gigantesco conflitto, che con un solo articolo faceva dimettere un governo durante la prima repubblica (Craxi resistette e fu subito disegnato come Mussolini da Forattini) e ha decapitato la prima repubblica, nessuno dei più inflessibili giornalisti del Corriere ha mai scritto una parola. Nemmeno Sergio Romano, che lanciò la campagna sul conflitto di interessi di Berlusconi. Attento conoscitore della vita politica americana, Romano sapeva bene cos’era un conflitto di interesse e scrisse una serie di articoli indignati contro il tycoon televisivo che voleva farsi premier, ma non ha mai scritto un rigo sul conflitto Agnelli-Caracciolo, al cui confronto quello del Cavaliere era insignificante. Un conflitto che non è solo politico, ma economico, finanziario, per i rapporti del gruppo Fiat con la finanza internazionale.
Questo conflitto rappresenta una potente Lobby economica-finanziaria e politico-culturale, i cui interessi hanno poco a che fare col bene del “Paese” come il Corriere, la Stampa e Repubblica chiamano l’Italia. E’ una Lobby senza preferenze politiche e ideologiche: usa indifferentemente come camerieri e maggiordomi partiti e politici diversi per i propri interessi. Agnelli ha avuto un ottimo rapporto col Pci, perché era nell’interesse della Fiat ottenere finanziamenti pubblici dallo Stato italiano e quindi qualsiasi attacco del Pci ai vari governi democristiani e di centrosinistra era benvenuto per le casse della Ditta. Il Pci non si è neppure accorto di essere stato espropriato dell’egemonia culturale da Repubblica, un vero e proprio partito, che ha sostituito l’Unità tra i militanti della sinistra come l’Espresso ha sostituto Rinascita. Dopo il ’92-93 la linea all’ex Pci la dettano Repubblica e il Corriere. Nessun partito socialista europeo è stato condizionato come la sinistra italiana da una lobby estranea al partito e i più forti paesi europei hanno democrazie solide, dove i governi durano cinque anni e dove a nessun giornale verrebbe in mente di far dimettere un premier o un cancelliere con una campagna giornalistica: non sarebbe possibile. Qui sta l’anomalia italiana.
È comprensibile che Berlusconi sia stato visto dalla Lobby che decideva i destini dell’Italia come un contropotere e sia stato combattuto fin dall’inizio, incastrandolo col conflitto di interesse e col famoso avviso di garanzia pubblicato da Mieli sul Corriere, mentre il Cavaliere presiedeva il G8 a Napoli nel novembre ’94. Berlusconi tornò al governo nel 2001, perse nel 2006, rivinse le elezioni nel 2008, ma la Lobby di Repubblica, il Corriere e la Stampa si ostina a parlare di ventennio berlusconiano. È comprensibile che si sia tentato di fare fuori Berlusconi: per la prima volta in Italia è nato un contropotere deciso a fare funzionare la democrazia rappresentativa e a governare cinque anni, come in tutte le democrazie occidentali.
Per eliminare Berlusconi si è creato un nuovo ariete: i magistrati. Erano serviti per fare fuori con una campagna giudiziaria-mediatica i partiti della prima repubblica e i magistrati sono rimasti gli alleati più fedeli della Lobby, mai scalfita da un’indagine e alla quale sono sempre stati serviti su un vassoio di argento avvisi di garanzia e intercettazioni contro destra e sinistra, quando fa comodo agli interessi della Ditta. La Lobby si definisce anglofila, addita l’Inghilterra come modello, ma Murdoch è stato travolto dalle intercettazioni dei suoi tabloid e la polizia inglese adesso vuole anche sapere come il Guardian è entrato in possesso delle intercettazioni di News of the World.
I giornali della Lobby danno all’estero l’immagine dell’Italia e hanno un complesso serraglio di grandi firme, ognuna delle quali ha un diverso referente politico, e ognuna ha il suo posto nell’orchestra: chi strizza l’occhio alla destra postfascista pubblicando quotidianamente qualche dettaglio della storia del fascismo, perché, si sa, niente è più inedito dell’edito, chi fa il paladino della destra liberale e ci ricorda con gli economisti classici messi in soffitta da Schumpeter l’importanza dell’egoismo per il capitalismo, chi si batte il petto disperato perché in Italia, ahimè, non c’è né la destra, né la sinistra e la colpa è tutta dei falsi invalidi, naturalmente. Poi c’è Sartorius che se la prende col sultano, Stella e Rizzo che incalzano contro la Casta (dagli idraulici ai taxisti ai politici) e Magris, ma per Magris basta il nome, no? Tutte quelle figurine Panini che aveva tanto bene descritto Edmondo Berselli. Quante cose aveva capito Edmondo, che qualcuno all’Occidentale considera un nemico: averne di nemici come Edmondo! Aveva capito che Dagospia, da cui oggi attingono a piene mani Mauro, Flebuccio, Marione e le procure – ormai un’appendice di Dago (e chissà quanto si divertirà Cossiga dall’al di là a vedere i magistrati affannarsi a consultare Dagospia, la sua creatura) – era il teatrino più adatto per inquadrare Marchionne, ribattezzato Marpionne, che “gioca certe sue indecifrabili strategie all’interno della famiglia Agnelli, e potendo dà una gomitatina a Montezemolo”.
La debolezza italiana, l’anomalia italiana sta proprio in questa Lobby che impedisce alla politica italiana di comportarsi come quella inglese, francese, tedesca e spagnola, che ultimamente ha riscritto la Costituzione insieme, destra e sinistra. La Lobby sempre indignata con il “Paese”, perché non ci sono gli “Italians” (e neppure quelle belle cerimonie e tutti quei bei cappellini della regina, né William e Kate e neppure Carlo e Camilla), è riuscita perfino a dare lezioni di patriottismo con i 150 anni sbandierati ogni giorno (signora mia, non c’è più un Cavour! Se ci fosse lui!) per tenere l’Italia sotto e farla diventare il fanalino di coda dell’Occidente, diffamarla, tenerla sospesa, perché, cavolo!, non è l’Inghilterra e gli italiani sono così cialtroni, mafiosi, ladri e puttanieri, a cominciare dal Berlusca, così arcitaliano…. Per questo, non solo Berlusconi, ma anche il centrodestra va abbattuto, la sinistra basta un tozzo di pane per tenerla al guinzaglio.
Questa è l’Italia della Lobby, sbeffeggiata dall’Economist, la Bibbia della Lobby. Davvero ci vorrebbe un Principe, come chiedeva Machiavelli: ci vorrebbe la politica, tutta, di destra e di sinistra, che alzasse la testa e decidesse di riscrivere il patto per l’Italia. Tory e whig, dopo una lunga guerra civile, riuscirono insieme a fare giurare al re fedeltà al parlamento e a prendere il destino dell’Inghilterra nelle loro mani. Chissà se la politica italiana riuscirà mai ad alzare la testa e a prendere in mano il destino del paese. Se non lo farà sarà decapitata tutta, perché la Lobby è uno stato nello Stato, un governo ombra con i suoi ministeri e ministri, i suoi ambasciatori, le sue spie, e ha il suo esercito di magistrati che quando vuole e come vuole scaglia contro la destra e la sinistra. Ci sono momenti in cui nella vita di uno Stato la classe politica deve decidere se farsi annientare o alzare la testa e decidere se è capace di esistere. È il caso di dirlo: se non ora, quando?

venerdì 16 settembre 2011

L'uovo di giornata

Repubblica passa all'audio in nome della (sua) legge

Repubblica ha fatto un nuovo salto di qualità: ha messo sul suo sito l'audio integrale di una telefonata tra il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e Walter Lavitola. Non bastavano, anticipazioni, trascrizioni, sbobinature, variazioni sul tema: ora abbiamo la viva voce del premier incisa per sempre nella vastità della rete.
Quella telefonata non dovrebbe esistere: non doveva essere registrata, se registrata non doveva essere sbobinata, se sbobinata non doveva essere diffusa e pubblicata. Invece non solo esiste, non solo è stata trascritta, ma per il godimento del pubblico e dell'inclita, è ora a disposizione in stereofonia.
Una così palese violazione delle regole, specie nei confronti di un capo del governo democraticamente eletto, in qualsiasi paese produrrebbe un terremoto di sdegno contro i giudici, contro i giornali, contro il sistema mediatico-giudiziario. Qualcosa del tipo di quello che è accaduto a News of the World e a Rupert Murdoch  in Inghilterra.
In Italia quella telefonata rubata è invece oggetto di delizia su Facebook, mentre Repubblica che ne ha deciso la diffusione consolida il suo status di unica paladina della libertà di stampa, della pubblica legalità e del sacro fuoco del giornalismo d'inchiesta.
Nessuno si chiede come Ezio Mauro abbia messo le mani su quel nastro che non dovrebbe esistere: attraverso quali amicizie, quali alleanze, quali scambi di favori, quali omissioni. No, Repubblica è impegnata a salvare l'Italia dal caimano e tutto le è concesso.
Ci può stare: siamo arrivati ad un punto in cui nessuno si scandalizza più di nulla e tutte le regole sono saltate con il plauso generale. Una cosa resta davvero inspiegabile: che in Italia gli unici indagati per violazione del segreto istruttorio per aver pubblicato una intercettazione telefonica siano Silvio Berlusconi e l'allora direttore del Giornale, Maurizio Belpietro. (l'Occidentale)

martedì 13 settembre 2011

ArchivioAndrea's Version

13 settembre 2011

Sì, figurarsi, non sono mica scemi, mica ci credono davvero. Mica ci crede la Barbara Spinelli, quando suona la cetra per Eugenio Scalfari manco fosse un pensatore due spanne sopra Heidegger, lo sguardo lungo, la morale lassù in cima, l’occhio che scruta passato e presente, e tutto questo, scrive, anzi, suona lei, nonostante che il corpo di lui appaia ben più giovane di quello di Ganimede. E’ evidente che la Spinelli finge. E mica crederete che creda davvero a quel che scrive, Ezio Mauro, il quale si sobbarca ogni giorno la fatica di spiegare come e qualmente, se un orso bianco si trova a disagio nell’attuale calotta polare, ciò dipenda senz’altro dal fatto che Berlusconi scopa. E a non parlare di Michele Serra, beato lui, che sgrana gli occhioni e mostra d’indignarsi come il primo giorno ogni volta che gli insinuano il dubbio di una sinistra capace di spendere perfino oltre i proventi da salamella. Ma no, non sono fessi, date retta, mica ci credono. Non si dice mentire, recitano solo un po’, dissimulano. Come dire? La fabbrica del fingo. (il Foglio)

domenica 11 settembre 2011

Capire Berlusconi. Gianni Pardo

  

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La stampa offre due articoli preziosi per capire il fenomeno Berlusconi. Angelo Panebianco imputa al Cavaliere un difetto caratteriale che è l’opposto di ciò che si è sempre detto in giro. La vulgata ha sempre sostenuto che Berlusconi non ascolta nessuno; che è circondato da una corte di servi sempre pronta a dire di sì; che lo stesso Pdl è un partito senza democrazia interna, dove non si ha diritto di dissentire e si fa solo ciò che dice il Capo. Ora Panebianco - non in  una frase di passaggio, ma in un intero articolo - sostiene ripetutamente e vigorosamente la tesi opposta: il difetto di Berlusconi è quello di non saper comandare.
“Il vero vizio d’origine di questo governo consiste nella incapacità dimostrata da Berlusconi, in questa esperienza di governo, come, del resto, nella precedente (quella del 2001/2006), di imporre una propria egemonia sulla compagine governativa nel suo complesso e, di riflesso, sulla maggioranza”. Dunque egli non comanda né a Palazzo Chigi né nel Pdl. Le stesse esitazioni sul contenuto della manovra nascono dal fatto che non l’ha decisa o imposta lui, ma ha lasciato fare, fino al caos che abbiamo visto. Come se non bastasse, la maggior parte dei provvedimenti, essendo di sapore nettamente socialista, sono stati contrari alle sue idee: “cosa c’entrano quelle cose con Berlusconi, con ciò che lui è, e con l’elettorato che lo ha fin qui seguito? La risposta è facile: nulla, assolutamente nulla. Eppure, è stato proprio il governo Berlusconi a proporle”. Il governo nel suo complesso, dunque, non certo chi ne presiedeva le riunioni. Dov’è dunque finito l’autocrate di Arcore, l’uomo che è sembrato essere, da solo, la causa e l’origine di tutto, quello alla cui volontà si inchinava l’intera Italia, tanto che il suo regime è stato paragonato ad una dittatura morbida?
La colpa è comunque sua: “Berlusconi ha sottovalutato, fin dall’inizio della sua esperienza, il fatto che avrebbe dovuto costruire «anticorpi» in grado di assicurargli una autentica egemonia sul governo”. Fa proprio effetto, dopo anni ed anni di accuse in un senso,  vedere accusare qualcuno del suo assoluto, incompatibile contrario.
Panebianco tuttavia non delira e fornisce a prova della sua tesi il rapporto con Giulio Tremonti. Si sapeva sin dall’inizio che l’amico aveva idee vagamente “socialiste”. Le sue proposte “di sinistra” non sono stupefacenti e la colpa di Berlusconi è presto descritta: “Anziché fare del ministro dell’Economia, come di solito avviene, un proprio collaboratore in materia economica, egli accettò che Tremonti ne diventasse il dominus”; “solo in extremis, sfruttando le pressioni della Banca centrale europea e le sollecitazioni del presidente della Repubblica, Berlusconi sia riuscito a recuperare un certo personale controllo sulla manovra”. E allora bisogna chiedere agli italiani: troppo comando o troppo poco comando? Collaboratori servi o collaboratori riottosi? Berlusconi dittatore o Berlusconi testa di turco?
Il secondo articolo, di Francesco Verderami, si segnala invece perché ci mostra che cosa ha imparato il Cavaliere in materia di politica. Pare che la diplomazia segreta del Terzo Polo e del Pd abbia seriamente proposto a Berlusconi il classico “passo indietro” per formare un nuovo governo senza di lui, pur consentendogli di designare il nuovo Premier. Qualcuno dunque pensa che sia ancora l’uomo del 1994 ed ha dimenticato che Silvio forse è un ingenuo ma non è uno stupido. Ciò che gli si propone l’ha già vissuto nel 1994 e non ha dimenticato né l’inganno di Scalfaro né il distacco di Dini. Chi abdica è spesso tradito da chi gli subentra sul trono.
Ma c’è di più. Lo scopo sarebbe stato quello di consentire la nascita di un nuovo governo “per portare a compimento la legislatura e garantire il traghettamento del Paese verso la «terza Repubblica» con una serie di riforme strutturali sul versante economico e su quello istituzionale”. Una serie di riforme? Ma quali, esattamente? E con quale preciso contenuto? E quale garanzia si potrebbe mai fornire sulla loro realizzazione? E che cos’è la Terza Repubblica se non aria fritta, una rimasticatura di sogni giornalistici?
Un altro specchietto per le allodole è pure la promessa più o meno esplicita che, facendosi da parte, Berlusconi non sarebbe più perseguitato dalla magistratura. In primo luogo la minoranza ha sempre negato che egli sia stato perseguitato, e questa proposta equivale invece ad un riconoscimento del fatto; in secondo luogo la promessa implicherebbe che c’è una parte politica che ha i magistrati al guinzaglio. Ma Berlusconi, che non è completamente rimbecillito, avrebbe detto: “Eppoi comunque non si fermerebbe la caccia all'uomo contro di me da parte della magistratura”.
Questi due articoli ci dicono che Berlusconi è tutt’altro che quel “padrone” che tanti si sono compiaciuti di descrivere: soltanto, non è più quell’ingenuo che era nel 1994.

venerdì 9 settembre 2011

L'Espresso e il Fatto danno il peggio di sé sull'11 settembre. Carlo Panella

Commemorare l’11 settembre pubblicando balle colossali è una scelta lecita e può anche aumentare le vendite, ma ha il difetto di essere un gioco –oltre che sporco- troppo scoperto e che non fa onore a chi lo pratica. Pure, l’Espresso oggi pubblica tre Dvd con la supervisione di Giulietto Chiesa che ci raccontano “l’altra verità” su quel dramma. Che sia un operazione impresentabile lo sa bene anche il settimanale di Carlo De Benedetti che prende subito le distanze dalla sua stessa iniziativa, con una precisazione che lascia esterrefatti: “ L'Espresso', che come dimostra la sua storia è da sempre aperto anche alle opinioni diverse dalle proprie, lo propone come documento certamente di parte, ma su cui discutere per farsi un'idea completa”. Insomma, sono tutte balle ma “teniamo famiglia”, dobbiamo vendere, non abbiamo idee serie e quindi vi proponiamo una sòla con la scusa alla Nanni Moretti di “aprire il dibbbattito”. Naturalmente non abbiamo potuto esaminare i tre Dvd (escono oggi), ma possiamo ben immaginarci che altri non siano che la collazione di tutte le fantasticherie che Giulietto Chiesa propaga da dieci anni circa il “complotto americano”, con un Pentagono che non è mai stato colpito dal Boeing 747 del volo 77 della American Airlines, con una guerra in Afghanistan motivata dagli oleodotti e quindi complotto e poi complotto e ancora complotto degli yankees. Una serie di menzogne e di insinuazioni prive dei più elementari riscontri col marchio della più becera e puteolente ideologia antiamericana, assemblata da un personaggio di scarso successo, emarginato da tutte le forze politiche che ha corteggiato per ottenere una candidatura e che alle ultime europee, non a caso, si è presentato (ma è stato trombato) in Lettonia, nella speranza di ottenere i voti della minoranza russa dalle nostalgie sovietiche. Stessa solfa per il Fatto che domenica ha pubblicato un delirante articolo di Robert Fisk che –in sintesi- sostiene che la responsabilità ultima degli attentati è degli Usa che hanno appoggiato sempre Israele, quando gli attentatori si sono schiantati sulle Twin Towers proprio in difesa dei palestinesi. Fisk, come sa chi ha una conoscenza anche superficiale di al Qaida, è smentito platealmente proprio da Osama bin Laden che ha sempre posto la questione palestinese almeno al nono posto tra i propri obbiettivi. Ma non importa. Così come non ha peso la smentita più chiara ed evidente di tutte le tesi e insinuazioni di Giulietto Chiesa e Robert Fisk. Dopo l’11 settembre al Qaida e il terrorismo islamico hanno colpito in paesi come l’Indonesia (a Bali), l’Arabia Saudita, il Bangladesh, l’India (a Mumbai), il Marocco, la Nigeria e l’Algeria, paesi, contesti, che nulla hanno a che fare con gli Usa e ancora meno con la questione israelo-palestinese. Chi segue anche da lontano il terrorismo islamico sa che le sue radici sono solo e esclusivamente nel fondamentalismo islamico, che uccide nella logica di una guerra di religione, innanzitutto contro quelli che considera i “falsi musulmani” e poi, solo in seconda battuta, contro i loro alleati occidentali. Basti pensare che sono ben più i musulmani straziati da kamikaze islamici dentro le moschee, mentre pregavano, di quante non siano state le vittime dell’11 settembre. Ma personaggi come Giulietto Chiesa e Robert Fisk non si occupano né preoccupano della realtà e piacciono all’Espresso e al Fatto proprio .-e solo- perché ripropongono il più basso, stantio e viscerale antiamericanismo che si sia mai visto in Italia e in Europa. Una sottocultura, che vive e sopravvive nei siti Internet più squalificati dell’estremismo di sinistra, che ci viene oggi riproposta con iniziative editoriali che però, in fondo, hanno un pregio. Indicano come ormai a sinistra non vi sia più alcuna capacità di elaborazione, comprensione, analisi del mondo e di un fenomeno complesso come il terrorismo islamico. Non più cultura politica –anche antiamericana, come era, ma con serietà e sostanza quella del vecchio Pci filosovietico- ma solo invettive, sospetto, insinuazioni. (Libero)

La sinistra gambero rosso dimentica quel che predicava. Filippo Facci

La verità è che il segretario dei Ds, per esempio, dice anche delle cose sensate, coraggiose, in linea coi tempi: ammetterlo sarebbe già un progresso. Queste, per esempio, sono parole sue: "Dobbiamo avere il coraggio di un rinnovamento. La mobilità e la flessibilità sono un dato della realtà, e corrisponde, nella nuova generazione, a un modo diverso di guardare al lavoro. Il problema che si pone a sinistra e sindacati è se noi, rinnovando gli strumenti della contrattazione, possiamo costruire delle nuove reti di tutela e di rappresentanza. Se non ci mettiamo su questo terreno, rappresenteremo sempre un solo segmento del mondo del lavoro: quelli che stanno in mezzo, ma che sono sempre di meno. Lo so che nel meridione ci sono due milioni di italiani che lavorano in nero, ma non sono sicuro che sia solo un problema di polizia e di ispettorati del lavoro... Non sono sicuro che se li scopriamo avremo 7000 miliardi in più: temo che, se li scopriamo, alcuni pagheranno le tasse, ma altri chiuderanno, e avremo un milione di disoccupati in più. Dovremmo preferire essere lì con quei lavoratori e negoziare quel salario per migliorarlo, anziché stare fuori dalle fabbriche con in mano una copia del contratto nazionale". Parole, come detto, del segretario dei Ds: il problema è che il segretario era Massimo D'Alema e che le sue parole sono di 15 anni fa, congresso Pds, Palaeur di Roma, febbraio 1997. (Libero news)