giovedì 20 febbraio 2014

La sinistra che deve fare la destra. Arturo Diaconale


Renzi come D’Alema, entrambi a Palazzo Chigi per manovre di Palazzo e senza investitura popolare? In apparenza è così. Ma nella sostanza la similitudine è molto più profonda. E riguarda la vera anomalia della politica italiana, quella che spingeva l’Avvocato Giovanni Agnelli a sostenere che nel nostro Paese solo un Governo di sinistra può realizzare politiche di destra.

Massimo D’Alema sostituì Romano Prodi alla guida del Governo grazie ad un’operazione condotta con spregiudicata abilità da Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio e della lealtà atlantica dell’Italia. L’ex Presidente della Repubblica non era animato dall’intento di favorire il perfezionamento della democrazia dell’alternanza determinando la nascita del primo Governo a guida post-comunista della storia dell’Italia repubblicana. Voleva solo, sicuramente su sollecitazione dei massimi vertici della Nato (cioè degli Stati Uniti), creare le migliori condizioni affinché il nostro Paese potesse assicurare l’uso delle proprie basi militari e della propria partecipazione alla guerra che l’Alleanza Atlantica si accingeva a scatenare contro la Serbia di Milosevic.

Il cattolico Prodi avrebbe potuto garantire che l'Italia sarebbe entrata in guerra, per la prima volta dopo la fine del secondo conflitto mondiale, tenendo a freno le tensioni che sarebbero inevitabilmente venute dalla sinistra pacifista e antiatlantica che era forza determinante del suo Governo? Cossiga e i suoi ispiratori giudicarono opportunamente che Prodi non avrebbe potuto offrire alcuna garanzia in questo senso. Pensarono che solo un comunista avrebbe potuto fare guerra ad un Paese comunista tenendo a bada i propri comunisti. E realizzarono la manovra di Palazzo che portò il primo ex comunista a guidare il Governo della prima guerra dell’Italia repubblicana contro il comunista Milosevic. Un capolavoro! Ovviamente di applicazione della tesi di Agnelli secondo cui nel nostro Paese solo Governi di sinistra possono comportarsi come Governi di destra.

Matteo Renzi si accinge a compiere un’operazione del tutto simile a quella realizzata a suo tempo da D’Alema. Non deve portare il Paese ad entrare in guerra tenendo tranquilla la sua base pacifista. Deve realizzare quella serie di riforme che i Governi di centrodestra degli ultimi vent’anni non sono riusciti a compiere a causa dell’opposizione intransigente della propria parte politica. Dalle riforme istituzionali bocciate dal referendum promosso e vinto a suo tempo dal Partito Democratico all’abolizione, almeno per i primi tre anni dei nuovi assunti, di quell’articolo 18 contro cui il centrodestra si batté inutilmente a suo tempo, fino alla riduzione delle tasse e alla ridefinizione dei rapporti economici con l’Europa fino ad ora rimasti degli autentici tabù per la sinistra italiana.

Non c’è da stupirsi, allora, se Renzi trova resistenze nel suo partito e suscita simpatie e attese nel campo avversario. C’è da riflettere, semmai, sul fatto che il precedente di D’Alema non alimenta grandi speranze sulla durata del Governo di Renzi. Una volta che hanno esaurito il compito a cui sono stati chiamati, i Governi di sinistra che fanno politiche di destra vanno a casa. Ma c’è, soprattutto, da riflettere sulla difficoltà del nostro Paese di superare quell’anomalia che gli impedisce di essere normale. Una anomalia rappresentata dal ruolo egemonico della sinistra nella società nazionale, quel ruolo che impedisce il corretto funzionamento della democrazia dell’alternanza e subordina sempre e comunque il futuro del Paese a quella casta che sfrutta questa egemonia per perpetuare all’infinito i propri privilegi.

(l'Opinione)

venerdì 7 febbraio 2014

Frinire fiscale. Davide Giacalone


Le notizie sono due in una: 1. s’è, finalmente, affermata una qualche compensazione fra debiti e crediti con la pubblica amministrazione; 2. la positiva novità è dovuta a un emendamento al decreto “Destinazione Italia”, presentato dai parlamentari del Movimento 5 Stelle. Ciascuna merita un approfondimento e una riflessione.

Esaminiamo, per punti, la sostanza, mettendo fra parentesi quel che sarebbe giusto aggiungere: a. potranno essere congelate tutte le pretese della pubblica amministrazione, siano esse fiscali o di altra natura, se chi riceve la cartella esattoriale vanta un credito contrattuale pubblico, per un importo superiore o pari a quel che dovrebbe pagare (non si capisce perché non dovrebbe poter detrarre un eventuale credito inferiore, così come, nel caso ci sia da compensare, vanno cancellate le sanzioni e gli interessi); b. la validità di questo sistema sarà di un anno (dovrebbe essere perpetuo); c. i soggetti interessati sono tutte le società, ivi comprese le ditte individuali (sarebbe bene estendere a tutti i cittadini, tanto più che l’emendamento parla anche di “crediti per servizi professionali”, che non obbligano alla forma societaria); d. i crediti si riferiscono a tutta la pubblica amministrazione, quindi sono compresi gli enti locali e ogni altra amministrazione, anche autonoma; e. i crediti devono essere “certi”, vale a dire riconosciuti dall’amministrazione, anche mediante apposita certificazione (sarà bene aggiungere che l’amministrazione stessa è tenuta a certificare tutto quello che non intenda rigettare o contestare, magari pure con il silenzio assenso, altrimenti si apre una falla per pubblica inadempienza); f. la norma non è immediatamente operativa, perché il ministero dell’economia ha 90 giorni per emanare un apposito decreto attuativo (meglio chiarire, dunque, che l’anno decorre dal decreto, altrimenti va a finire che la novità vive solo per sei mesi).

Dentro le parentesi c’è il lavoro ancora da fare, ma fuori da quelle ci sono principi e previsioni più che giusti. L’amministrazione fiscale dovrà fare i conti con un gettito inferiore al previsto, ma è bene sottolineare che quello mancante era una rapina ai danni di un sistema produttivo cui s’intima di dare e s’impedisce di avere. Una negazione di diritti che getta una luce losca sui doveri. Il decreto attuativo non complichi le cose, magari paventando che potrebbero esserci abusi e imbrogli. L’amministrazione fiscale ha tanti di quei dati, su cittadini e imprese, che non è ammissibile non sappia subito riconoscere le pretese fondate da quelle fraudolente. E se non ci riesce deve prendersela con i propri dirigenti e dipendenti, non con chi ne subisce le inefficienze.

Tanto sono solari l’ovvietà e la fondatezza di questo emendamento, che i relatori lo hanno fatto proprio. Tale solarità, però, abbaglia per il fatto che si sia dovuta attendere l’iniziativa di un gruppo parlamentare nuovo, a fronte di un problema antico. A nulla sono servite le “sentinelle delle tasse” (come s’è definito il Nuovo centro destra), i cultori del rigore (come si descrivono quelli di Scelta civica), o i predicatori dell’equità (come amano pensarsi quelli del Partito democratico). Tutti seduti al governo, tutti fra i compitatori del decreto, nessuno in grado di cimentarsi con l’ovvio.

Ma le colpe (gravi) non sono solo politiche. Perché questa iniziativa ortottera ha subito avuto ascolto e risalto, anche da parte di un sistema dell’informazione che, invece, è stato omertoso sul caso della Banca d’Italia. Segno che quando non ci si trova in conflitto d’interessi si riesce anche a ragionare e non si sente il bisogno di latrare ai latranti.

L’odierno plauso ai pentastelluti cancella l’orrore per certi loro eloqui esaltati e deprimenti? Niente affatto. Però aiuta a capire che il dialogare civile consente di convenire e dissentire, senza per questo iscriversi alla categorie di adoranti e odianti. E aiuta a vedere che se le parole intollerabili è giusto condannarle, sarà anche bene prendere atto che l’ondata d’indignazione contro il frinire (a cura degli stessi che con quelli volevano fare il governo) è stata alta perché elevato era il bisogno di coprire i propri torti sostanziali con gli altrui torti verbali. Talché è da escludersi possa chiudersi con tonitruanti condanne la partita che ha scardinato la nostra banca centrale. Il tempo curerà di portare a galla i torti, le viltà, le complicità e le quintalate di moralismo senza etica.

Pubblicato da Libero