domenica 2 dicembre 2012

La lezione Sea. Davide Giacalone

L’insuccesso della quotazione Sea non ha avuto nulla d’imprevedibile, in compenso dovrebbe servire da lezione per l’intero sistema Italia. Ove non si voglia farsi ripetutamente e costosamente del male. I giornali lo presentano come il frutto della lite fra azionisti, e segnatamente fra il comune di Milano e il fondo F2I, ma quello è un aspetto secondario, sebbene colorito. I due azionisti possono anche, se li diverte, continuare a suonarsele davanti a qualche giudice, ma noi tutti faremmo assai male a non capire il senso del giudizio espresso dal mercato. Decisivo, perché riguarda non solo quella quotazione, ma l’intero processo di vendita di parte consistente del patrimonio pubblico. Cui, meglio prima che dopo, si dovrà mettere mano.

Per conoscere i dati del problema non era necessario pagare, con generosità, uno stuolo di consulenti, noi li avevamo messi in fila su queste pagine. Erano accessibili allo strepitoso prezzo di un euro e venti centesimi. Un anno fa la società Sea (che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa, controllata dal comune, per il 54,8%, e dalla provincia di Milano, per il 14,56) era stata valutata 1,3 miliardi. Valutazione non teorica, perché sulla base di quel valore era stata venduta una quota a F2I (il 29,75%). Dopo un anno, che gli amministratori hanno descritto come di grandi successi e guadagni, è stata presentata al mercato con una forchetta che andava da 800 milioni a 1 miliardo e 75 milioni. Come anche qui anticipato, il limite più basso è stato considerato troppo alto. Già questo doveva essere più che sufficiente per sconsigliare d’avviare il processo di quotazione.

La colpa del ritiro ora si attribuisce alla condotta di F2I (partecipata da Cassa Depisti e Prestiti e da fondazioni bancarie, quindi con una natura pubblica, ma con la disciplina di un fondo privato). Non c’è dubbio che il fondo ha fatto di tutto per evitare di incassare una svalutazione della propria quota, ma c’è da chiedersi se, in questo modo, ha ostacolato o favorito una seria politica di dismissioni. Perché se si ammette che quel che il pubblico vende possa svalutarsi anche della metà del valore, in un tempo così breve, chi mai comprerà? Se l’indicatore Sea fosse stato assunto a termometro generale, allora il mercato si sarebbe preparato a chiedere di pagare subito la metà di tutto quello che lo Stato italiano vorrà vendere. Non è neanche una zappata sui piedi, sarebbe stato come darsela direttamente in fronte.
I
l Comune di Milano, oggi, sembra lamentarsi del fatto che gli è stato impedito di prendere il patrimonio dei milanesi, svalutarlo e, non contento, di piazzarlo in Borsa a danno dei risparmiatori. Che è come dire che un risparmiatore milanese sarebbe stato fregato più volte. Vale per l’intero patrimonio pubblico: procedere in questo modo è suicida.

Come si è potuti cadere in un simile abbaglio? Semplice: pretendendo di andare in Borsa non a vendere un progetto di sviluppo, ma per fare cassa, per dare soldi alla provincia, con la pretesa, comunque, che a comandare sarebbe rimasto il comune, quindi la giunta, quindi la maggioranza politica, quindi la politica. Stavano quotando la politica. Ecco l’errore. E siccome dovremo fare vendite e quotazioni, meglio prendere nota dell’errore e non ripeterlo.

Le municipalizzate sono dei mostriciattoli. Le municipalizzate quotate sono dei mostri. Per venderle, com’è saggio fare, o ne quoti la contendibilità, quindi non tieni la mano pubblica in maggioranza e al comando, oppure fai entrare soggetti finanziari in grado di valorizzare e vendere. Era il caso di F2I, che non andava sfidato a svalutare la propria quota, ma, semmai, a prendere il resto alla medesima valorizzazione. Non lo hanno fatto solo perché volevano continuare a comandare, ma con i soldi degli altri. Non poteva che finire male.

La politica di dismissioni deve accompagnarsi a quella di valorizzazione e liberalizzazione, altrimenti è una truffa: vuoi per il cittadino, vuoi per il risparmiatore, vuoi per entrambe. Nel caso degli aeroporti, inoltre, vendere va di pari passo con il preparare un serio piano nazionale degli scali, altrimenti si prendono musate come questa e come quella incassata dal comune di Torino, che volendo vendere partecipazioni Sagat (società che gestisce Caselle) non trova compratori. Il mercato, quello vero, ambisce a far profitti, non a diventare socio del sindaco.

Serve una politica nazionale delle dismissioni, servono scelte che rendano libero e prezioso quel che si vende e serve che i vari pezzi della troppo vasta e onnipresente mano pubblica non giochino a fregarsi a vicenda. Senza ciò si può solo svendere e impoverirsi, subordinando l’interesse collettivo a piccole convenienze. La lezione è chiarissima. Speriamo gli scolari non siano troppo testoni.

Nessun commento: