venerdì 12 settembre 2014

Ci sarebbe l'Emilia rossa da rottamare... Fabrizio Rondolino


L'Intraprendente - Il problema di Matteo Renzi in Emilia Romagna non è la magistratura, ma il Pci. E il modo in cui si concluderà la partita delle primarie aiuterà a misurare il tasso di rinnovamento e quello di continuità in una regione d’Italia amministrata ininterrottamente da settant’anni dal Partito comunista e dai suoi eredi diretti. È caduta Livorno, è caduta Perugia, e quando Berlusconi ancora faceva politica cadde persino Bologna: ora è bene che cada l’Emilia rossa.

In un Paese normale, il compito di garantire il ricambio della classe dirigente spetterebbe all’opposizione. E il centrodestra, sulla carta, avrebbe molti buoni motivi per provare a fare dell’Emilia la base di partenza della propria ricostituzione: basterebbe che capi e capetti facessero un passo indietro, e che si scegliesse (con le primarie) un candidato capace di rappresentare la voglia di discontinuità e di aria fresca che attraversa tanta parte della società emiliana. Ma siccome (e purtroppo per la democrazia italiana) non sarà così, il compito del ricambio spetta anche in questo caso a Matteo Renzi. Il partito emiliano sta da sempre con il segretario: e quando il vecchio segretario non c’è più, ordinatamente si allinea dietro a quello nuovo. È sufficiente ricordare i risultati delle primarie: nel 2012 Bersani ottiene il 60,8% e Renzi si ferma al 39,2%; l’anno successivo Renzi incassa il 71,03%. È per questo motivo che praticamente tutti i candidati – ancora in gara e già ritirati, probabili e improbabili – sono convintamente “renziani”. Salvo eccezioni marginali, in Emilia tutti i gruppi dirigenti e gli apparati, i gruppi consiliari, gli amministratori locali, i cooperatori e i sindacalisti sono diventati renziani – dopo esser stati bersaniani, veltroniani, fassiniani, dalemiani, occhettiani, nattiani, berlingueriani, longhiani e togliattiani. È il Pci che dalla fine della guerra, e senza altri cambiamenti che non siano l’insegna della Ditta, amministra, governa e controlla l’Emilia Romagna. Non è qui in discussione il “modello emiliano”, che nel panorama nazionale può ben dirsi orgoglioso dei risultati raggiunti: ricchezza e benessere, un welfare efficiente, pochi conflitti e corruzione al minimo. È in discussione, invece, il principio della permanenza incontrastata e incondizionata al potere di una stessa classe dirigente. E poiché la rottamazione è precisamente il rovesciamento di questo principio, ci si aspetta da Renzi che a guidare l’Emilia Romagna vada non l’ennesimo post-comunista, ma una donna o un uomo espressione di una cultura politica diversa, nuova, lontana e alternativa.

Esistono anche in Emilia molti trentenni che hanno incontrato la politica per la prima volta nel Pd, che non vengono da una famiglia comunista, che apprezzano il modello emiliano ma non ne sopportano più le incrostazioni, i limiti culturali, la chiusura continuista. Ed esistono emiliani adulti che non sono mai stati nel Pci, che anzi lo hanno politicamente avversato, e che oggi provano delusione nel vedere alla guida del Pd gli stessi di prima. Cambiare fa bene a tutti, e farà bene a Renzi non fermare la rottamazione ai confini emiliani.

(LSBlog)

 

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