martedì 18 novembre 2008

I pidocchi nella criniera del cavallo. Peppino Caldarola

La minaccia è chiara. Se Villari, inteso come Riccardo, non si dimet­te, sarà cacciato dal Pd. Villari, per ora, non si dimette. L’abominevole termine «espulsione» torna a svolazzare sopra le teste dei dirigenti del Pd. Due settimane fa sembrava toccasse alla Binetti. Oggi a Villari. Doma­ni chissà. Il partito «più moderno» della sinistra torna ai riti sacrificali e ca­tacombali dell'antico movimento operaio. È un bel tuffo indietro. Di molti decenni.
L’ultimo Pci, bistrattato e dimenticato, non espelleva più nessuno. Neppure cadeva nella tentazione delle formazioni correntizie di espellersi l'una con l'altra. Nell'ultimo Pci, e nei partiti succedanei, potevi entrare e uscire. Chi parlava di espulsioni veniva additato come un'anticaglia, un pazzo furioso che non capiva i nuovi tempi. In effetti il Pci antico di espulsioni ne aveva fatte tante. L'ultima, clamorosa, quella che ha segnato anche l'attuale ge­nerazione al comando del Pd, colpì i redattori del "manifesto". Da Pintor, a Rossanda, a Natoli, a Lucio Magri, a Valentino Parlato. Quel Pci ebbe il pudore di graduare la pena e promulgò dapprima la radiazione, poi li cac­ciò. Inattività frazionista era il casus belli. Un partito diviso in ingraiani e amendoliani aveva fatto un'icona del simulacro dell'unità e quegli intellettuali antisovietici (ma filocinesi) non potevano essere sopportati. Un sofferente Natta decretò la cacciata. Giuseppe Chiarante, Lucio Lombardo Radice e il gio­vane Fabio Mussi furono gli unici ad opporsi. Nessuno dei coetanei di Mussi seguì l'e­sempio del giovane livornese. Né fra i tanti "destri" del Pci, oggi liberal, si levarono voci contrarie.
Anche quella fu una prima volta dopo tan­to tempo. Dopo, per capirci, Bordiga, caccia­to in quanto bordighiano, Tresso Leonetti e Tasca in quanto trockisti. Era toccata l'infamia anche a Ignazio Silone, che fu, dopo la morte, riabilitato come precursore. Ci fu l'episodio, che pas­sò alla storia con la nota definizione di Togliatti sui «pidocchi nella criniera del cavallo», che vide fuori gioco Aldo Cucchi e Valdo Magnani, quest'ultimo poi rientrato e di­ventato leader delle cooperative. Cucchi e Magnani segnarono un'epoca, il loro movimento, di tipo socialdemocratico, venne nominato «magnacucchi» e vi militarono personaggi come Lucio Libertini e Rino Formica. Venne buttato fuori dal partito di Napoli Eugenio Reale, ex ambasciato­re a Varsavia, per «deviazionismo borghese». L'espulsione su cui calò un lungo silenzio fu quella di Pier Paolo Pasolini, cacciato prima degli anni 50 dalla federazione comunista di Pordenone, per omosessualità. Il dissenso, anche nei comportamenti personali, veniva sanzionato sempre con l'al­lontanamento. Spesso l'allontanamento veniva sanzionato ex post dall'e­spulsione. Un militante che lasciava la tessera non andava via, punto e basta. Regolarmente, dopo l'uscita, veniva espulso. Il partito era così oc­chiuto che controllava la vita privata dei dirigenti. Un importante segretario di federazione pugliese del Pci venne trasferito perché aveva un'amante. Ma si cacciava anche l'erba cattiva. È il caso di Luigi Cavallo, giornalista assoldato dalla Cia che venne buttato fuori a Torino dove rimase e fondò un sindacato giallo. Due membri del gruppo dirigente del Pci, nei primi an­ni settanta, furono allontanati dopo una rapida seduta segreta del Comita­to centrale perché infiltrati dalla Cia. Si chiamavano Stendardi e Ottaviano. Persino Mani Pulite fece la sua vittima, quel Guido Caporali che, coinvolto nello scandalo delle "lenzuola d'oro", fu allontanato in fretta e furia. Espulsioni clamorose e espulsioni silenziose. Un rito sommario, il decreto e l'allontanamento dalla vita della famiglia comunista. Dopo l'espulsione, l'infamia. L'espulso era bandito, i compagni non lo salutavano più, i suoi amici erano emarginati, la colpa si estendeva alla famiglia e alla discen­denza. «Il partito si rafforza epurandosi» aveva proclamato quel grande leader con i baffi (baffoni, che avete capito?) e la minaccia pendeva sul capo di tutti ogni volta che qualcuno pronunciava la frase bandita: «non sono d'accordo». Poi venne il bel tempo. Il partito si vergognò di questa carneficina di dissidenti e circolò sangue nuovo. Il comunismo italiano, in­vecchiato e ingrigito, divenne liberale e tollerante. Il dopo Pci fu una sta­gione di libertà del dissenso assoluta. Ora col Pd si torna indietro. È come a Caporetto. Se il soldato o l'ufficiale fuggiva o criticava o andava per un'altra strada veniva fucilato. Fu la crudele linea di difesa di un generale incapace, Cadorna. Anche lui nel Pantheon dei fondatori del Pd? (il Riformista)

1 commento:

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ciau