martedì 16 giugno 2009

Il nero Fiat, una storia italiana. Paolo Pillitteri


Tanti, tanti anni fa, c’era il giornalismo d’inchiesta che non guardava in faccia a nessuno, sia ai politici che ai potenti. Poi quel giornalismo si ritirò da uno dei due “settori” dedicandosi esclusivamente alle inchieste contro i politici. Pigiando così forte il piede sull’acceleratore, da annientare un’intera classe politica. Correvano gli anni ’92-’93-’94 e ’95, l’epoca del circo mediatico giudiziario, di manipulite, allora, come ora, incarnata dall’eroe delle manette Di Pietro. Che cosa era accaduto ai mass media per insistere soltanto sulla martellante criminalizzazione della “orrenda” partitocrazia, salvando la grande industria e i grandi complessi editoriali? Semplice: si erano accordati col Pool e con il Pd (ex Pci) per annientare una solo parte responsabile della cosiddetta “dazione ambientale”, pur di miracolare la sinistra e rendere sempre più forti quei poteri dei quali i grandi organi di stampa erano (e sono) gli house organ da supporto acritico alle toghe. Come ricordò anni dopo Polito, che allora stava a Repubblica, si formò un pool parallelo di testate, dall’Unità a Repubblica al Corriere che, sotto la guida di Mieli, condusse le danze macabre contro i leader di partito, di tutti, all’infuori di quelli postcomunisti. Prima, però, che l’omologazione mediatica dannasse per sempre il Pentapartito (uscito vittorioso alle elezioni del’92) qualche settimanale, come “Panorama” ruppe il “pactum sceleris” e dedicò addirittura un numero (quasi) speciale alla banca istituita dalla Fiat in Svizzera, la Buc, per gestire i miliardi di nero, da passare sottobanco ai politici (e non solo). Erano giorni nei quali Romiti si presentava prono ai giudici del Pool con una sorta di fascicolo-rendiconto delle concussioni subite. Ma senza alcun cenno a quella banca e al nero-Fiat. Ve l’immaginate Cesarone col coltello di un Arnaldo Forlani, sotto la gola, che gli fa “O la tangente o la vita?”. Così pure mentiva quella faccia di bronzo di Carlo De Benedetti, “trattenuto” a Regina Coeli per la bellezza di 12 ore, mentre i vertici del Pd ex Pci negavano tutto, smentivano Greganti, brandivano minacciosi la clava della questione morale al grido “Noi, solo noi, abbiamo le mani pulite”. E la Fiat, la grande famiglia del patriarca, l’avvocato Agnelli? L’avvocato, dal polsino con sopra l’orologio, era sempre in testa alle processioni pro Di Pietro, esibendo la candida chioma manco fosse il Santissimo, salmodiando e invitando i giudici a ripulire le stalle di Augia, non di Torino o di Mediobanca, o di Gemina, o della Buc, tanto per dire.

Perchè loro, poveri e indifesi Agnelli, erano stati concussi, minacciati, ricattati. I suoi giornali facevano da grancassa alle tricoteuses che chiedevano la forca mentre lui, Romiti, CDB, Mieli, L’Unità, Scalfari ecc, reggevano la cesta mentre quelle teste venivano mozzate. E pure esibite: come monito. Che fine ha fatto il nero Fiat, quindici anni dopo? Come nel delitto (quasi) perfetto, quando il cadavere risale dal fondo del lago limaccioso, così la storia del nero Fiat sta riemergendo in una causa ereditaria promossa da Margherita,figlia di Giovanni Agnelli che lamenta la sparizione di qualche bruscolino: 1,4 miliardi in nero, messi da parte, magari sotto il materasso, dal Padre. E tutto il gotha della Fiat è ora sotto scacco della Margherita. Una storia davvero italiana, tenuta sempre sotto tono, sullo sfondo, in modi soft, così ,tanto per non offendere la Sacra Famiglia Torinese, ormai avviata al ruolo di famiglia Adams. Soltanto il libero, informato e coraggioso Dagospia ne scrive, da par suo. Regalandoci anche la ciliegina sulla torta. Anche Cesare Romiti, presidente onorario di RcS, si preoccupava del nero Fiat, eccome. Pagava tangenti, come tutti, del resto. Ma pure lui s’era spacciato per concusso. L’eroico PM che già studiava da Caudillo, gli credette. E a proposito del nero Fiat? Nessun nero messo da parte per i partiti, sentina di ogni vizio, giurò in tribunale quel simpaticone di Romiti. Erano provviste speciali, fuori bilancio per la lotta al terrorismo. Geniale, vero. Peccato che l’altro ieri, un manager già al suo servizio, l’abbia clamorosamente smentito .Ma quale terrorismo, ha dichiarato il manager, i fondi erano neri, che più neri non si può. E gli avvocati di Cesare: no problem, è scattata la prescrizione. (l'Opinione)

1 commento:

Anonimo ha detto...

L’avvocato, dal polsino con sopra l’orologio, era sempre in testa alle processioni pro Di Pietro,


e come non ricordare Berlusconi che tifava per Di pIetro?

Pillittè quanto hai magnato alla faccia de noartri

ridacci il malloppo!!!