giovedì 16 luglio 2009

Quelle domande ai giudici usa. Angelo Panebianco

Come è nella tradizione della democrazia americana, l'audizione di fronte alla Commissione giustizia del Senato di Sonia Sotomayor, designata come giudice della Corte Suprema dal Presidente Obama, è stata, per lei, una prova assai dura. Ha dovuto difendere il proprio passato come giudice della Corte d'Appello federale di fronte alle domande incalzanti dei senatori. La Sotomayor è di origine ispanica. La sua affermazione secondo cui una «saggia donna ispanica» sarebbe un giudice migliore di un «uomo bianco», l'ha esposta alla accusa di alcuni senatori repubblicani di praticare una sorta di razzismo alla rovescia. La Sotomayor ha dovuto spiegare che quel discorso era solo volto a interessare alla carriera giuridica un pubblico latino giovane che, per lo più, se ne tiene lontano. Ha dovuto poi replicare all’obiezione di essere una «attivista liberal », più interessata a modificare la legge che ad applicarla. E ha dovuto render conto delle posizioni assunte in cause riguardanti dispute razziali. La Sotomayor non è il primo giudice designato alla Corte Suprema che viene messo in graticola dai senatori e non sarà l'ultimo. L'audizione è un interrogatorio ove abbondano le domande scomode, che serve al Senato per confermare o rifiutare la designazione presidenziale del candidato (e all'opinione pubblica per valutare le qualità del giudice designato e l'operato del Senato) ed è un'istituzione cruciale della democrazia americana. Dà trasparenza al processo decisionale mediante il quale un’assemblea rappresentativa avalla o respinge la nomina di un giudice della Corte. Per la sensibilità europeo- continentale ciò può apparire strano ma questo modo di procedere non toglie affatto prestigio alla Corte Suprema. Al contrario, lo rafforza. Le istituzioni americane sono diversissime dalle nostre. Figlie di un'altra storia e di un'altra cultura politica. Però in quelle istituzioni c'è un insegnamento che vale anche per noi. La nostra (europea, e italiana in particolare) è una tradizione di chiusure corporative e di mancanza di trasparenza. Basti pensare al fatto che in Italia le critiche al modus operandi della magistratura vengono spesso trattate dai suoi rappresentanti come delitti di lesa maestà, subdoli tentativi di «delegittimazione ». Oppure, si pensi a come vengono designati i giudici della Corte Costituzionale. Siamo sicuri che il prestigio della Corte verrebbe indebolito se i candidati designati dovessero affrontare pubblicamente una batteria di domande, sul modello americano, da parte del Senato? L'America è una democrazia che combina la gelosa difesa dell'indipendenza dei giudici (a tutti i livelli) con il rifiuto dell'esistenza di caste burocratiche chiuse, impermeabili al controllo democratico. Nella tradizione europeo-continentale, invece, le magistrature sono tecno- burocrazie separate dal processo democratico. In considerazione dell'accresciuto peso che queste tecno- burocrazie svolgono nella nostra vita associata, avvicinare un poco, su questi aspetti, le due sponde dell’Atlantico, non sarebbe forse sbagliato. (Corriere della Sera)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è nessunoooooo???

Anonimo ha detto...

good start