martedì 4 agosto 2009

Dura lex, sed lex. Carlo Federico Grosso

La liberazione di Valerio Fioravanti suscita, inevitabilmente, sconcerto. Condannato più volte all’ergastolo perché giudicato esecutore materiale della strage alla stazione di Bologna e per avere commesso altri numerosi omicidi politici, nonostante la pesante gravità dei reati dei quali è stato riconosciuto colpevole è stato giudicato meritevole del beneficio della liberazione condizionale.

Eppure non ci si può stupire più di tanto. Il nostro codice penale prevede, infatti, che anche il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena (che in realtà sono ancora meno, grazie all’abbuono di tre mesi per ogni anno di detenzione, stabilito per ogni condannato che abbia tenuto una buona condotta carceraria).

La liberazione condizionale non è, ovviamente, prevista senza condizioni: essa può essere concessa soltanto se il condannato ha tenuto un comportamento tale da fare ritenere sicuro il suo ravvedimento e soltanto se ha risarcito le vittime del reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili. Evidentemente Fioravanti è stato giudicato dal Tribunale di sorveglianza ravveduto e, poiché non mi risulta che abbia risarcito, deve avere dimostrato l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili maturate.

Prendiamo atto. D'altronde la legislazione penale italiana prevede, all’art. 27 comma 3 della Costituzione, che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato; pertanto, se non fosse previsto che anche l’ergastolano ravveduto ha titolo per essere riammesso nel consorzio degli uomini liberi, la pena dell’ergastolo sarebbe, inevitabilmente, costituzionalmente illegittima.

Ciò detto, credo che sia comunque importante, nel caso di specie, procedere ad alcune precisazioni ulteriori. Innanzitutto occorre sottolineare che la concessione della liberazione condizionale non ha nessun riflesso sulle condanne a suo tempo inflitte. Esse sono state pronunciate, sono diventate esecutive, in quanto tali hanno scolpito la «verità giudiziale». Per la giustizia italiana, ad oggi, Valerio Fioravanti, nonostante si sia dichiarato innocente, è pertanto, sempre, l’esecutore materiale, insieme a Francesca Mambro e a Luigi Ciavardini, della strage del 2 agosto 1980. E’ stato liberato, ma soltanto perché il suo comportamento carcerario, e le valutazioni sulla sua attuale personalità, hanno convinto un Tribunale che egli fosse soggetto ormai ravveduto, non perché la sua condotta sia stata valutata diversamente da allora.

In secondo luogo, occorre prendere atto che, con il trascorrere degli anni, sono emerse perplessità sulla colpevolezza dei tre (allora giovanissimi) neofascisti condannati come esecutori materiali della strage, e che tali perplessità, alimentate inizialmente soltanto dalla estrema destra (per ragioni evidenti di immagine e di interesse politico), si sono con il tempo rafforzate, fino a coinvolgere ambienti della stessa sinistra. Ciò non può tuttavia scalfire, occorre dirlo con forza, il peso e l’importanza di un processo condotto in un contesto molto difficile, intossicato da ripetuti tentativi di depistaggio, che è riuscito, comunque, a fare emergere qualche brandello di verità: i forti elementi indiziari a carico di alcuni imputati dell’esecuzione della strage, che legittimano a pieno titolo (allo stato) la loro condanna penale, e la prova dell’attività criminale dei servizi nella costruzione delle false piste sulle quali si è cercato di dirottare l’indagine penale.

Il processo di Bologna non è riuscito, è vero, ad individuare, a fianco degli esecutori materiali, i mandanti e gli organizzatori della strage. Il processo era partito con un numero elevato di imputati, nel capo di imputazione aveva individuato mandanti, istigatori e responsabili morali. Nei loro confronti non è stato tuttavia in grado di raccogliere prove o indizi sufficienti per una loro condanna. Capisco, peraltro, che i familiari delle vittime, e la città, nel Paese delle stragi impunite, pur chiedendo che tutti i veli vengano sollevati e che siano finalmente individuati mandanti ed organizzatori, difendano comunque le condanne ottenute, e ne rivendichino la legittimità contro chi vorrebbe cancellarle e, soprattutto, cancellare l’aggettivo «fascista» dalla lapide che, nella stazione, ricorda gli 85 morti del 1980. (la Stampa)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny