venerdì 4 dicembre 2009

Come difendersi da uno Spatuzza che dà di mafioso a Berlusconi. il Foglio

E’ vero, alla Flaiano, che proviamo uno sfrenato bisogno di ingiustizia, ma come si fa a difendersi da uno Spatuzza, che oggi accusa di mafia in Tribunale Berlusconi e Dell’Utri? Mica facile. Spatuzza non è ancora un pentito in senso formale, il che tenderebbe, secondo gli usi borbonici del momento, ad avvalorarne l’attendibilità anche a prescindere da riscontri oggettivi, ma è pur sempre un dichiarante molto speciale al quale si attribuisce il merito di aver rovesciato la vulgata giudiziaria malaccorta in base alla quale per 17 anni è stata costruita una menzogna processuale sull’assassinio del giudice Borsellino. Insomma, gli stessi togati di procura che hanno creduto per quasi un ventennio al pentito Scarantino adesso garantiscono per la parola di Spatuzza, che dice il contrario e smentisce il collega. E noi, per la proprietà transitiva dell’attendibilità, siamo tenuti a fidarci di tutti: di Scarantino, di Spatuzza e dei magistrati che credono alle loro verità in conflitto, disinvoltamente e alternativamente.

Ora Spatuzza ripeterà in aula quanto ha già confidato ai pm in sede di indagine, ripeterà di aver sentito dire nei primi anni Novanta da uno dei fratelli Graviano, boss mafiosi, che l’Italia era caduta nelle loro mani perché avevano stretto un patto con Berlusconi, quello di Canale5 buttatosi in politica, e con il paesano Marcello Dell’Utri, palermitano e vecchio amico del Cav. nonché suo collaboratore dai tempi dell’Università. Spatuzza aggiungerà che la mafia ha stretto tanti patti con il potere, con i dc compreso Orlando e i socialisti compreso Martelli e perfino con il garantismo radicale, portando voti e offrendo sostegno in diverse epoche, ma era sempre stata mal ripagata, ora sì che i Graviano eccitati si aspettavano una bonanza da “quello di Canale5”.

La calunnia è particolarmente grave, nonostante il grottesco che la connota, per alcuni motivi. La mafia dei primi anni Novanta era stragista, l’alone offensivo è dunque molto fosco. Come per il passato, risulta non si sa perché evanescente l’argomento a difesa desunto dai fatti, e cioè che questi poteri, e in specie i governi Berlusconi, hanno fatto esattamente niente, zero, meno di zero per favorire la mafia, e l’hanno anzi combattuta seriamente, in perfetta continuità con il meglio delle strategie falconiane e borselliniane, fino alle crociate vittoriose di Maroni. Infine il motivo più serio, che rende praticamente indifendibile la posizione di chi venga calunniato con illazioni tanto generiche e forsennate: il “concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso”, l’associazione giurisprudenziale del “concorso esterno” e del 416 bis, un cocktail micidiale di codicilli penali capace di uccidere chiunque si voglia, quando lo si voglia, alla sola condizione di trovare o lasciare che emerga dall’alto mare della delazione e dell’omertà, per qualsiasi ragione, un chiacchierone malintenzionato che sia, beninteso, politicamente equivocabile.

Difendersi in un processo per concorso esterno, non se ne parla. E’ persa in partenza, perché non servono prove all’accusa, bastano chiacchiere. Difendersi da un processo per concorso esterno, ci si espone all’accusa di volersi sottrare alla “giustiziabilità”. L’unica è difendersi da quella fattispecie di reato surreale e balorda, che aggrava il già osceno facilismo con cui si pratica in Italia, tra i pochi paesi al mondo così radicalmente borbonizzati, il reato associativo. Quando si convinceranno Berlusconi e Dell’Utri che una campagna di idee, di cultura, di iniziativa politica e legislativa sul “concorso esterno”, una campagna da portare in Europa e nel mondo perché si sappia di che reati si discute nella situazione penale italiana, perché si conosca questa arma sicaria nelle mani di chiunque per accusare chiunque, è urgente, liberale, necessaria non solo a loro ma ai diritti civili degli italiani?

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