venerdì 2 luglio 2010

Coriandoli costituzionali. Davide Giacalone

Il Presidente della Repubblica non si è riservato di esprimere un giudizio sulla legge relativa alle intercettazioni telefoniche, attualmente al vaglio del Parlamento, lo ha già fatto e ha già annunciato la bocciatura. Giorgio Napolitano non si è limitato a manifestare le proprie opinioni, cosa che la Costituzione, per volere essere precisi, esclude, ma si è spinto a intervenire sui calendari parlamentari, disponendo affinché delle intercettazioni non si parli finché si discute della manovra economica, e non si è fermato alla manifestazione di una preferenza, ha anche reso pubblica la propria irritazione perché il Parlamento, che un tempo si sarebbe definito “sovrano” ha voluto organizzarsi diversamente. E neanche questo gli è bastato, perché ha usato parole assai precise per indicare che di queste cose, quindi sia della diversa opinione sulle intercettazioni sia dei calendari parlamentari, ha discusso con esponenti della maggioranza, in questo modo potendo voler dire due cose: a. ho concordato un’azione con gli uomini della maggioranza che si opporranno a tutto questo; b. ho avvertito chi di dovere che se la maggioranza avesse preteso d’essere tale si sarebbe aperto un conflitto.

Quel clima di collaborazione istituzionale, di cui taluno favoleggiò, non c’è più. E cambiata stagione, e l’aria sé fatta appestata e appiccicosa.

A fronte di tutto ciò appare un dettaglio di scarso rilievo il fatto che le parole presidenziali non sono contenute in un messaggio formale, ma arrivano da Malta, laddove, come lo stesso Napolitano ha ricordato, è prassi consolidata che il Capo dello Stato non vada all’estero per tirare di simili randellate sulle questioni interne. Più interessante, invece, l’invenzione di una nuova categoria, cui il legislatore dovrebbe inchinarsi, portata da Napolitano al rango di custode dell’ortodossia: gli studiosi. Già, perché il Presidente è riuscito ad argomentare che la legge sulle intercettazioni va malissimo anche perché lo confermano gli studiosi. E chi sono? Chi assegna loro la pecetta di saggio e colto? Chi chiede loro di parlare? Noi, per esempio, siamo certamente incolti e tendenzialmente zotici, ma abbiamo ripetutamente scritto che quella legge non servirà a nulla, non sarà un bavaglio, ma neanche un rimedio, che complicando le cose le peggiora e, quindi, è una pessima idea. Ma ero convinto, pensate l’ingenuità, che noi si fosse una democrazia, dove legifera la maggioranza e si lascia ai pensatori (nel nostro caso meglio s’attaglia la definizione di “cani sciolti”) la possibilità di criticare. Invece no: i pretesi cultori del dettato costituzionale lo riducono in coriandoli, fra le trombette cattedratiche.

Le parole di Napolitano, come forse s’è già intuito, non mi convincono, le ritengo, al di là del merito, un colpo alle regole e una pericolosa manomissione degli equilibri costituzionali. Ma a preoccupare ancor di più è il clima complessivo in cui vive il Paese. Perché può anche darsi che tutto sia un succedersi sgangherato di parole in libertà, senza più un nesso, senza un contesto condiviso di regole, ma può anche darsi che non sia casuale il fatto che un Presidente Emerito sostenga che si fu vicini al colpo di stato, ricordandosi a scoppio ritardato di affibbiare a dei protagonisti della politica la colpa di avere favorito la mafia, e può non essere casuale che dopo quelle affermazioni vadano a ruota il procuratore nazionale antimafia e altri professionisti della materia. E, sempre ammesso che le cose abbiano un senso, qualcuno provi a spiegare perché Beppe Pisanu sente il bisogno di parlare dopo la sentenza Dell’Utri, con l’inarrestabile impulso di darsi dell’incapace e, forse anche del complice per i fatti propri. Che sta succedendo? Cosa bolle in pentola? Se queste cose non sono il frutto del caldo e dell’età, quali notizie circolano, circa ciò che si prepara?

Il governo, dal canto suo, non ci guadagna nulla a reagire accelerando la discussione di una legge (sempre quella sulle intercettazioni) che gli si ritorcerà contro. Non è una dimostrazione di forza, ma qualche cosa che somiglia alla forza della disperazione.

Francamente non credo che siano moltissimi gli italiani che la sera, prima di prender sonno, pensano a queste cose, ma ho l’impressione che ci sia in giro chi punta sull’insonnia di molti, provocata dalle preoccupazioni e dalla sfiducia nel futuro, per soffiare sul fuoco della rabbia e della reazione, magari gettando nella combustione anche materiale altamente inquinante, come le faccende di mafia. Stiano attenti, gli apprendisti stregoni, perché non è detto che il servizio antincendio funzioni, e non è detto che a seguire i suggerimenti che arrivano dall’estero si possa poi sostenere, neanche con se stessi, di avere servito gli interessi nazionali.

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