lunedì 24 ottobre 2011

Sarkozy e la sinistra italiana ridono. Ma non per molto. Gennaro Malgieri

Gioiscono davanti al sorriso sarcastico di Sarkozy, con compiacimento ricambiato dalla collega tedesca Merkel, le opposizioni di sinistra (Casini si è distinto nel non associarsi alla vigliaccata e gliene diamo atto). Traggono alimento dalla indignazione partitocratica del presidente francese contro Berlusconi e contro l’Italia per aver perso un posto nel board della Bce ed intende farcela pagare. Si dicono ancor più convinti che questo governo deve andare a casa immediatamente. E già sperano in cuor loro di baciare le mani all’inquilino dell’Eliseo ed alla Cancelliera venuta dall’Est per il servizio resogli. Se la maggioranza di centrodestra non gode buona salute, la minoranza che dovrebbe prendere il suo posto è in stato addirittura comatoso. Aggrapparsi alle disgrazie interne per gioire delle nefandezze europeiste (si fa per dire) di due sconfitti di successo quali sono Sarkozy e la Merkel, prossimi al pensionamento politico come concordemente tutti i sondaggi di opinione prevedono, asseverati dalle verticali e rumorose cadute elettorali che hanno registrato negli ultimi due anni, è veramente il segno della più indifendibile debolezza delle sinistre italiane il cui patriottismo si riduce ad una spilletta da esibire in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Garruli come fringuelli a primavera i Bersani e i Letta, i Di Pietro e i Donadi, unitamente ai loro sodali, hanno rovesciato nel pomeriggio di domenica scorsa fiumi di contumelie contro il governo irriso dal direttorio franco-tedesco, rappresentativo, secondo i poteri fortissimi che imperversano lungo la Penisola, dell’Europa che, alla prova dei fatti, non solo non conta niente, ma neppure esiste se venticinque Stati permettono soltanto a due di elargire patenti di affidabilità ed inducono organismi burocratici che ragionano in base a parametri fantasiosi delle difficoltà reali dei popoli dell’Unione, a declassare chi, per motivi diversi, si trova in difficoltà.

Certo, non si pretende che le opposizioni assolvano il governo che di responsabilità ne porta. Ma è disgustoso questo sentimento antinazionale a fini puramente interni, di lotta politica insomma, insufflato dal marito di una Carlà capace di perdere un notevole patrimonio di consensi in soli tre anni perché dedito arrogantemente alla cura del suo potere personale piuttosto che dedicarsi alla cura degli interessi della collettività. Al punto che il suo predecessore Jacques Chirac ha già fatto sapere che alle presidenziali di maggio voterà per l’antagonista socialista François Hollande. Non gli resta che il palcoscenico dell’Unione europea e la platea dei giornalisti che detestano Berlusconi, il centrodestra, l’Italia forse, per farsi una risata. La prossima primavera le sue labbra, con ogni probabilità, resteranno chiuse in un imbarazzante mutismo e sul suo volto calerà un velo di tristezza constatando, per di più, che lascia al suo successore una Francia economicamente non proprio florida come vorrebbe far credere in questi mesi di campagna elettorale.

Torniamo alla miseria dell’opposizione italiana. Soltanto per dire che se domani, disgraziatamente, dovesse varcare il portone di Palazzo Chigi un Bersani o un Vendola o un Di Pietro cos’altro potrebbe fare se non dare seguito alle puntuali indicazioni della Bce, alle intemerate di Van Rompuy, alle pretese di Sarkozy e della Merkel? Senza un briciolo di dignità. E senza neppure prendere in considerazione i sindacati che non vogliono assolutamente che si tocchino le pensioni e la Confindustria che alla patrimoniale neppure ci pensa. Un governo zerbino degli euro-burocrati piuttosto che decisionista. Ma che certamente si guadagnerebbe bei titoli sui giornali che contano e considerazione in Eurolandia dove più che governanti i padroni del vapore gradiscono interloquire con lacchè.

Tuttavia, quel che è accaduto a Bruxelles non ci esime dal ricordare che il governo, pur ereditando disastri strutturali, nell’ultimo anno, complice la testardaggine del ministro dell’Economia, poco o niente ha fatto per evitare l’impasse attuale. C’è pure da ricordare che la Lega gli ha dato una bella mano a Berlusconi nel farsi corbellare in Europa. E questo è un altro problema ancora.

Come se ne esce? Posto che le elezioni non sono la soluzione e guai se il premier e Bossi ne fossero tentati, bisognerebbe mettere subito mani alla riforma delle pensioni, ma non sotto dettatura dell’Unione europea, dismettere l’ingente patrimonio dello Stato, procedere con le privatizzazioni, investire nella ricerca. Poi accada quel che deve accadere. Non escluso la fine di questa ridicola Europa e di questa sciagura che è l’euro. (l'Occidentale)

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