lunedì 16 gennaio 2012

Se il governo dei prof si fa illudere dalle idee di sinistra. Claudio Romiti

Molti liberali di questo disgraziato Paese devono essere letteralmente rimasti scioccati dalle continue perorazioni dell'attuale premier in favore di un sistema fiscale che oramai estorce ben oltre metà della ricchezza nazionale. Personalmente, pur avendo in passato nutrito una certa diffidenza per alcune posizioni, a mio avviso, eccessivamente astratte del professor Monti, non credevo che costui in termini di tasse avrebbe fatto proprie, una volta entrato nella stanza dei bottoni tutte quelle pericolose illusioni ottiche della sinistra più retriva.
In particolare, il capo del governo ha rispolverato l'esortazione dalemiana a pagare tutti per pagare meno, il falso sillogismo secondo il quale più si versa nelle casse dell'erario e più migliorano i servizi offerti dalla mano pubblica e l'idea sballata, forse l'aberrazione più grave per un liberale, secondo la quale se si colpisce a tappeto l'evasione, nell'ambito di un sistema connotato da una fiscalità elevatissima, il gettito aumenta in modo proporzionale al maggior imponibile fatto emergere.
In realtà, al di là della mera propaganda politica, l'esperienza ci dice che nessuna di queste tre proposizioni possiede un briciolo di verità, soprattutto se confrontata con gli andamenti storici della nostra finanza pubblica. In primis, negli ultimi decenni le entrate fiscali sono cresciute regolarmente senza soluzione di continuità -pensiamo che negli anni sessanta, in pieno boom economico, lo Stato esercitava un prelievo percentalmente dimezzato rispetto ad oggi - eppure ciò non ha prodotto un alleggerimento dei ceti maggiormente gravati dalla pressione fiscale.
L'unico effetto che l'aumento del prelievo medesimo ha prodotto è stato quello di aver fatto lievitare in modo incontrollato la spesa pubblica. Per quanto riguarda, invece, il secondo punto, come giustamente ha sottolineato Oscar Giannino in una recente puntata di "Matrix", i cittadini italiani non si bevono più la panzana di una correlazione perfetta tra somme versate e benefici pubblici ricevuti.
Quest'ultimi capiscono fin troppo bene che buona parte dei quattrini rastrellati dall'erario finiscono per alimentare una serie infinita di greppie burocratiche e di carrozzoni improduttivi i quali, soprattutto da noi, rappresentano un ambito posto al sole per molti parassiti protetti da una politica compiacente.
Infine, in merito alla lotta all'evasione, questione più etica che economica, appare piuttosto grave per un illustre accademico non capire che i suoi eventuali effetti sul gettito complessivo non possono basarsi sui classici conti della serva, come si suol dire. Infatti, quando i vari teorici dello Stato massimo, nelle cui file si è arruolato anche il buon Monti, calcolano le eventuali somme derivanti dalle teorica possibilità di colpire l'intero imponibile sommerso, sommano poi le stesse a quanto la mano pubblica già preleva.
Ma le cose non stanno affatto in questi termini. Infatti, anche se ciò viene spesso sottaciuto, anche i cosiddetti evasori pagano il loro carico di tributi, magari sotto forma di imposte indirette e di altri balzelli più o meno occulti. E le pagano eventualmente ultilizzando proprio quelle somme che in qualche modo sono riuscite ad occultare al fisco rapace in prima battuta.
Questo avviene perchè nel nostro sistema la mano pubblica possiede una vasta gamma di griglie di lettura per colpire innumerevoli volte ogni aumento e/o passaggio di ricchezza. Ciò comporta però, ed in questo sta l'idiozia di chi vorrebbe sommare i proventi della lotta all'evasione al gettito ufficiale, il fatto che se colpisce la medesima ricchezza a monte con aliquote eccessive si perde l'effetto moltiplicatore che la medesima evasione determina restando nel ciclo economico.
In altre parole, abbattere del tutto la cassa di compensazione del sommerso non può che produrre una ulteriore diminuzione dell'attività economica in generale, con le inevitabile conseguenze sul piano delle entrate pubbliche. Insomma, per concludere, l'unica strada per aiutare il sistema a crescere, migliorando il bilancio pubblico, è quella che conduce ad una sostanziale taglio della spesa pubblica corrente e, di conseguenza, ad un pari abbattimento della pressione fiscale.
Una strada, occorre dolorosamente ammetterlo, assolutamente sconosciuta agli accademici al potere. Per questi celebrati professori l'idea di pagare meno per convincere tutti a pagare somme ragionevoli non sembra passare nemmeno per l'anticamera del cervello.(l'Occidentale)

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