giovedì 31 maggio 2012

Lo psicologo impazza e straparla nel dopo terremoto, si salvi chi può. Giorgio Israel

Debbo fare una confessione. Da anni occupo metà del tempo a battagliare contro lo scientismo, ma durante la trasmissione di “Porta a Porta” del 29 maggio dedicata al terremoto in Emilia ho sentito emergere un potente rigurgito di scientismo. Era un piacere voluttuoso ascoltare i sismologi, il geologo, l’ingegnere mentre producevano argomentazioni documentate e commenti tecnici che mostravano una consolidata competenza: tanto da far emergere un mai sopito sentimento di fiducia nei confronti dell’“oggettività scientifica”. Poi arriva lo psicologo con l’aria assertiva di chi erudisce un consesso di sprovveduti, e dice che è uno sproposito che gli adulti stiano insieme ai bambini nelle circostanze che seguono al terremoto: i bambini assorbono ansie e paure degli adulti, e quindi è bene che stiano tra loro. Ma sì – ci siamo detti – non è un’idea sbagliata: le famiglie scendono nelle tendopoli, gli adulti comunicano tra di loro preoccupazione, spavento e discutono su come affrontare il futuro, mentre i bambini vengono spediti a scorrazzare e a giocare assieme tra le tende per ritrovare un po’ di spensieratezza. Che idea primitiva!

L’esperto spiega che, per gestire i bambini ci vogliono gli adulti adatti: occorre raccoglierli a gruppi, anzi costituirli in “kinderheim” sotto la guida di uno psicologo. E va bene – ci siamo ancora detti – viviamo nella postmodernità, queste cose non si gestiscono come ai tempi di Checco e Nina quando non esistevano neanche le scuole dell’infanzia. Ben venga lo psicologo che guida le “kinderheim” dei bambini mentre gli adulti, tra di loro, condividono preoccupazione e spavento e progettano il futuro… Eh no! Secondo errore! Lasciare gli adulti a “elaborare” da soli? Ci mancherebbe altro! ha proclamato stentoreo l’esperto. Sarebbe un atto irresponsabile, non ne sono capaci, finirebbero allo sbando. Anche per loro ci vogliono psicologi che li ripartiscano in gruppi, li prendano sotto tutela e gestiscano l’“elaborazione” della loro tragedia. Forse non si ricorda che quando gli italiani, alla fine della Seconda guerra mondiale, si aggiravano tra le rovine dei bombardamenti erano ripartiti a gruppi di trenta guidati da uno psicologo, e per questo trovarono la forza di ricostruire il paese e poi avviare il miracolo economico. Anche la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli è stata portentosa perché è stata guidata passo passo da squadre di psicologi.

Ci si chiede se gli psicologi non stiano esagerando: sia detto nell’interesse dell’immagine della categoria. In fin dei conti, non capita ancora che un architetto ti entri in casa d’autorità prescrivendoti come arredarla per il tuo bene psico-fisico, un meccanico ti fermi l’auto con la paletta per controllare il carburatore e neppure un medico ti blocchi mentre cammini per strada per misurarti la pressione; e tu non ti possa rifiutare altrimenti sei un irresponsabile. Invece pare che non si abbia più neppure il diritto di scendere in strada assieme ai vicini di casa noti da trent’anni senza che venga un “esperto” a irreggimentare in gruppi per gestire l’“elaborazione”. Lo psicologo è prescritto d’autorità, non ci si rivolge a lui se si decide di farlo. Abbiamo uno psicologo per ogni azienda e ufficio; ne abbiamo uno per ogni scuola, presto ne avremo uno per classe. Si è approvata una legge per i disturbi di apprendimento per cui le diagnosi dei bambini “disturbati” o “agitati” sono salite da una stima iniziale del 3 per cento al 5 e poi, via via, fino a punte del 15 per cento, tanto che sale la preoccupazione anche in chi ha voluto la legge. Non c’è ambito giudiziario in cui non intervenga lo psicologo (talora con effetti ben esemplificati dalla vicenda di Rignano Flaminio). A quando una legge che imponga lo psicologo di condominio? E una legge che imponga l’intervento dello psicologo, assieme alla polizia stradale, anche per un tamponamento d’auto?

Occorrerebbe anche studiare la figura dello “psicologo di strada” che si aggirerebbe in incognito, con gli occhiali scuri e la barba finta, per studiare i comportamenti della gente e fare rapporto. Ripensandoci, quello provato durante la visione di Porta a Porta non era un rigurgito di scientismo. Perché è difficile pensare a uno scientismo più estremista e pervasivo di questo, condito da un dirigismo che farebbe morire di invidia gli psicologi e i pedagogisti sovietici di ottant’anni fa. Al confronto, lo scientismo del sismologo o dell’ingegnere (ammesso che siano scientisti) è roba da poveri untorelli.

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