mercoledì 11 luglio 2012

Giustizia: i conti non tornano. Gianluca Perricone

 
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La questione della riforma del sistema giudiziario italiano non può limitarsi alla responsabilità civile dei giudici: aspetto senza dubbio essenziale (al quale si potrebbe anche aggiungere anche l’eventuale responsabilità nello sperpero di denaro pubblico grazie ad inchieste che, talvolta, rasentano il ridicolo), ma di certo non determinante nel funzionamento di un sistema (quello appunto della giustizia) che si potrebbe definire ‘diversamente efficiente’.
Lasciamo stare, in questa sede, l’aspetto relativo alla responsabilità dei togati perché, nello scorso weekend, si è saputo ad esempio che a Pinerolo (in Piemonte) il ministero della Giustizia ha finanziato con ben 774.685 euro l'ampliamento del palazzo di giustizia, uno di quelli che lo stesso ministero ha inserito l’altro giorno tra i tribunali da sopprimere. Qualche conto, a noi “normali” (o “contribuenti” se più piace…) non torna, così come non quadra quando si progettano nuove carceri mentre si lasciano marcire nell’incuria istituti carcerari già esistenti: no, nel pianeta-giustizia più di un conto non torna.
E che dire, sempre a proposito di notizie dello scorso weekend, del rinvio a settembre del processo con rito abbreviato (in corso a Genova) a carico di dieci persone indagate nell'ambito dell'inchiesta "Maglio 3", ritenute ai vertici della 'ndrangheta in Liguria? Avete saputo il motivo di detta posticipazione? Si è resa necessaria la ricerca di un interprete per tradurre il contenuto delle intercettazioni telefoniche dal calabrese all’italiano. Sì, avete capito bene: dal calabrese all’italiano ed il giudice per le indagini preliminari Silvia Carpanini dovrà nominare direttamente il perito. E intanto i tempi si prolungano.
C’è stato anche un nuovo capitolo delle indagini sulla morte di Yara Gambirasio: sembrerebbe infatti che ora gli investigatori abbiano rivolto la loro attenzione nell'ambito delle amicizie della ragazza e di sua sorella maggiore, Keba. Sono passati 19 mesi dal delitto e la giustizia nostrana, su questa vicenda, sembra non azzeccarne una.
Per fortuna che c’è stata poi la sentenza della Cassazione (altrimenti sarebbe stato veramente un fine-settimana nero) che ha sentenziato che l’espressione «Lei non sa chi sono io, questa gliela faccio pagare!» è un’esclamazione ritenuta minacciosa e quindi punibile dalla legge. Per stabilirlo ci sono voluti un giudice di pace che aveva assolto il malfattore che aveva pronunciato quella locuzione contro una vicina, un Procuratore generale della Corte di Appello di Salerno che è ricorso appunto in Cassazione contro la decisione del primo, e infine la Suprema Corte che ha emesso lo strepitoso parere.
Noi, intanto, continuiamo a restare convinti che i conti non tornino proprio. (il Legno Storto)

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