lunedì 6 maggio 2013

Renzi e McLuhan. Claudio Velardi

              
La settimana del dopo big bang si apre con una brutta intervista di Renzi a “Repubblica”. Brutta intanto perché la dà a “Repubblica”, e non per caso.
E’ dal 1976 che il giornale di Scalfari si è introdotto come un virus nella sinistra, prima affascinandola, poi guidandola sapientemente verso la necessaria modernizzazione, infine fagocitandola e mettendola al servizio della sua cultura pop, buonista e conservatrice. Una grande operazione editoriale, che ha consentito ad un finanziere più che spregiudicato e ad un vecchio narciso di condizionarne ogni mossa, fino alla perdita di qualunque autonomia ed alla sua completa devitalizzazione. Naturalmente accompagnando con baldanza il Pci-Pds-Ds-Pd – da Berlinguer a Bersani – in tutte le sue sconfitte.

Non c’è stato leader – in carica o aspirante – capace di evitare l’abbraccio mortale. E neppure Renzi, a quanto pare. La cui prima preoccupazione – dopo il cataclisma dei giorni scorsi – è quindi rassicurare su “Repubblica” il popolo smarrito della sinistra, e dirgli che lui non è amico di Berlusconi, non ama l’art. 18, vuole il lavoro (toh!), e che il Pd è il suo presente e il suo futuro. Con Orfini e Fassina. Senza Vendola, con cui però scambia amichevoli sms. D’accordo, nella sbrodolata c’è anche il presidenzialismo (l’aria fritta che in queste ore piace a tutti). C’è la fine del finanziamento pubblico ai partiti (e vorrei vedere, dopo le ultime prove). Ma il messaggio è uno solo, inequivoco, perfino accorato: vedete le cose che dico? Non sono un traditore, sono uno dei vostri. Accoglietemi e saprò finalmente portarvi al governo. Senza subalternità e timidezze. Sfidando Grillo, facendo l’agenda e bla bla.

Ora, è evidente che per un qualunque leader della sinistra il problema dei problemi si chiama oggi “popolo della sinistra”. Cioè quell’impasto di nostalgie, luoghi comuni e pregiudizi in cui pascola da anni e anni il vecchio (in ogni senso) militante-attivista tipo: in perenne crisi d’identità, privato di direzione politica, in balia di qualsiasi pulsione parolaia e palingenetica. Un popolo che prima veniva costantemente allevato ed educato, ed è poi diventato docile e ambita preda delle più spregiudicate operazioni di marketing, a partire da quella repubblichina.
Nessuno nega che a questo benedetto popolo si debba parlare, e che – brutalmente – vi sia bisogno dei suoi voti, “che non si possono regalare agli estremisti” (ahia, quante volte l’ho sentita, questa maledetta espressione…). Ma il punto è che a questo popolo va detta finalmente la verità. E cioè che quello che impedisce alla sinistra di governare e conquistare strutturalmente la maggioranza dei consensi non è certo Berlusconi, ma la sinistra stessa, prigioniera della sua storia, di miti svaniti e gonfia di rancoroso disamore verso la società in cui viviamo. (Anche perché, se questa verità non la dici o la nascondi, ti scordi i voti di quegli altri, ma questo è un discorso noto…).
Quindi attenzione, Renzi. E’ chiaro che parlare oggi e in questo modo a “Repubblica” tu la consideri un’operazione tattica. Ne hai sentito la necessità perché temi che lo sbandamento attuale possa essere devastante e irrecuperabile. E hai convocato sul giornale un’assemblea di militanti per rassicurare. Ma sappi che ci vuole ben altro. Lo sbandamento dura da decenni, è profondo, strisciante e continuo. Un’intervista a “Repubblica” – il più ricorrente e stanco dei rituali – ha il solo potere di confermarlo.
E ricorda che mai come in questo caso, caro Matteo, il vecchio e deformato adagio di McLuhan – il medium è il messaggio – conserva una sua attualità stringente. (the Front Page)

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