martedì 21 maggio 2013

Tortorate. Davide Giacalone

Sono in molti a meritare d’essere presi a tortorate. Non nel senso di bitorzolute bastonate, che già l’uso del linguaggio violento ci avvelena e non è il caso di contribuire. Nel senso di fare i conti con la memoria di Enzo Tortora. Offesa per ogni dove, anche da quelli che pretendono di difenderla a loro volta infamandola. Tortora è un eroe civile di cui i radicali seppero valorizzare la battaglia. Possiamo citarlo noi della sparuta, perdente e non rassegnata tribù dei garantisti, dei sopravvissuti che ancora conservano memoria della civiltà del diritto. Per gli altri: tortorate.

Silvio Berlusconi (nel corso di una manifestazione elettorale) ha ricordato una frase di Tortora, speranzoso che la propria innocenza fosse anche quella dei magistrati. Ha aggiunto che molti italiani entrano nelle aule di giustizia, ogni giorno, con quel sentimento. S’è paragonato? Non mi pare. Offensivo? Non trovo. L’offesa a Tortora, da parte del centro destra, consiste in qualche cosa di molto più pesante e concreto: avere reso inutile la sua battaglia e non essere stati capaci di dare all’Italia una giustizia migliore di quella che lo massacrò. Anzi, ne abbiamo una peggiore. Conosco l’obiezione dei berlusconiani: non glielo hanno fatto fare. Ma non funziona, non ha neanche molto senso. Per una questione di tale rilievo chi è impossibilitato ad agire si dimette e monta su il finimondo. Non è successo, ed è una colpa politica. Forse la più grande.

Se lo sguardo si sposta dall’altra parte, però, sulla folta schiera degli ipocriti sinistri che ora citano Tortora, dall’indignazione si passa al voltastomaco. Una squadraccia di giustizialisti ha trasformato la sinistra nell’ostello dei manettari, disposti a rinnegare la propria stessa tradizione pur di far fuori in procura (e per procura) l’avversario che non riescono a battere nelle urne. Questa masnada di vigliaccuzzi vorrebbe ora sventolare l’immagine di un uomo che ebbe il fegato di dimettersi da parlamentare pur di affrontare i propri giudici da cittadino, anche subendo una scandalosa carcerazione preventiva (e lo spiegò a Toni Negri, che invece tradì gli elettori radicali). Il suo esempio è andato sprecato, perché chi doveva trarne insegnamento non è neanche in grado di capirlo.

Pretende di usare l’immagine di Tortora chi ha difeso gli automatismi della carriera dei magistrati, alla cui sommità si trovano oggi quelli che imbastirono il vergognoso processo contro di lui. Gente che, in un sistema normale, avrebbe perso il posto e che nel nostro, invece, avanza e guadagna. Cita Tortora chi, da venti anni, specula sulle indagini e fa finta di non sapere che una cosa è la pubblicità del dibattimento, altra, non solo diversa ma opposta, è la trasmissione in diretta dell’arringa dell’accusa (provino a leggere Piero Calamandrei, sforzandosi). Apre bocca chi neanche sa del travaglio che colpì il Tortora (grande) giornalista, il quale aveva scritto parole accusatorie all’epoca dell’arresto di Walter Chiari e Lelio Luttazzi, salvo poi amaramente pentirsene. E ammetterlo, con onestà.

Lezione sprecata, la sua. Eccelsa, ma sprecata. Dicono: lui riconobbe l’autorità della giustizia, non manifestò contro un potere dello Stato. Perché credono sia sensato sostenere che non si manifesta, contro i poteri dello Stato. A no, e perché? Tortora manifestò, eccome. Manifestò finché visse. Non risparmiò nulla alla giustizia ingiusta. Ma sapeva bene che non esiste convivenza civile senza il riconoscimento della giustizia, quindi la cercò nell’unico posto dove poteva averla: in tribunale. Non nelle case di chi lo amava, quale protagonista della televisione. La ebbe, ma la sua storia non servì a cambiare l’andazzo, che peggiorò.

La colpa ricade su chi non ebbe né testa né cuore per capire quella battaglia e come venne condotta. Ricade su una destra che fu giustizialista per poi farsi selettivamente innocentista. Ricade su una sinistra che fu connivente con l’uso politico della giustizia, per poi restare prigioniera della volgarità giustizialista. Questo è il mondo che ci consegna la peggiore giustizia del mondo civile, una magistratura corporativizzata e corrotta dalla colleganza fra accusatori e giudici, un dibattito pubblico ridotto a rissa inconcludente, un’opinione pubblica allevata nel colpevolismo.

Gli esausti squadristi, di una parte e dell’altra, si contendono il santino di un uomo che ebbe senso dello Stato e rispetto del diritto. Riusciranno solo a strapparlo, meritando tortorate per l’avvenire.

Pubblicato da Libero

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