venerdì 7 marzo 2014

Garantismo tardivo. Davide Giacalone


Bello vedere che il Partito democratico riscopre l’esistenza del secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione, nonché (non lo hanno ancora detto, ma suggerisco con piacere) della Dichiarazione universale diritti dell’uomo e della Convenzione europea diritti dell’uomo, quindi della presunzione d’innocenza. Negli ultimi tempi, iniziando con la riforma del titolo quinto della Costituzione e arrivando all’innocenza dei non condannati in via definitiva, sostengono con forza il contrario di quel che, con forza, vollero e fecero. Se servono loro altri spunti, metto a disposizione gli scritti di molti anni, ove troveranno una miniera di sinistre vergogne. Restando al garantismo, però, non s’illudano che sia così facile. Ascoltino un veterano.

Che in caso di avviso di garanzia si diano o si chiedano le dimissioni, da cariche o incarichi pubblici, è, al tempo stesso, civile e incivile. Se la giustizia funziona è civile, direi doveroso: mi dimetto, non coinvolgo la cosa pubblica nella mia disavventura, mi difendo liberamente e torno presto, mondato dal sospetto. Se la giustizia non funziona è incivile: perché le accuse sono spesso campate per aria, i procuratori degli aspiranti divi e perché, soprattutto, così procedendo sono le procure a stabilire chi può mantenere cariche e incarichi, il che sovverte la Costituzione e la vita collettiva. Se per difendersi occorrono più di dieci anni è evidente che l’avviso di garanzia non è neanche presunzione di colpevolezza, ma direttamente una fucilata alle spalle. Dato che da noi la giustizia è la peggiore d’Europa, con tempi incivili, si pone il problema che i delinquenti restino ai loro posti pubblici. Ed è questione seria, perché il garantismo, se ne ricordino i neofiti, non è innocentismo, ma rispetto del diritto e dei diritti. Fra i quali è compreso quello di vedere condannati i colpevoli.

La faccenda, quindi, non si chiude con le pur giuste parole del ministro Boschi, annuncianti che quattro indagati resteranno al governo, ma deve proseguire con l’azione per assicurare loro un processo equo e rapido. Se innocenti per liberarli dall’accusa, se colpevoli per far loro scontare la pena. Restiamo, quindi, in attesa della riforma della giustizia. Ci piacerebbe ingannarla sapendo in che direzione il governo intende procedere. Al momento è buio totale.

Siccome non ci sono solo i sottosegretari, ma anche i cittadini, è bene si sia consapevoli che l’avviso di garanzia è un atto a tutela dell’indagato, ma anche l’inizio di un costoso inferno. Se un sottosegretario non si dimette un imprenditore smette di lavorare e un impiegato di fare carriera. E va ancora bene, perché sono un esercito i cittadini che finiscono in galera prima d’incontrare un giudice e ci restano senza avere mai visto un tribunale. Un esercito che se fosse cancellato sparirebbe anche il problema del sovraffollamento delle carceri, troppo popolate da persone che non scontano la pena, ma attendono il giudizio. Somma inciviltà.

Pesco a caso dal mazzo. A Torino Francesco Furchì già è in sciopero della fame e inizia quello della sete. Detenuto in custodia cautelare, accusato di omicidio, si dice innocente e attende il giudizio. Il problema è che dal suo arresto è passato più di un anno. Noi non sappiamo se sia colpevole o innocente, sappiamo che è detenuto da presunto innocente. Franco Bonanini finì in carcere perché non reiterasse il reato di calunnia. Dopo tre anni un altro pubblico ministero indaga sul presunto calunniato. Questi due casi, diversissimi, dimostrano che: a. la custodia cautelare non può essere cancellata, perché esistono anche soggetti che si presume possano essere pericolosi, ma non può essere protratta, altrimenti diventa pena senza processo; b. non serve a nulla fare le riforme, perché in un caso come il secondo già la legge esistente esclude che si possa privare della libertà una persona in base ad un’accusa così ridicola e senza alcuna pericolosità, ma le leggi sono parole perse se chi le applica non è responsabile delle proprie azioni.

Maria Elena Boschi e Andrea Orlando non hanno colpe personali. Né per come è ridotta la giustizia, né per le vergognose posizioni difese, fino a ieri, dal loro partito. Ma tutti e due, assieme agli altri loro colleghi, non sarebbero dove sono se il loro partito non avesse concimato il consenso anche con quelle idee organiche. E tutti e due sono ministri. Quindi: fateci vedere i risultati, non solo la difesa dei sottosegretari, propri compagni. Ci vuole un niente per passare da inutili.
Pubblicato da Libero

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