sabato 17 maggio 2008

La frode di Rigoberta Menchù. Guglielmo Piombini

Dopo il crollo del comunismo la sinistra occidentale è riuscita a conservare la propria egemonia culturale riconvertendosi dal marxismo al multiculturalismo. La sinistra multiculturalista non concentra più le sue critiche sulle strutture economiche della società capitalistica, come prescriveva il marxismo classico. Quasi nessuno oggi ha più il coraggio di chiedere l’abolizione della proprietà privata o la collettivizzazione dei mezzi di produzione. L’attacco prende invece di mira invece le “sovrastrutture” culturali della società, secondo la lezione di Antonio Gramsci e della Scuola di Francoforte.

Dietro una facciata relativista, il multiculturalismo combatte tutto ciò che appartiene al passato storico dell’Europa. Quest’odio profondo per il nostro retaggio religioso e culturale, motivato da un intenso sentimento di rivalsa, si manifesta con l’esaltazione acritica di tutte le culture estranee all’Occidente, comprese le più aberranti, e con il desiderio frenetico di ripopolare il vecchio continente con immigrati extraeuropei anche apertamente ostili.

Questa premessa serve a spiegare il senso di una delle operazioni propagandistiche più riuscite alla sinistra internazionale negli ultimi decenni: la creazione del mito di Rigoberta Menchú, l’indigena guatemalteca di etnia maya vincitrice nel 1992, a soli trentatre anni, del premio Nobel per la Pace. La fama della Menchú si deve al libro di memorie scritto nel 1983 dall’antropologa Elisabeth Burgos Debray, l’ex moglie del famoso rivoluzionario francese Régis Debray, la quale nel 1982 trascorse otto giorni nel suo appartamento parigino sollecitando e registrando il lungo racconto di Rigoberta (l’edizione italiana, pubblicata dalla casa editrice Giunti di Firenze con il titolo Mi chiamo Rigoberta Menchú, è del 1987).

Il successo nelle librerie, nelle scuole e nelle università fu immediato, e fece della Menchú il simbolo degli indigeni dell’emisfero occidentale depredati e oppressi dai conquistatori europei. Come povera donna indios, la Menchú era un’icona perfetta del multiculturalismo perché riassumeva in sé tutte le caratteristiche più apprezzate dalle ideologie alla moda tra gli intellettuali progressisti.

Verso la metà degli anni Novanta cominciarono però a sorgere i primi dubbi sulla veridicità del suo racconto, anche perché sembrava strano che una contadina illetterata dell’America Centrale usasse con tanta disinvoltura il tipico frasario marxista dei radical-chic occidentali. L’antropologo americano David Stoll fece delle accurate verifiche sul campo e nel 1999 pubblicò i risultati delle sue ricerche, che smascheravano cumuli di menzogne presenti nella testimonianza della Menchú.

L’editore e giornalista libertario Leonardo Facco, esperto del mondo latinoamericano, ripercorre i retroscena di questo clamoroso inganno in un libro agile ed efficace appena pubblicato dall’editore Rubbettino di Soveria Mannelli: Si chiama Rigoberta Menchú. Un controverso premio Nobel (78 pp., € 10,00). La famiglia della Menchú, ricorda Facco, non era affatto povera, perché suo padre possedeva quasi tremila ettari di terra coltivabile; le dispute per questo terreno non nascevano dai tentativi di esproprio da parte dei ricchi proprietari terrieri discendenti dei conquistadores, ma da squallide beghe famigliari; suo padre non venne bruciato vivo dai militari all’interno dell’ambasciata di Spagna, ma rimase vittima di un incendio causato dalle bottiglie molotov dei dimostranti; anche le uccisioni della madre, di tre fratelli e del nipotino compiute dalla polizia sono un’invenzione; la Menchú sostiene di essere rimasta analfabeta fino all’età adulta, ma risulta che abbia frequentato per otto mesi all’anno un ottimo collegio religioso privato; questo fatto rendeva impossibile la sua partecipazione alle attività politiche e insurrezionali descritte nel libro.

Non c’è da meravigliarsi che in Guatemala la Menchú non sia mai stata popolare come all’estero. I suoi concittadini sanno benissimo che le storie che racconta al pubblico occidentale sono piene di falsità e di esagerazioni. Alle recenti elezioni presidenziali, che si sono svolte il 9 Settembre 2007, la “portavoce del popolo oppresso” ha rimediato infatti un misero 3,05 % dei voti, nel silenzio imbarazzato degli organi d’informazione che hanno cercato di dare il minor risalto possibile alla notizia.

La Menchú si difende dalle denunce di frode accusando David Stoll di “razzismo”, rispondendo elusivamente a tutte le obiezioni specifiche, e contestando la trascrizione di Elisabeth Burgos, con la quale è in lite per i diritti d’autore del libro. Gli intellettuali di sinistra continuano ad esaltarla perché “qualche inesattezza nel racconto non inficia la bontà della sua causa”, e il comitato per il Nobel si è rifiutato di ritirarle il premio. Come scrive Romano Bracalini nella prefazione del libro di Leonardo Facco, la menzogna è sempre stata un portato della dottrina totalitaria ed il comunismo ne ha fatta un’arte insuperata. Rigoberta Menchú viene dalla medesima scuola d’impostura. (Il Domenicale, 20 ottobre 2007)

5 commenti:

Francesco Conte ha detto...

Interessante, mi piacerebbe proprio sapere dove stia la fonte più veridica..:(

Francesco Conte

Anonimo ha detto...

vergognati

Anonimo ha detto...

come fai a prendere per verità, cose che non hai vissuto e che non conosci.Ho visto il Guatemala negli anni della pacificazione e ti garantisco, senza pregiudizzi ideologici, che la Menchù è stata ed è un riferimento importante per almeno l'90% della popolazione.inoltre ti consiglio di andare a vedere come si svolgono le elezioni in un paese dove, il potere politico militare cammina parallelo al potere economico.Essere anticomunista, esula di analizzare obbiettivamente una donna, che ha lottato e lotta, con tutte le sue energie contro la violenza e la sopraffazinone del suo popolo,i Maya.Dando dignità e consapevolezza a tutta la popolazione idigena.Visto Che scrivi Per i circoli della libertà, questa dovrebbe essere musica per le tue orecchie.Ho la libertà vale solo per voi non per gli alti....

Anonimo ha detto...

ti rendi conto che scrivendo ciò dici che l'onu assegna premi nobel a cavolo.O che accettano di buon grado un "atteggiamento d'impostura",ciò comporta quindi che essendo d'accordo con un atteggiamento ne comprendono le trame e si comportano di conseguenza;sarebbe quindi anche l'onu un'organizzazione comunista che fa finta di individuare eroi della giustizia sociale per far risaltare esponenti del comunismo?dovresti ricordare che quando compi un'azione la confermi e la confuti allo stesso tempo(terza legge della dinamica).Quindi non dare puoi dare per vero ciò che hai scritto come non si può dare per vero ciò che sostiene rigoberta menchù.la verità sta nel mezzo,senza essere troppo faziosi magari.

laveralibertà ha detto...

Calunniare una persona come Rigoberta Menchù, che ha lottato strenuamente contro lo sterminio del proprio popolo, significa stare dalla parte del male.
Attenzione al razzismo: è una malattia che colpisce chi ha le vedute corte, e chi lo pratica prima o poi ne rimane vittima. La solidarietà e il rispetto invece hanno il potere di garantire e di aumentare reciprocamente il benessere.
Non riteniamoci al sicuro solo perchè facciamo parte dell'Occidente 'ricco'. Un bel giorno la storia potrebbe capovolgersi.
Il genocidio del popolo Maya e di altri popoli indigeni dell'America Latina da parte dei governi militari finanziati da quella che è stata la volontà di egemonia economica degli Stati Uniti, è una terrificante realtà, testimoniata oltre che da R. Menchù anche dalla Commissione ONU, da autorità internazionali e dalle migliaia di persone coinvolte. Questi genocidi si sommano ai tanti altri agghiaccianti avvenuti in tutto il mondo durante il Novecento, e in alcuni luoghi ancora in atto. Finchè il rispetto dell'umanità e dell'etnia non sarà una regola applicata, nessun uomo sarà al sicuro. Forse abbiamo già dimenticato come alla fine della seconda guerra mondiale sia le truppe naziste che quelle americane massacrarono interi villaggi dell'Italia del Nord?
Di fronte alla lotta contro tante e tali violenze, parlare di sinistra e destra è del tutto fuori luogo. Si tratta invece della questione del rispetto di diritti umani fondamentali e del'esistenza di interi popoli. Non è con la violenza che si costruisce un sistema di vita. L'era della sopraffazione e dell'imperialismo economico deve finire, e di fatto è già in crisi, come dimostra il fallimento dell'attuale sistema economico basato sulla speculazione e sullo sfruttamento territoriale. Ogni popolo è legato al territorio che lo ha nutrito per secoli stabilendo un rapporto di equilibrio, e il suo primo diritto è quello di averne la piena sovranità.