martedì 7 ottobre 2008

Tutti i perché di un lunedì nero. Fabrizio Goria

Quello che le borse mondiali hanno vissuto è stato l’ennesimo lunedì nero dall’inizio della crisi subprime. La picchiata è stata la risposta al piano Paulson, da 850 miliardi di dollari, per il salvataggio del sistema finanziario statunitense, ma non solo. Sono pesanti le ombre che sono calate sull’Europa: Fortis, Hypo Real Estate ed UniCredit fanno tremare gli operatori. Proprio quest’ultima ha contribuito Piazza Affari ad essere una delle maglie nere di ieri, con un secco –8,24% per il Mibtel e l’S&P/MIB.

Con 444 miliardi di euro per le sole borse europee e oltre 1750 per quelle mondiali, la giornata di ieri è stata la peggiore dal 19 ottobre 1987. L’indice newyorkese Dow Jones è sceso sotto l’importante soglia psicologica dei 10mila punti e sarebbe sceso ancora di più, se non fosse scattato un meccanismo di autoprotezione degli stessi traders, che hanno fatto risalire l’indice in chiusura di contrattazioni. Anche il Nikkei ha fatto pensare al peggio, scendendo per pochi istanti sotto i 10mila punti, salvo chiudere appena sopra, dopo una difficile seduta. Il passaggio che ha portato a questo crollo vertiginoso è da ricercare in una serie di fatti, fortemente interdipendenti fra loro, che hanno investito i mercati.

In primis i mercati hanno risentito dell’effetto del piano stilato dal segretario del Tesoro Usa, Henry Paulson, per mettere al riparo i mercati dai “toxic assets” dei subprimes. Inizialmente di 700 miliardi di dollari, poi bocciato alla Camera, passato al Senato ed incorporato di ulteriori 150 miliardi, infine ratificato dalla stessa Camera e varato, il piano prevede la formazione di un enorme fondo per il recupero di tutte le posizioni a rischio di banche ed assicurazioni a stelle e strisce, per evitar nuovi casi Lehman Brothers o AIG. Peccato che queste misure non siano state recepite come utili dal mercato, che le ha bocciate in pieno: troppa l’incertezza che si nasconde dietro ai bilanci di molte società. Infatti il problema principale è proprio la mancanza di fiducia degli addetti ai lavori. Sia Calisto Tanzi, ai tempi di Parmalat, sia Richard Fuld, CEO di Lehman, pochi giorni prima del fallimento avevano sempre garantito personalmente che la situazione economica delle società che guidavano era florida: uno è finito in galera, l’altro è chissà dove con oltre 160 miliardi di liquidazione.

Seconda concausa del crollo di ieri la decisione del governo tedesco di garantire tutti i depositi bancari dei cittadini e di effettuare un maestoso bailout per Hypo Real Estate, il colosso bavarese dei mutui immobiliari. L’iniezione di 35 miliardi di euro da parte di Bundesbank per il salvataggio e l’esposizione dei risparmi teutonici hanno fatto vacillare molte certezze sul treno dell’economia europea. Hypo ha iscritto a bilancio svalutazioni sui derivati per oltre 8,5 miliardi, complice la condizione in cui versa la controllata irlandese Depfa Bank, per il quale il governo di Dublino ha deciso però di non muoversi minimamente. L’azione elemosinatrice di Hypo ha dato i suoi frutti per le casse della stessa, ma ha gettato nel panico gli operatori. Come per gli Usa, anche in Europa si comincia a valutar con sospetto ogni dichiarazione dei banchieri. Una paura che sembrava relegata all’America, con l’Oceano Atlantico a dividere i due mercati, è giunta nel Vecchio Continente, forse prima delle previsioni. La Bce per ora sembra una sfinge ed anche questo non fa che aumentare le tensioni isteriche nei mercati.

Infine, arriviamo all’Italia, che ha vissuto la giornata finanziaria più nera degli ultimi 15 anni almeno. Cosa accade da noi? Da una parte, siamo stati notevolmente protetti dalla crisi per il carattere fortemente territoriale dei nostri istituti di credito, i quali preferiscono investire ed allocare i depositi presso lo stesso territorio in cui si trovano. Questa caratteristica, simile a quella tedesca delle Landesbank (nonostante due fallimenti), ha permesso al nostro sistema bancario di reggere (finora…) l’urto secco della crisi dei mutui. Purtroppo, non tutti sono piccoli, ma a volte sono davvero enormi, come UniCredit. Dopo l’aumento di capitale per 6,6 miliardi (3,6 come monte dividendi, pagato in azioni e 3 miliardi tramite azioni a 3,083 euro) Alessandro Profumo, amministratore delegato del gruppo, ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno il sapore di una liberazione. «So che lo scenario esterno era già negativo prima. Abbiamo sottovalutato le condizioni del mercato e fatto degli errori di valutazione, questo ci è assolutamente chiaro» ha affermato Profumo, valutando l’esposizione della banca alle Asset backed securities (Abs) in 500 milioni di euro, ai quali si debbono aggiungere ulteriori 200 milioni per le obbligazioni bancarie scoperte. Ma Profumo è un fiume in piena, dato che il suo discorso passa poi alle acquisizioni di Hvb e Capitalia, per le quali si «poteva aspettare di più», invece che comprarle ai massimi di mercato, incuranti del mercato che sta mutando.

Molti sono già certi che ci sia un nuovo 1929, che sia la fine di un sistema, che si deve tornare all’economia reale dimenticandosi della finanza e delle sue raffinatezze mefistofeliche. La sensazione è che lo stesso mercato sta piano piano espellendo tutto il marcio che finora aveva assorbito. Solo così potremo vedere in che modo le distorsioni dell’uomo hanno utilizzato un meccanismo sofisticato per lucrar sempre di più. Ma prendersela con lo stesso sistema equivale e non riconoscere i colpevoli ed a non risolvere il problema. In condizioni ottimali, non è la vettura a causare l’incidente automobilistico, bensì il guidatore. (l'Occidentale)

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