mercoledì 16 settembre 2009

Rimpiangeremo Mino Pecorelli? Lino Jannuzzi

Sul finire della prima Repubblica c’era un giornalista che si chiamava Carmine Pecorelli ed era detto “Mino” ed era insieme editore, direttore e redattore pressoché unico di una piccola rivista intitolata “OP”, che stava per “Osservatorio politico” e con cui spiava e minacciava mezzo mondo. La rivista aveva una tiratura assai limitata, fino a poco tempo prima era addirittura diffusa sotto forma di foglio ciclostilato, e circolava in ambienti ristretti ma molto sensibili, quelli della politica di palazzo, i circoli militari e dei servizi segreti, gli enti economici e finanziari pubblici e privati. Le indiscrezioni, le insinuazioni, gli attacchi violenti di Pecorelli colpivano ogni settimana in tutte le direzioni. Spesso erano solo accennati, anticipati in una specie di codice, e se ne preannunciava il seguito o il chiarimento nel numero successivo della rivista. Qualche volta si stampava solo la copertina con titoli minacciosi, la si faceva circolare negli ambienti interessati, si discuteva e si trattava, si incassava una qualche regalia sotto forma di abbonamenti o di sottoscrizioni al capitale della società editrice e si cestinava l’articolo minacciato.

Alla fine Carmine Pecorelli fu ammazzato, la sera del 20 marzo 1979, a Roma, in strada, sotto la redazione della sua rivista, mentre era montato sull’auto e aveva messo in moto, la prima pallottola in piena bocca, sfondando il labbro inferiore, le altre al petto e al cuore. L’assassino non è stato mai trovato, anche perché persero anni per processare come mandante Giulio Andreotti, ma poteva essere uno qualsiasi dei tanti spiati e minacciati di rivelazioni nelle ultime settimane. La rivista sparì con lui, ma non sparì un certo tipo di giornalismo a base di spionaggio e di rivelazioni scandalistiche o anche soltanto di minacce di rivelazioni, anzi con l’avvento della seconda Repubblica si diffuse a macchia d’olio. L’offensiva giudiziaria di Mani Pulite e di Tangentopoli favorì l’incubazione, il debutto e la crescita di tanti Pecorelli, più smaliziati e più mimetizzati, che ormai scrivono su giornali importanti e autorevoli, e qualche volta addirittura li dirigono. E, ciò che è più grave, fanno politica al posto dei politici di professione, ancor più di quanto non abbiano fatto le Procure, i giornali al posto dei partiti e ormai anche al posto delle Procure. Fino al punto che famosi pm professionisti dell’Antimafia preferiscono, più che passare veline ai cronisti amici come hanno fatto per anni, scrivere in prima persona e direttamente sui giornali. Le conclamate nuove indagini sulle stragi di mafia del ‘92 saranno sempre più fatte dai giornali piuttosto che dalle Procure e sui giornali da pm-giornalisti più che da giornalisti-pm. E saranno sempre più destinate al fallimento, più ancora di come sono clamorosamente fallite le indagini sulla strage di via D’Amelio: in quindici anni i pm, a furia di dare la caccia ai “mandanti occulti”, non hanno trovato nemmeno gli esecutori materiali, nemmeno il picciotto che ha premuto il pulsante per far esplodere il tritolo. I pm-giornalisti dei picciotti assassini nemmeno si occuperanno, scriveranno tanto dei “mandanti occulti” che hanno scoperti e individuati da tempo e non sono mai riusciti, in mancanza di prove, a portare in una aula di tribunale e a farli condannare. Li processeranno e li condanneranno sui giornali.

Rimpiangeremo Mino Pecorelli? (il Velino)

5 commenti:

fuoco amico ha detto...

Con tutto il rispetto, state trascurando le notizie di carattere internazionale.


Questo articolo conferma quanto gia affermato da Guzzanti e poi da Thonrne ovvero che i rapporti commerciali e politici tra Italia Russia e i paesi del Mediterraneo danno molto fastidio all "alleato" americano, e gli ultimi scandali sono da ricondurre a questo.

Berlusconi-Gheddafi , attenti a quei due

Grazie al britannico The Guardian, disponiamo di una serie di informazioni, non smentite, che proverebbero uno sconcertante intreccio affaristico che sembra legare il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi al dittatore libico Gheddafi. “La Gheddafi- Berlusconi connection”, si intitola, significativamente, l’inchiesta del Guardian, secondo il quale ci sarebbe qualcosa di più dei reciproci vantaggi politici; se il Guardian ha ragione occorre stare attenti a “quei due”, dal momento che esisterebbe «un altamente discutibile comune interesse negli affari». Il giornale inglese ha “scavato” dentro una serie di operazioni finanziarie, e accusa esplicitamente Berlusconi di un «decisamente sconcertante conflitto d’interessi, da aggiungere ai tanti che egli ha già in Italia».
Si racconta, per esempio, di come, nel giugno scorso, una società libica chiamata Lafitrade ha acquisito il 10 per cento della Quinta comunication, una compagnia di produzione cinematografica fondata da Tarak Ben Ammar, storico socio di Berlusconi. Lafitrade è controllata da Lafico, il braccio d’investimenti della famiglia Gheddafi. L’altro partner di Ben Ammar nella Quinta comunication è, «con circa il 22 per cento» del capitale scrive il Guardian, una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest, la finanziaria di Berlusconi.
Non solo: Quinta comunication e Mediaset possiedono ciascuna il 25 per cento di una nuova televisione via satellite araba, la Nessma Tv, che opera anche in Libia, sulla quale Gheddafi potrebbe esercitare influenza attraverso la quota che ha rilevato nella Quinta comunication. A Repubblica, Ben Ammar spiega che Nessma Tv è di proprietà sua, al 25 per cento, di Mediaset per un altro 25, di due partner tunisini per il restante 50. L’ingresso di Gheddafi in Quinta comunication, spiega, è avvenuto nell’ambito di un aumento di capitale ma solo perché interessato alla produzione di film sul mondo arabo. Quindi solo progetti cinematografici. L’aumento di capitale non è ancora concluso, ma al termine dell’operazione Gheddafi dovrebbe avere una quota del 10 per cento.
Un legame d’affari tra Gheddafi e Berlusconi che è anche un evidente conflitto d’interessi; e l’operato del Berlusconi politico finisce con l’acquistare una diversa prospettiva e spiegazione: dai negoziati sull’immigrazione, alle compensazioni coloniali, dagli investimenti alla visita di Berlusconi a Tripoli alla vigilia delle celebrazioni per il quarantennale della presa del potere da parte del colonnello: tutto ciò acquista una nuova luce se «i due leader sono connessi da qualcosa di più della convenienza politica».

fuoco amico ha detto...

Già il 15 settembre scorso Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, e ascoltato consigliere di Barack Obama, parlando della Russia di Putin non aveva risparmiato un pesante sarcasmo su Berlusconi: «Putin sta seguendo gli esempi di Stalin e di Krusciov. Chiunque conosca un po’ la Russia se ne rende conto. Eccetto Silvio Berlusconi».
Alla successiva domanda su cosa pensi del legame tra Putin e Berlusconi, Brzezinski rispose: «È simile a quello che Putin ha con l’ex cancelliere tedesco Schroeder».
Schroeder lavora per la Gazprom?, osservò l’intervistatore, «Intende dire che Berlusconi fa affari con Putin?». «La risposta che ho appena dato si spiega da sola», rispose Brzezinski, che più chiaro non poteva essere. Un anticipo di quello che il neo-ambasciatore americano a Roma David H. Thorne ha detto al Corriere della Sera: neppure troppo velatamente ha detto che l’Italia dal punto di vista energetico, dipende troppo dai cari amici Putin e Gheddafi.
Dunque, cominciano finalmente a delinearsi compiutamente i contorni della stupefacente “operazione di recupero” del dittatore libico Gheddafi; operazione cui, peraltro, non sono estranei Tony Blair e l’ex presidente Usa George W. Bush. È tempo di chiarire finalmente contenuti e “contorni” dell’affaire Libia; palazzo Chigi e la Farnesina devono chiarire e spiegare la reale portata dei recenti accordi stipulati con Tripoli; è tempo che il parlamento ne sia informato: si ha il diritto di sapere come stanno le cose, e che si esca, finalmente, dalle infelici ambiguità in cui l’attuale governo di centrodestra ci ha fatto precipitare.
Valter Vecellio

fuoco amico ha detto...

Obama snobba il Cavaliere: troppo amico di Putin
di Il congiurato

Con il Consiglio d’Europa convocato oggi a Bruxelles inizia per Berlusconi una serie di summit internazionali che si concluderà con la partecipazione al vertice Onu sul clima, il 22 settembre, e con il G20 di Pittsburgh nei due giorni seguenti. Per un premier considerato, a torto o a ragione, in crisi di immagine all’estero si tratta di un’occasione da non sprecare. Anche se l’intervista rilasciata ieri al Corsera dal nuovo ambasciatore statunitense in Italia David Thorne non è certo il miglior viatico.
Il diplomatico, infatti, ha confermato quello che da tempo a Palazzo Chigi e alla Farnesina sanno benissimo, e che nelle sue audizioni al Senato Usa lo stesso ambasciatore aveva detto in modo ancora più netto: a Washington la nostra partnership energetica con la Russia non piace affatto. Quello che Thorne non dice apertamente, ma che gli analisti Usa (sia democratici che repubblicani) sostengono da tempo, è che la politica energetica del nostro Paese è un problema serio, una mina per la coesione dell’intera Unione Europea e della Nato. Questo a tutto vantaggio del dominio della Russia di Putin e della sua Gazprom sul Vecchio Continente, presentato nei dossier circolanti a Capitol Hill come potenziale ostaggio di Mosca. Addirittura a Washington si teme che l’alleanza possa saldarsi indissolubilmente anche con un reciproco scambio di azioni tra le due compagnie petrolifere Eni e Gazprom. Le preferenze dell’Italia per il gasdotto South Stream a danno di Nabucco sono da tempo fonte di preoccupazione oltreoceano, se è vero che in occasione della sua ultima visita a Roma nel 2008 l’allora vicepresidente Cheney chiese a Berlusconi di uscire da South Stream. Finché alla Casa Bianca c’era l’amico George, il problema è stato in qualche modo congelato. Ma dopo l’elezione di Obama alla Casa Bianca hanno messo il caso tra quelli da affrontare e risolvere. Berlusconi intanto è andato avanti sbloccando anche lo stallo su South Stream tra Russia e Turchia. Non c’è dunque da stupirsi se, per ora, negli oltre quattro giorni di trasferta Usa il presidente Obama non ha in agenda nemmeno un minuto in esclusiva per il Cavaliere: le notizie da Washington sono chiare, per Silvio nessun incontro bilaterale.

fuoco amico ha detto...

Zbigniew Brzezinski: “L’Occidente deve armare la Georgia”
fonte Intervista di Maurizio Molinari - La Stampa
NEW YORK

- Diamo missili anti-carro e armi anti-aeree alla Georgia per difenderla dalle mire di Putin». Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, suggerisce all’Occidente di adottare mosse preventive per difendere tanto la sovranità Tbilisi quanto l’oleodotto Baku-Ceyhan nel Caucaso. Brzezinski è una delle voci più ascoltate da Barack Obama sulla politica estera, ma sulla Russia non critica la linea dura scelta dalla repubblicana Sarah Palin.

Nell’ultimo libro «America and the World», scritto con Brent Scowcroft, sostiene che dietro il blitz di Putin in Georgia c’è l’opposizione all’oleodotto Baku-Ceyhan.
Questo significa che la Russia terrà a lungo le truppe nell’Ossezia del Sud?
«Putin manterrà la presenza militare in Ossezia e Abkhazia per destabilizzare la Georgia al fine di bloccare l’oleodotto che Mosca teme, perché costituisce per l’Occidente una fonte di approvvigionamento energetico alternativa a quelle russe».

Se la partita strategica è l’oleodotto, come lo si può difendere?
«L’Occidente deve aiutare la ricostruzione economica della Georgia perché ha subito seri danni. La ricostruzione è essenziale per la stabilità, mentre sappiamo che Putin e Lavrov vorrebbero rovesciare il presidente Saakashvili. In secondo luogo dobbiamo offrire assistenza militare perché, se la Georgia dovesse rimanere indifesa, anche la più insignificante delle provocazioni potrebbe dare modo ai carri russi di marciare su Tbilisi, come fecero su Praga nel 1968».

A che tipo di aiuti militari pensa?
«Difensivi, come i missili anti-carro e le armi anti-aeree. Per ostacolare eventuali invasioni. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina hanno interesse ad affermare che crisi simili non possono essere risolte con l’uso soverchiante della forza».

Sarah Palin, candidata vicepresidente dei repubblicani, ha detto che la Nato potrebbe «forse» fare guerra alla Russia per difendere l’alleata Georgia. Che cosa ne pensa?
«Entrare in guerra non sarà necessario, a patto che si faccia ciò che sostengo. Nessuno in Russia vuole entrare in guerra con gli Stati Uniti e l’Occidente ma, se la Georgia sarà indifesa, la tentazione russa potrebbe diventare incontenibile: farebbe gola a chiunque poter occupare Tbilisi, tagliare l’oleodotto Baku-Ceyhan e trasformare l’Azerbaigian in satellite senza colpo ferire».

Se occorre rafforzare Tbilisi, perché non farla entrare nella Nato?
«L’adesione della Georgia al momento non è in agenda. In attesa che il processo maturi, siamo in grado di impedirne l’invasione».

L’Unione Europea manderà oltre 200 osservatori. Quale consiglio darebbe loro?
«Sorvegliare il rispetto degli accordi fra Sarkozy e Medvedev sul totale ritiro russo, ad esclusione di Ossezia e Abkhazia».

Nel suo libro lei afferma che l’entrata dell’Ucraina nell’Occidente aiuterebbe la Russia. Perché?
«Arginerebbe la tentazione imperiale russa. Quando Putin afferma che il collasso dell’Urss è stato il maggior disastro geopolitico del XX secolo, lascia intendere che vuole ricostruirla attraverso l’estensione del controllo russo sui nuovi Stati indipendenti già parte dell’Urss e prima ancora dell’Impero russo. Questa tentazione imperiale nuoce alla Russia e l’antidoto è costituito da più stretti rapporti con l’Occidente».

Che idea si è fatta del presidente russo Dmitri Medvedev?
«Chi si ricorda il nome del presidente dell’Urss negli Anni 50? Tutti pensano a Stalin ma lui non era il presidente. Il punto non è chi ricopre la carica di Capo dello Stato ma chi ha il potere reale. Durante la Seconda Guerra Mondiale il potere a Mosca l’aveva il premier, negli anni di Krusciov era nella mani del Segretario generale del Pcus e oggi ce l’ha Putin, che è a capo di un partito ed è il premier ma non il Capo di Stato. Putin sta seguendo gli esempi di Stalin e di Krusciov. Chiunque conosca un poco la Russia se ne rende conto. Eccetto Silvio Berlusconi».

fuoco amico ha detto...

Che cosa pensa del legame fra Berlusconi e Putin?
«E’ simile a quello che Putin ha con l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder».

Schroeder lavora per la Gazprom. Intende dire che Berlusconi fa affari con Putin?
«La risposta che ho appena dato si spiega da sola».

La tensione con l’Occidente potrebbe portare Mosca ad avvicinarsi a Pechino?
«Non sarebbe nell’interesse di Mosca. I russi sanno bene di controllare un grande spazio ricco di risorse ma vuoto ai confini con la Cina. Uno spazio dal quale la popolazione russa fugge mentre quella cinese inizia a insediarvisi. Senza contare che la Cina ha uno sviluppo tecnologico ben superiore alla Russia. L’interesse di Mosca sta in un più forte e saldo rapporto con l’Occidente. Non è suo interesse creare un asse con la Cina».