giovedì 26 agosto 2010

Vuoto a perdere. Davide Giacalone

Se non avessimo perso avremmo vinto. Quel che colpisce non è tanto l’inavvicinabile profondità del pensiero veltroniano, quanto l’ottusa convinzione che siano il mondo e gli elettori ad essersi sbagliati, non la sinistra che lui guidava. Si resta a bocca aperta non tanto per l’acutezza di chi è in grado di capire che se la squadra del cuore avesse segnato più gol dell’avversario avrebbe anche potuto vincere la partita, ragionamento parente dell’ipotesi che la nonna possa aver le ruote, quanto per la cieca presunzione di chi non ha compreso il più elementare dei dati: la storia comunista è finita, morta, sepolta, non resuscitabile, neanche in salsa dalemiana o veltroniana. Hanno campato di rendita, questi ragazzi invecchiati senza divenir saggi, ma hanno fatto morire la sinistra.
Per comprendere la dimensione del roboante vuoto, morale e mentale, che affligge questi figli di madre ripudiata è sufficiente leggere per intero il paginone che il Corriere della Sera concede a Walter Veltroni, scorrendo la sua lunga e inconcludente “lettera agli italiani”, compiendo il solo sforzo di non cedere alla tentazione di appallottolare il tutto e lanciarlo lontano, ben prima della fine. A cominciare dal presunto titolo che, secondo l’autore, gli concede il diritto di rivolgersi all’intera collettività nazionale: “quasi quattordici milioni di italiani fecero una croce sul simbolo che conteneva il mio nome come candidato alla presidenza del Consiglio”. C’è di vero che gli italiani ci misero una croce sopra, ma il resto è falso, perché al “non fui mai comunista, ma berlingueriano” continua a sfuggire un dettaglio: nessuno, nel sistema italiano, si candida alla presidenza del Consiglio, e nessuno può essere votato per quell’incarico. Siete cascati, come allocchi, nel trucco berlusconiano, vi siete berlusconizzati al punto da non distinguere più la realtà dalla finzione, sicché, seguendo il presunto ragionamento di Veltroni, si giunge ad una sola conclusione: la maggioranza degli elettori elesse Silvio Berlusconi alla guida del governo, quindi, oggi, tutte le fanfaluche quirinalizie sono solo una perdita di tempo, perché l’investitura popolare può essere ritirata solo tornando al popolo. Parola del più sfegatato berlusconiano, vale a dire il suo preteso oppositore.Egli continua a pensare che l’impostazione della campagna elettorale, due anni fa, fu lungimirante e corretta, salvo il fatto che gli italiani, compresi gli elettori di sinistra, non ne compresero il valore, e persevera nell’errore perché continua a non capire che non esisterà mai un “partito a vocazione maggioritaria” in un sistema senza vocazione maggioritaria o presidenziale. Non lo è neanche quello di Berlusconi, come le vicende di quest’estate si sono incaricate di dimostrare, e come noi sostenemmo per tempo. E per mantenersi fermo nell’errore politico e d’analisi ha bisogno d’imbrogliare gli altri e se stesso, come quando afferma di restare convinto che: “le uniche alleanze credibili, prima e dopo le elezioni, siano quelle fondate su una reale convergenza programmatica e politica”. E’ in questo modo che definirebbe l’alleanza, da lui stretta, con i reazionari giustizialisti dell’Italia dei Valori? Quell’alleato, tutto al contrario, rispondeva allo schema inventato da Berlusconi e che ancora oggi Veltroni dice di non volere praticare: imbarchiamo tutti quelli utili a sconfiggere gli avversari. La sinistra ha rinunciato al programma e venduto la politica, pur di battere Berlusconi sul terreno berlusconiano. E’ stata battuta, invece, come meritava, merita e meriterà.
Del resto, che razza di sinistra è quella di Veltroni, che dovendo citare dei padri e dei buoni esempi mette in fila Parri, De Gasperi, Moro, Ciampi e Prodi, tralasciando madre Teresa di Calcutta solo per non far vedere che ha copiato da Jovanotti? Forse a Veltroni è sfuggito, ma nessuno dei preclari esempi è mai stato iscritto al suo partito, i primi tre sono stati da lui e dai suoi compagni duramente avversati, mentre ha dimenticato di citare l’unico presidente del Consiglio compagno: Massimo D’Alema. E se si fanno così schifo fra di loro, figuratevi agli altri. Non pago d’aver messo il piede su tutte le possibili saponette, Veltroni vede da lontano l’ultima trappola, e ci si ficca con lussuria: il rischio, dice, è che in Italia prenda piede la “democrazia autoritaria”, come in Russia e come in Cina. E chi glielo dice, adesso, che i guai della Russia derivano dal regime comunista, a favore del quale lui marciò e che gli pagò anche lo stipendio, chi glielo fa sapere che in Cina, invece, la democrazia non è neanche apparente?
La cosa imbarazzante è che tanto frullato misto, tante idee confuse, tanto tentato sincretismo politico nascono da una sola fonte: la voglia di non riconoscere di avere sbagliato per una vita, d’essere stati dalla parte del torto (sebbene non di tutti i torti), dall’avere abusivamente occupato, grazie ad aiuti e soldi sporchi di sangue, lo spazio che, in una democrazia sana, è della sinistra democratica e antiautoritaria, quindi anticomunista.
Sono profondamente convinto che l’Italia abbia bisogno di quella sinistra. Credo che manifesterà la propria esistenza il giorno in cui la pianterà d’essere ipnotizzata dal berlusconismo e porrà come imprescindibile il tema delle riforme istituzionali e costituzionali. Per questo segnalo l’estiva veltronata, ove ciascuno può trovare traccia di tutte le ragioni, di tutte le deficienze, che condannano la sinistra ad essere ininfluente anche quando la destra entra in crisi, e meritevole di sconfitta fin quando non si sarà liberata da questi falsi profeti, da questi residuati fossili del suo inguardabile e ingiustificabile passato.

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