lunedì 11 aprile 2011

Giudizio scaduto. Davide Giacalone

Se passa il processo breve, e con quello l’emendamento che accorcia la prescrizione per gli incensurati, urlano quanti non sanno quel che dicono, migliaia di processi saranno affogati nell’estinzione, per decorrenza dei termini. Impressionante, vero? Peccato che questo accada quotidianamente, ma nessuno ci fa caso e a nessuno importa. Ogni tanto arrivano all’onore delle cronache procedimenti specifici, dotati di richiamo mediatico, come quello Parmalat. Ma, anche in questo caso, si deve saper leggere: il prossimo 18 aprile ci sarà la prima sentenza contro i banchieri che, secondo l’accusa, sono responsabili d’aggiotaggio, reato che si prescrive in sette anni e mezzo. Ciò significa che non esiste una sola possibilità al mondo che questi signori, qualora colpevoli, siano effettivamente condannati. Al più si potrà leggere la sentenza di primo grado, che, però, non ha alcun valore, non serve a niente e non determina alcuna conseguenza. Il tutto senza che la prescrizione breve sia ancora stata votata, a legislazione vigente.

Per i risparmiatori che investirono in Parmalat, e che attendono l’accertamento di responsabilità per poi puntare al risarcimento, per quanti, insomma, non hanno firmato accordi transattivi (arrendendosi) nel frattempo, inizierà una nuova beffa: estinguendosi, con il procedimento penale si estinguono anche le parti lese, che saranno indirizzate al procedimento civile, dove, come nel gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza.

Questo non è un caso limite, è un caso normalissimo, nel nostro inferno giudiziario. Ed è l’ennesima dimostrazione che la lentezza della giustizia è una condanna per i deboli, per le vittime, per chi ha ragione, mentre una gran pacchia per colpevoli e profittatori. E non basta, perché è anche un costo, non solo in termini d’inefficienza, ma direttamente per i quattrini scuciti sotto forma di risarcimenti: dal 2002 al 2008 quasi 119 milioni, con una crescita geometrica, che promette di arrivare alle stelle, se non si pone rimedio.

E veniamo ai rimedi. Finché la giustizia sarà un campo occupato dalle tifoserie, dal corporativismo e dal dilettantismo, il rimedio non ci sarà. Continueremo a peggiorare. Se a questa corrida si riuscisse a porre un freno, le cose non sarebbero poi così difficili: rispetto rigoroso dei termini previsti dai codici, amministrazione manageriale dei tribunali, chiusura di quelli piccoli (che rallentano tutto con il proliferare delle incompatibilità) e digitalizzazione dei fascicoli e delle procedure. Basterebbe per guadagnare anni, e si potrebbe fare in meno di uno. Ma sarà difficile mettersi seriamente al lavoro finché la scena sarà occupata da chi scambia il processo troncato con quello abbreviato e chi minaccia sfaceli ipotetici ignorando quelli reali. La prescrizione breve, tanto per capirci, non è la prima esigenza che la giustizia italiana sente, e neanche la seconda. Ma cambia i tempi massimi solo di pochi mesi, mentre, come Parmalat dimostra, la lentezza accumula lustri di ritardo, cancellando processi e sprecando soldi pubblici.

La tragica verità è che la maggioranza di centro destra continua a dimostrare una già comprovata incapacità legislativa, mentre l’opposizione di sinistra vive e pensa solo ed esclusivamente in funzione dei processi a Silvio Berlusconi, nella non celata speranza che siano i tribunali ad abbattere colui il quale non riescono a battere. Gli uni e gli altri sembrano vivere fuori dalla realtà, avvalorando la diffusa convinzione che la politica ne sia la parte meno bella. Fa rabbia, è ingiusto, ma è quel che oggi passa il convento.

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