mercoledì 11 aprile 2012

Il boss, il Cavaliere e la vajassa. Angelo Libranti

E’ di ieri mattina la notizia raccolta da Dagospia sull’“accordo” fra Bossi e Berlusconi, circa il passaggio del simbolo leghista a quest’ultimo per ottenere la remissione di risarcimenti dovuti dopo una serie di sentenze in sede civile.
La vicenda nasce nel 1995, quando Bossi dopo aver tolto la fiducia al governo Berlusconi, cominciò ad inveire ed offendere l’ex sodale, citandolo pubblicamente come mafioso e malavitoso. Naturalmente il Cavaliere dette querela e dopo udienze e sentenze ottenne la condanna di Bossi, alla quale seguì il pagamento di ingenti somme che Bossi e la Lega non erano in grado di pagare.
Quando nel 2001 si presentarono le elezioni politiche, Berlusconi apprese dai sondaggi che non avrebbe vinto senza l’adesione della Lega; allora propose l’accordo politico e per garanzia di futura fedeltà pretese la cessione del simbolo del partito, come pegno.
La notizia, ripresa dal Corriere della Sera, ovviamente non è sicurissima e va accertata, ma diventa possibile se riandiamo all’aria che tirava alla vigilia di quelle elezioni. Non è mai stati spiegato come mai, repentinamente, due nemici politici improvvisamente trovarono l’accordo e come mai Berlusconi rinunciò a risarcimenti milionari da un giorno all’altro.
Qualcosa ci fu, e dimostra la spregiudicatezza di Bossi nel condurre un partito affermato, sproloquiando sulla moralità altrui e gestendolo nel peggiore dei modi. Questo personaggio si è fatto la fama di avere fiuto politico, quando non riesce a fiutare neanche in casa sua se è vero, come è vero, che moglie e figlio facevano di tutto per metterlo in difficoltà, per non citare i suoi più stretti collaboratori, dimostratisi inaffidabili e cialtroni.
La malattia c’entra poco, ci sono cose che uno vede e percepisce, come il voler imporre in politica un figlio non adatto ed affidare la cassa ad un personaggio già chiacchierato e squalificato. Per candidare un leghista ad una carica pubblica, lo statuto prevede diversi passaggi di attività e di anzianità che Bossi ha volutamente ignorato. Non poteva non conoscere lo statuto che egli stesso aveva contribuito a formare.
Sarà vero che guarda al denaro con noncuranza e conduce vita parca, ciò non toglie che non ha fatto nulla per verificare, per esempio, come vivevano i figli disoccupati. Quando si spende e spande uno si chiede da dove vengano tanti soldi e quando la base mormora si ha il dovere di capire dove è il problema.
Ha voglia Giuliano Ferrara di imprecare che nessuno infanghi “la canottiera che cambiò il paese”; la canottiera si è infangata da sola con una condotta autoritaria e spregiudicata. Il Nord, incanalato nella sua protesta in un partito compatto, avrebbe potuto benissimo guardare a Forza Italia prima e al Pdl poi, senza bisogno di infiocchettarsi con orpelli barbarici e riti pagani.
Ferrara non “azzecca” cosa poteva diventare l’Italia senza la defezione di Bossi nel 1994 in una legislatura formata sì da ministri improvvisati, ma gravida di proposte epocali, come la riforma del lavoro, che ancora oggi è sul tappeto, e come altre riforme e propositi che, interrotti dall’inconcludente Prodi, non sono stati più fatti per mutato quadro politico e per insensibilità della Lega, troppo attaccata agli interessi di bottega.
La furbata di dimettersi, poi, è la classica ciliegina; esce dalla porta ed entra dalla finestra con la presidenza, tra l’altro non prevista nello statuto leghista. Sarà presente in tutte le riunioni e in tutti gli organi di partito ed è stato anticipato che potrebbe persino tornare segretario della Lega.
Se non è un boss a tutto tondo, pochissimo ci manca.
Per concludere, cosa dire di un personaggio come Rosy Mauro? La conoscevo poco e solo di nome, attraverso i filmati di questi ultimi giorni ho scoperto la vajassa della Lega in servizio permanente effettivo, anzi, vicepresidente del Senato. Ma per piacere… (the FrontPage)

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