venerdì 25 gennaio 2013

Compiti non fatti. Davide Giacalone



La Bce parla di possibili fughe di capitali, ma le aste dei titoli del nostro debito pubblico vanno bene e lo spread scende. Avverte sui pericoli della confusione politica, dopo le elezioni, ma è difficile che ce ne sia più di quanta ne viviamo oggi, compreso il fatto che il governo tecnico s’è trasformato in lista elettorale. Si ripete che la ripresa sarà quest’anno, solo nella seconda parte e “graduale”, che è un modo per dire che ci terremo la recessione e le cose non cambieranno (come noi qui scrivemmo e come il governatore della Banca d’Italia ha ieri confermato), eppure continuo a leggere titoli di giornali che strillano: Milano la migliore Borsa d’Europa. C’è un senso, in queste scene, o trattasi di caos dissennato? Il senso c’è, anche se la politica fa di tutto per scantonarlo.

Il risultato di contenere la speculazione sui titoli dei debiti sovrani è stato ottenuto dalla banca centrale europea, che ha agito politicamente e con perizia. Non propriamente con prontezza, ma ciò è dipeso dalla disunità europea e dai paraocchi nazionali. I governanti che chiamano a sé quel risultato sono una via di mezzo fra mitomani e imbonitori. Il parallelo andamento degli spread italiano e spagnolo serva da guida a chi crede alle favole raccontate in dialetto. Il governo Monti non ha meriti? Ne ha uno, importante, ma che andrebbe assegnato, semmai, a Giorgio Napolitano: dato che la resistenza all’iniziativa della Bce veniva dai tedeschi, ed era motivata anche dalla convinzione che i governi nazionali, quello italiano per primo, ne avrebbero approfittato per andare avanti con i vecchi andazzi spendaccioni, ha certamente avuto un peso il fatto che si sia insediato un governo commissariale, disponibile a fare i compiti a casa. Come Monti stesso disse. Il giudizio politico può essere anche severo, ma questo è un fatto.

Per capire le preoccupazioni circa il futuro, però, dobbiamo domandarci se quei compiti sono stati fatti. E la risposta è: no. Lo ha osservato Edoardo Narduzzi: mentre altri Paesi europei, come la Grecia, la spagna, il Portogallo o l’Irlanda, hanno interpretato l’anno passato come il tempo del cambiamento profondo, l’Italia lo ha trascorso cambiando il meno possibile. La lettera inviata dalla Bce (allora presieduta da Jean-Claude Trichet) al governo italiano (allora presieduto da Silvio Berlusconi), nel 2011, indicava quattro campi in cui era necessario e urgente intervenire. Vediamoli: 1. Liberalizzazioni, niente di fatto; 2. Privatizzazioni, le une e le altre con particolare riferimento ai monopoli pubblici locali, niente di fatto; 3. Mercato del lavoro, cambiando le regole di quello pubblico, rendendo più facili i licenziamenti e più agevole l’ingresso dei giovani, il tutto spingendo verso i contratti aziendali, mentre s’è fatta una legge che stabilisce cose diverse e talora opposte; 4. Pensioni, e qui s’è fatto, portando a compimento un processo riformatore che aveva avuto tappe diverse, una battuta d’arresto (quando la sinistra fu al governo e cancellò lo “scalone”), e che il centro destra, a causa del veto leghista, fu colpevolmente incapace di concludere.

I compiti a casa, come si vede, non li abbiamo fatti. Mentre altri li hanno fatti. Il governo commissariale, che era stato insediato per dare corso a quella lettera (Mario Monti l’ha ripetuto qualche decina di volte, addossandone al predecessore la responsabilità) s’è trasformato in soggetto politico e ora conduce una campagna elettorale incenerendo il suo più accreditato patrimonio: la serietà. Oltre tutto dicendo in politichese il contrario di quel che il governo ha scritto nei documenti economici.

Sono le conseguenze di ciò a impensierire, non una presunta instabilità politica futura, che non avrebbe alcuna caratteristica di novità. Perché oltre a non fare, nell’anno passato abbiamo anche fatto quel che porta dolore e recessione: abbiamo aumentato la pressione fiscale anziché tagliare la spesa pubblica corrente. Il commissario tagliatore (Enrico Bondi) è stato messo ad occuparsi di liste, con risultati ridicoli, proporzionati alla sua competenza in materia: nessuna. La recessione, però, a dispetto delle nuove tasse, lascia prevedere che il gettito fiscale calerà, il che fa saltare i conti del pareggio strutturale. Cosa saprà fare il governo post elettorale? Se ci sarà Monti fra i componenti agirà coerentemente al passato, se così non fosse vorrà dire che sarà di sinistra-sinistra, quindi agiranno come già promettono: alzeranno le tasse, condendo l’errore con il moralismo. Come cavare sangue dagli esanimi. Ecco, dunque, il punto: un’Italia non riformata s’appresta all’ennesimo anno di recessione con i governanti che sapranno solo tassare. Ecco perché, alla faccia dello spread che scende e delle Borse che borseggiano, i timori della Bce sono più che fondati: basta che un pirla provi ad accendere una sigaretta e salta tutto in aria, perché nessuno ha messo mano all’impianto antincendio, mentre dei grulli si fanno vanto di avere spento il fiammifero su cui soffiarono altri.
Pubblicato da Libero

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