domenica 28 febbraio 2010

Berlusconi & Fini. Davide Giacalone

La fedeltà è una dote canina. Può essere chiesta ai quadrupedi o, in politica, a chi non abbia altro da offrire. La lealtà, invece, è roba importante, ma complicata: si dovrebbe essere leali nei confronti dei propri compagni di lotta o di partito, così come si dovrebbe esserlo verso gli elettori. La coerenza, insomma, è una dote morale. Gli incoerenti e gli sleali possono ben vincere qualche partita, o galleggiare per una vita, ma non possono costruire nulla di buono, perché è guasto il materiale che li compone. Infine: è vero che Machiavelli sostenne il fine giustificare i mezzi, ma la cosa è largamente banalizzata e fraintesa, perché necessita di un fine nobile, non certo bastando il proprio tornaconto. Scusatemi se l’ho presa tanto alla lontana, ma parlare di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini ha un senso se si pensa all’insieme dei nostri problemi, altrimenti è noiosamente ripetitivo.
Trovo giusto che Fini faccia osservare quanto sia inconcludente un centro destra con la bava alla bocca. Ma lui e gli altri, che un tempo si definivano camerati, sarebbero rimasti a bocca abbondantemente asciutta se Berlusconi non avesse adottato quel modulo comunicativo. Trovo opportuno che Fini abbia sottolineato quanto il federalismo fiscale rischia d’essere un costo, e che andare a rimorchio della Lega significa parlare solo ad una parte d’Italia. Ma quella riforma si trova nel programma elettorale da lui condiviso, e la vittoria che lo ha portato ad essere la terza carica dello Stato si deve all’alleanza con la Lega. Ricordi, inoltre, a proposito di sconquassi nelle casse pubbliche, che fu lui a fermare il già flebile piglio riformatore, nel secondo governo Berlusconi, impedendo interventi significativi a danno del pubblico impiego e della spesa improduttiva, dove, forse, vedeva sacche di proprio elettorato. E’ sensato che Fini chieda di affrontare razionalmente il tema dell’immigrazione, e su questo, da noi, sfonda una porta aperta, ma farà bene a non dimenticare due cose: la Lega che si rivolge ai reali dolori delle periferie eredita parole d’ordine che dovrebbero ricordargli qualche cosa, e la legge che regola l’immigrazione si chiama Bossi-Fini.
Potrei continuare, ma mi fermo, per non essere frainteso. Cambiare idea può essere cosa buona e giusta, e, nel caso di Fini, ha effettivamente cambiato idee che erano profondamente e inaccettabilmente sbagliate (ricordate il Mussolini più grande statista del secolo? Poi divenuto l’autore delle leggi razziali: il male assoluto). Solo che si deve aver cura di avvertire che si sta cambiando, specificando perché prima si sbagliava, un po’ come quando si gira, con la macchina, e si deve mettere la freccia, e, inoltre, di non farlo sempre all’indomani dell’avere incassato qualche cosa. Non sta bene.
Ma le questioni aperte fra Berlusconi e Fini non sono di carattere personale, modello Bibì & Bibò, o, per quel che lo sono, non m’interessano affatto. Sono questioni politiche, riassumibili così: a. si trovano nello stesso partito, che, però, non è un partito, non ci sono congressi, direzioni o segreterie in cui una linea perde e l’altra vince, sicché convivono senza fondersi; b. chi porta la gran pare dei voti è Berlusconi, capacissimo di costruire vittorie elettorali, ma meno di costruire il consenso attorno a linee politiche. A sinistra succede la stessa cosa, ma con leaders meno forti, al punto che ieri si sono dovuti umiliare ad aderire alla seconda edizione di una manifestazione che avevano inizialmente snobbato.
Berlusconi, per chi gli vuol bene e per chi gli vuol male, domina la scena da quindici anni. Ma non domina la politica. E’ un motore che romba e intimorisce, ma fatica a ingranare la marcia. Il resto del mondo politico vive nella sua ombra, che gli sia alleato o avversario. Non so quanto ancora durerà, so che chi non ha il coraggio di affrontarlo direttamente, sfidandolo sul terreno del consenso, non gli succederà. Né che gli sia alleato, né che gli sia avversario. Lo ignorano quelli che non pensano, ma lo sanno quelli che occupano le prime file. Per questo il tira e molla dura decenni, con il ringhiare minaccioso che segue e precede lo scodinzolare festoso.

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