giovedì 24 marzo 2011

L'atomo fuggente

La moratoria sul nucleare decisa dal governo è un gesto di responsabilità. L’incidente di Fukushima cambierà, e in parte ha già cambiato, la percezione sociale di questa tecnologia. In più, è doveroso analizzare con calma – quando i fatti saranno chiari e le urgenze risolte – la vicenda giapponese, per imparare dagli errori. Le nuove centrali avrebbero tenuto botta a sisma e maremoto? I nostri protocolli di sicurezza sono adeguati? Sono domande a cui è impossibile rispondere sull’onda della paura, ma che nondimeno meritano attenzione. L’importante è che l’esecutivo sia trasparente sugli obiettivi, e cerchi – anche con l’accordo dell’opposizione – di disinnescare la bomba referendaria. Non c’è motivo di chiamare un voto ideologico e sanguinoso su un programma che, per ragioni esterne ed evidenti, deve essere quanto meno ripensato.

Perché la manovra sia efficace, il governo deve enfatizzare tre passaggi. Primo: la pausa di riflessione è una pausa (non una retromarcia) per riflettere, cioè per esaminare razionalmente l’accaduto. Secondo: nel frattempo, va costruito e rafforzato un presidio di competenze pubbliche, a partire dall’Agenzia di sicurezza, che diventi un interlocutore affidabile sia quando parleremo del deposito per le scorie (necessario a prescindere dalle future ambizioni energetiche), sia, a maggior ragione, se e quando si discuterà delle centrali. Terzo: l’Unione europea deve avere un ruolo primario, come avevano intuito i padri fondatori con il progetto dell’Euratom, poi arenatosi per i diversi egoismi nazionali.

La sicurezza delle centrali nucleari riguarda tutti gli europei: se non altro perché, nel caso di un incidente, comuni saranno le conseguenze e comune dovrà essere la reazione per mitigare i danni. Quindi servono più coordinamento e più poteri a Bruxelles. Ed è giusto che sia un paese come l’Italia a chiederlo, perché a differenza di altri non abbiamo altri interessi se non quello di sviluppare un sistema elettrico nazionale e comunitario efficiente e competitivo. La “pausa di riflessione” non deve essere l’espressione in politichese per “abbandono del nucleare”. Il tempo che ci prendiamo dobbiamo usarlo, non sprecarlo.

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