martedì 20 settembre 2011

Il vero conflitto di interessi in Italia va cercato nei giornali. Daniela Coli

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l'Occidentale - Pochi storici e politologi si sono resi conto che dalla metà degli anni ’70 la vita politica italiana non è stata diretta dai partiti e da leader, ma da tre giornali amici: il Corriere, la Repubblica e la Stampa. Tra giornali legati insieme da un enorme conflitto di interesse che nessuno dei più battaglieri giornalisti contro Berlusconi ha mai rivelato. La famiglia Agnelli, proprietaria della Stampa, a metà anni ’70 divenne anche azionista di maggioranza di Rcs, e Antonio Caracciolo, azionista di maggioranza del gruppo Espresso da cui nacque nel 1976 Repubblica, diretta da Scalfari, era il fratello maggiore di Marella Caracciolo, la moglie di Gianni Agnelli. Tutto in famiglia, anche se all’insegna della condanna del familismo amorale italiano, dell’etica e della modernità. Sulla lobby responsabile di questo gigantesco conflitto, che con un solo articolo faceva dimettere un governo durante la prima repubblica (Craxi resistette e fu subito disegnato come Mussolini da Forattini) e ha decapitato la prima repubblica, nessuno dei più inflessibili giornalisti del Corriere ha mai scritto una parola. Nemmeno Sergio Romano, che lanciò la campagna sul conflitto di interessi di Berlusconi. Attento conoscitore della vita politica americana, Romano sapeva bene cos’era un conflitto di interesse e scrisse una serie di articoli indignati contro il tycoon televisivo che voleva farsi premier, ma non ha mai scritto un rigo sul conflitto Agnelli-Caracciolo, al cui confronto quello del Cavaliere era insignificante. Un conflitto che non è solo politico, ma economico, finanziario, per i rapporti del gruppo Fiat con la finanza internazionale.
Questo conflitto rappresenta una potente Lobby economica-finanziaria e politico-culturale, i cui interessi hanno poco a che fare col bene del “Paese” come il Corriere, la Stampa e Repubblica chiamano l’Italia. E’ una Lobby senza preferenze politiche e ideologiche: usa indifferentemente come camerieri e maggiordomi partiti e politici diversi per i propri interessi. Agnelli ha avuto un ottimo rapporto col Pci, perché era nell’interesse della Fiat ottenere finanziamenti pubblici dallo Stato italiano e quindi qualsiasi attacco del Pci ai vari governi democristiani e di centrosinistra era benvenuto per le casse della Ditta. Il Pci non si è neppure accorto di essere stato espropriato dell’egemonia culturale da Repubblica, un vero e proprio partito, che ha sostituito l’Unità tra i militanti della sinistra come l’Espresso ha sostituto Rinascita. Dopo il ’92-93 la linea all’ex Pci la dettano Repubblica e il Corriere. Nessun partito socialista europeo è stato condizionato come la sinistra italiana da una lobby estranea al partito e i più forti paesi europei hanno democrazie solide, dove i governi durano cinque anni e dove a nessun giornale verrebbe in mente di far dimettere un premier o un cancelliere con una campagna giornalistica: non sarebbe possibile. Qui sta l’anomalia italiana.
È comprensibile che Berlusconi sia stato visto dalla Lobby che decideva i destini dell’Italia come un contropotere e sia stato combattuto fin dall’inizio, incastrandolo col conflitto di interesse e col famoso avviso di garanzia pubblicato da Mieli sul Corriere, mentre il Cavaliere presiedeva il G8 a Napoli nel novembre ’94. Berlusconi tornò al governo nel 2001, perse nel 2006, rivinse le elezioni nel 2008, ma la Lobby di Repubblica, il Corriere e la Stampa si ostina a parlare di ventennio berlusconiano. È comprensibile che si sia tentato di fare fuori Berlusconi: per la prima volta in Italia è nato un contropotere deciso a fare funzionare la democrazia rappresentativa e a governare cinque anni, come in tutte le democrazie occidentali.
Per eliminare Berlusconi si è creato un nuovo ariete: i magistrati. Erano serviti per fare fuori con una campagna giudiziaria-mediatica i partiti della prima repubblica e i magistrati sono rimasti gli alleati più fedeli della Lobby, mai scalfita da un’indagine e alla quale sono sempre stati serviti su un vassoio di argento avvisi di garanzia e intercettazioni contro destra e sinistra, quando fa comodo agli interessi della Ditta. La Lobby si definisce anglofila, addita l’Inghilterra come modello, ma Murdoch è stato travolto dalle intercettazioni dei suoi tabloid e la polizia inglese adesso vuole anche sapere come il Guardian è entrato in possesso delle intercettazioni di News of the World.
I giornali della Lobby danno all’estero l’immagine dell’Italia e hanno un complesso serraglio di grandi firme, ognuna delle quali ha un diverso referente politico, e ognuna ha il suo posto nell’orchestra: chi strizza l’occhio alla destra postfascista pubblicando quotidianamente qualche dettaglio della storia del fascismo, perché, si sa, niente è più inedito dell’edito, chi fa il paladino della destra liberale e ci ricorda con gli economisti classici messi in soffitta da Schumpeter l’importanza dell’egoismo per il capitalismo, chi si batte il petto disperato perché in Italia, ahimè, non c’è né la destra, né la sinistra e la colpa è tutta dei falsi invalidi, naturalmente. Poi c’è Sartorius che se la prende col sultano, Stella e Rizzo che incalzano contro la Casta (dagli idraulici ai taxisti ai politici) e Magris, ma per Magris basta il nome, no? Tutte quelle figurine Panini che aveva tanto bene descritto Edmondo Berselli. Quante cose aveva capito Edmondo, che qualcuno all’Occidentale considera un nemico: averne di nemici come Edmondo! Aveva capito che Dagospia, da cui oggi attingono a piene mani Mauro, Flebuccio, Marione e le procure – ormai un’appendice di Dago (e chissà quanto si divertirà Cossiga dall’al di là a vedere i magistrati affannarsi a consultare Dagospia, la sua creatura) – era il teatrino più adatto per inquadrare Marchionne, ribattezzato Marpionne, che “gioca certe sue indecifrabili strategie all’interno della famiglia Agnelli, e potendo dà una gomitatina a Montezemolo”.
La debolezza italiana, l’anomalia italiana sta proprio in questa Lobby che impedisce alla politica italiana di comportarsi come quella inglese, francese, tedesca e spagnola, che ultimamente ha riscritto la Costituzione insieme, destra e sinistra. La Lobby sempre indignata con il “Paese”, perché non ci sono gli “Italians” (e neppure quelle belle cerimonie e tutti quei bei cappellini della regina, né William e Kate e neppure Carlo e Camilla), è riuscita perfino a dare lezioni di patriottismo con i 150 anni sbandierati ogni giorno (signora mia, non c’è più un Cavour! Se ci fosse lui!) per tenere l’Italia sotto e farla diventare il fanalino di coda dell’Occidente, diffamarla, tenerla sospesa, perché, cavolo!, non è l’Inghilterra e gli italiani sono così cialtroni, mafiosi, ladri e puttanieri, a cominciare dal Berlusca, così arcitaliano…. Per questo, non solo Berlusconi, ma anche il centrodestra va abbattuto, la sinistra basta un tozzo di pane per tenerla al guinzaglio.
Questa è l’Italia della Lobby, sbeffeggiata dall’Economist, la Bibbia della Lobby. Davvero ci vorrebbe un Principe, come chiedeva Machiavelli: ci vorrebbe la politica, tutta, di destra e di sinistra, che alzasse la testa e decidesse di riscrivere il patto per l’Italia. Tory e whig, dopo una lunga guerra civile, riuscirono insieme a fare giurare al re fedeltà al parlamento e a prendere il destino dell’Inghilterra nelle loro mani. Chissà se la politica italiana riuscirà mai ad alzare la testa e a prendere in mano il destino del paese. Se non lo farà sarà decapitata tutta, perché la Lobby è uno stato nello Stato, un governo ombra con i suoi ministeri e ministri, i suoi ambasciatori, le sue spie, e ha il suo esercito di magistrati che quando vuole e come vuole scaglia contro la destra e la sinistra. Ci sono momenti in cui nella vita di uno Stato la classe politica deve decidere se farsi annientare o alzare la testa e decidere se è capace di esistere. È il caso di dirlo: se non ora, quando?

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