martedì 22 novembre 2011

Neanderthal in esilio. Paolo Gambi

Voglio raccontarvi una storia. Una storia che racconta l’Italia, e che spiega molti perché del nostro presente. Parliamo di un ragazzo, romagnolo, classe 1977, nato e cresciuto a Faenza, appassionato di un settore di quelli un po’ particolari, a cui di solito non si pensa per il lavoro futuro: la paleoantropologia, lo studio delle ossa degli uomini antichi.

Questo ragazzo trova il coraggio di buttarsi nella sua passione, si laurea a Bologna, e dopo una laurea con lode prova a rimanere in università a continuare gli studi. Fa un dottorato di ricerca, continua a studiare, e pubblica una cinquantina di articoli scientifici. Inizia a partecipare a progetti di ricerca: sulle ossa di Matteo Maria Boiardo, Dante Alighieri, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano, partecipa a studi biodemografici su popolazioni degli Appennini, e sulle ossa di una necropoli. Si dà anche da fare per fare fund raising presso fondazioni ed istituzioni, anche con ottimi risultati. Insomma, fa tutto ciò che un bravo ricercatore deve fare: studiare, scrivere, fare ricerca sul campo, e persino trovare fondi per la ricerca.

Un bel giorno però, come spesso accade negli atenei di questo Paese, questo ragazzo viene allontanato dal sistema universitario. La causa potrebbe essere una qualunque di quelle cui chi ha avuto a che fare con l’università italiana è oramai abituato: mancanza di fondi, logiche baronali, processi di selezione all’italiana. Non lo vogliamo sapere, non è rilevante. Fatto sta che se vuole continuare ad inseguire il suo sogno deve andarsene. E lo fa.

Finisce prima in Germania, a Francoforte, per un anno (perché ovviamente, a differenza di molti altri, che magari poi diventano professori, sa anche le lingue), per poi approdare a Vienna. Qui la situazione è un po’ diversa dall’Italia. E in poco più di due anni, messo nelle condizioni giuste, che cosa fa? Una scoperta che rivoluziona la conoscenza sull’uomo. Una di quelle scoperte che costringono la comunità scientifica internazionale a rivedere decenni, secoli di teorie. Lavorando su due piccoli denti di uomo preistorico con tecniche avanzatissime (e complicatissime) riesce a scoprire che l’Homo sapiens è arrivato in Europa, e nello specifico in Italia, non 40 mila anni fa, come si pensava, ma 45 mila, con la conseguenza che l’Homo sapiens ha convissuto (e per 5000 anni) con l’uomo di Neanderthal, forse anche incrociandosi con lui, anche in Europa, cioè in Italia. Con l’ulteriore conseguenza che molti reperti, e quindi molte tecniche, che erano state attribuite all’uomo di Neanderthal probabilmente appartenevano all’Homo sapiens, e l’uomo di Neanderthal risulta da tutto questo molto più stupido di quanto lo avevamo sin qui creduto. Tutti i giornali del mondo si interessano della questione, raccontando la storia ed intervistando il protagonista. Tutti tranne quelli italiani, ovviamente.

Questa è una storia vera, fresca di qualche settimana, ed il protagonista si chiama Stefano Benazzi, che ho avuto il piacere di intervistare nella mia piccola trasmissione locale su Tele1, per poi mandarlo nel nazionale da Cecchi Paone. E qui finisce la storia. Ed inizia la riflessione, che poi è molto breve. Innanzitutto, ancora una volta, noi italiani siamo i migliori. Messi nelle condizioni giuste finiamo sempre per eccellere. E questo è un fatto. Ma ce n’è un altro. Un sistema universitario che non è capace di riconoscere una mente del genere e finisce per non premiarla, ma addirittura allontanarla, è un sistema che non porta da nessuna parte.

Il problema dell’università italiana non sono i pochi fondi, o gli stipendi da fame dei ricercatori, ma le logiche clientelari, antimeritocratiche e baronali che fanno di questo Paese quello che è e che finiscono per punire il merito. Anche perché la vera scoperta antropologica del nostro Benazzi non è tanto quella esposta, che cioè l’Homo sapiens e l’uomo di Neanderthal hanno convissuto in Europa e che il Neanderthal era più stupido del sapiens, ma quella ancora più sconvolgente che non è stata scritta. Che cioè questo stupido uomo di Neanderthal, durante la sua convivenza con i nostri diretti antenati italiani Homo sapiens, deve aver veramente inzuppato con la propria stupidità il sangue del popolo italico in maniera decisiva. Perché per farsi scappare un cervello come questo possiamo essere solo degli ottusi uomini primitivi. (The Front Page)

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