venerdì 18 aprile 2008

Contrada e l'eutanasia. Davide Giacalone

Spero la dilagata ipocrisia non giunga al culmine di prendere alla lettera le parole della sorella di Contrata, portavoce di un uomo carcerato e malato che chiede di essere ucciso. Aprire un dibattito sull’eutanasia è un insulto alla ragione. Quel che Bruno Contrada dice è di una semplicità assoluta: io da qui non esco perché malato, perché io qui sono entrato da innocente; se non volete farmi uscire riconoscendo che non ho mai favorito la mafia, allora ammazzatemi fisicamente, accelerate la pratica, perché la mia ammissione di colpevolezza non l’avrete mai, non mi piegherete mai.
La condanna di Contrata è definitiva, la giustizia ha fatto il suo corso. Purtroppo negando d’essere tale. La pena del carcere serve a privare il detenuto della libertà legata al corpo. Contrada, com’è capitato ad altri, reclama l’innocenza usando il proprio corpo come problema da porre alla collettività. Ciascuno può pensare quel che vuole, ma occorre avere rispetto di un uomo che s’ispira a tale condotta, evitando di credere che stia chiedendo pietà. Chiede vendetta.Purtroppo, penso che Contrada morirà in cella. O subirà l’onta d’esserne estratto poco prima, perché si dica che è morto altrove. L’imputato Contrada, poi il detenuto Contrada, è stato sconfitto. L’uomo vuole ancora giocare la sua partita, mettendo nel conto che potrà concludersi postuma. Noi, con i nostri corpi liberi, dobbiamo sapere che la sua ipoteca sulla memoria collettiva è gravissima. Non si tratta di discutere l’esito di un processo, magari ripetendoci l’ovvio: gli errori giudiziari sono sempre esistiti. No, si tratta di discutere un intero capitolo della nostra storia. Se non siamo capaci di capirlo, siamo noi che meritiamo l’eutanasia.

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