lunedì 11 gennaio 2010

Fateci essere razzisti almeno allo stadio! l'Occidentale

Se ci avesse pensato un attimo, se – dopo quanto accaduto a Rosarno – non si fosse sentito di dovere di tirar fuori dal cilindro una chiara presa di posizione anti-razzista, forse il ministro Maroni avrebbe capito subito che la proposta di sospendere le partite nei campi di calcio dai cui spalti si levano corri razzisti è una proposta tanto inattuabile quanto assurda, nonostante il plauso immediato e generalizzato che ha ricevuto.

Inattuabile in primo luogo perché aprirebbe una serie di complicazioni, che nel corso dello svolgimento di una partita di calcio, non si possono tecnicamente sostenere. Come e a che punto può un arbitro decidere di sospendere una partita? Come può verificare se trattasi di cori razzisti e non di semplici provocazioni indirizzate a tutt’altro giocatore? E non basterebbe forse un uh-uh-uh diretto al calciatore di turno al momento opportuno per sospendere il risultato di una partita che appare del tutto compromessa?

Ma c’è un motivo in più che – da tifosi più che da commentatori– ci porta a ritenere un po’ fuori luogo queste prese di posizione. Lo sfottò, la presa in giro, persino l’insulto sono connaturati con qualcosa che non ha certo a che fare col fair play sportivo ma ha certamente a che fare con il tifo. Il tifo è come uno stato febbrile, che talvolta colpisce con una tale violenza da portare addirittura alla demenza. Che ci sia di mezzo un pallone oppure no. E allora, premesso che è fenomeno deprecabile quanto stupido qualsiasi manifestazione di razzismo, forse in questo caso vale la pena ripensare un po’ a tutta la questione.

Soprattutto perché il razzismo è un fenomeno che non può manifestarsi a corrente alternata. Se indirizzo ad un giocatore di colore di una squadra che non è la mia un coro discriminatorio ma lo risparmio al mio paladino di turno, non si tratta di razzismo, certo. Al più si tratta di un tifo antisportivo, quando non di stupidità generalizzata.

Per lo stesso principio, perché allora dagli spalti è possibile insultare le mamme o le mogli dei giocatori, bianchi o neri che siano? E non sarebbe forse il caso di sospendere partite in cui tutta la curva si alza in piedi levando cori del tipo:

“Genova puzza di pesce, c'avete il mare inquinato, bastardo blucerchiato, bastardo blucerchiato”, o “le toscane...puttane puttane puttane, e loro figli, conigli conigli conigli” o ancora “di lunedì che gioia grossa, pulisci il culo con la sciarpa giallorossa, oh africano che stai a guardare tu questa curva te la puoi solo sognareeeeeeeee...o lecce merda lecce lecce merda”, o la sempre cantata: “Napoli merda, Napoli colera, sei la vergogna dell’Italia intera”, e coro dicendo?

E allora sarebbe meglio adottare il buon senso come metro di giudizio.

Sarebbe il caso, ad esempio, colpire i colpevoli laddove di più sentono il colpo, magari adottando misure precauzionali, come interire l’ingresso allo stadio alle tifoserie razziste per un certo numero di partite. Scommettiamo – incassi a parte – che si raggiungerebbe in un solo turno di campionato molto più dell’effetto sperato dalla sospensione delle partiti.

E – sempre in base al principio di buon senso di cui sopra – risponderebbe ancora di più al raggiungimento dell’obiettivo la capacità non alzare troppo il livello della provocazione, come ha recentemente dimostrato di non saper fare una promessa del nostro calcio nazionale.

Meglio dimostrare sul campo le proprie capacità sportive e fuori dal campo quelle intellettive. E salvare almeno il calcio dal politicamente corretto.

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