giovedì 14 gennaio 2010

La Coop sono loro. Davide Giacalone

La Coop spia i dipendenti, che dovrebbero essere soci. Non me ne stupisco più di tanto, si tratta di una conferma: le cooperative non sono affatto cooperative, ma solo un travestimento per fare più soldi e pagare meno tasse. Che gli spioni siano pagati dai compagni amministratori non è stupefacente, visto che c’è una lunga tradizione di sfiducia reciproca, fra gli sventolanti la bandiera rossa. Significativo, però, che i compagni datori di lavoro spiino anche una sindacalista, dopo avere passato decenni a denunciare i “padroni”, rei, talora veramente, di chiedere informazioni sugli operai. Altro che informazioni, questi entravano direttamente nelle mutande.

Quel che Gianluigi Nuzzi ha descritto passa ora, per competenza, alla procura della Repubblica. Gli spioni del carrello, se si dimostreranno realmente tali (siamo inguaribili garantisti, mica come loro), avrebbero commesso un bel mazzo di reati. Magari sentiremo anche l’opinione del garante della privacy, dotato di una bussola particolare, di cui m’è sempre sfuggito il magnetismo. Ma quel che si accerterà in sede giudiziaria non cambierà in nulla la realtà che abbiamo davanti agli occhi: le cooperative non sono cooperative, ma società affaristiche fiscalmente camuffate.

E non basta. Vi propongo un esercizio: prendete la cartina d’Italia ed evidenziate le zone tradizionalmente amministrate dalla sinistra, che un tempo era comunista, quando ne erano orgogliosi e non s’offendevano a sentirselo dire; poi prendete un’altra cartina d’Italia, evidenziando le zone dove è più alta la concentrazione di quei supermercati che si definiscono, falsamente, delle cooperative; sovrapponetele, et voilà, il miracolo: coincidono. Ve ne propongo anche uno più complicato: prendete la prima cartina e sovrapponetela ad una seconda, questa volta evidenziando le zone dove le altre catene di supermercati sono meno presenti. Lo stesso miracolo: coincidono. Siccome non credo ai miracoli, spiego l’arcano: le amministrazioni compiacenti davano i permessi alle coop e li negavano agli altri, garantendo grandi profitti ad un’organizzazione guidata dai funzionari del proprio partito, che la consegnarono ai Consorte ed ai Sacchetti: quelli che “abbiamo una banca”, quelli che “siamo soci dei bresciani che scalano Telecom Italia”, quelli che “abbiamo cinquanta milioni all’estero, segretamente, ma ce li siamo guadagnati”. Oh yes.

E pensare che Palmiro Togliatti era contrarissimo alle cooperative, di cui irrideva gli ideali. “Capitale e lavoro nelle stesse mani”, roba da mazziniani romantici. Il tempo gli ha dato ragione: il capitale lo hanno usato per le scalate e il lavoro lo hanno spiato. Togliatti era contrario perché, giustamente, vedeva che l’ideale cooperativo e quello comunista non erano diversi, erano opposti. Eppure, nella Costituzione, si trova l’articolo 45, voluto dalle correnti del solidarismo cattolico, del socialismo umanitario e del repubblicanesimo operaio. Dice: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. C’è un solo italiano, anche se di fede compagnarda, disposto a sostenere che la catena delle coop risponda a questi requisiti?

Se ci sono ancora dei dubbi, guardate la Unipol. Perché si chiama così? Perché nasce dall’idea di raccogliere tutte le polize assicurative stipulate dalle singole cooperative, che nel tempo si erano naturalmente rivolte a compagnie diverse, e di riportarle sotto un unico cappello, con un’Unica Polizza. Unipol, appunto. Ragionamento corretto, ma quell’unicità non serviva a potere avere condizioni migliori, bensì a far incassare i premi ad una società che potesse essere direttamente controllata dalle cooperative, e già questo era meno corretto. La mostruosità arriva con la quotazione in Borsa, quando si sollecitano i risparmiatori ad investire soldi propri portando ricchezza alla proprietà, che per oltre il cinquanta per cento, quindi in condizioni di controllo assoluto, è in capo ad una finanziaria che si chiama Finsoe, la quale, a sua volta, è posseduta per il 71% da Holmo, vale a dire da una società composta da cooperative, e per il rimanente 29 dal Monte dei Paschi di Siena, banca anch’essa contigua all’intreccio di potere finanziario e locale che fa capo al mondo che fu comunista. In questo modo, le mostruosità sono due: a. si chiama cooperativo un mondo che non lo è neanche a cannonate; b. si finanziarizza e quota un gruppo eterodiretto politicamente.

E questa grande forza deriva dalle cooperative di costruttori, attivissime nel settore degli appalti pubblici, da quelle dei produttori, chiamate a fornire i supermercati, e da questi ultimi, che rastrellano denaro con casse sempre attive. Che lo si faccia per solidarietà e senza fini di speculazione è una favola cui non credono neanche quelli che la raccontano. Ora sappiamo che lo si fa anche spiando i dipendenti, colpevoli, forse, di non apprezzare abbastanza gli ideali egualitaristici di chi si prende cura di loro, fin ascoltandoli ansimare al telefono.

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