venerdì 8 gennaio 2010

Ladri del tempo. A.C.

La clessidra di ognuno si svuota, ogni giorno, un granello alla volta.E’ la vita, non c’è niente da fare. Ma ci sono delle persone che ci possono togliere dalla nostra clessidra, intere palate di sabbia, svuotando la nostra vita, spesso senza motivo.
Sono i magistrati, che spesso agiscono da veri e propri ladri di tempo. “Adesso gli sequestriamo il cantiere per un paio d’anni, così impara”. Con questa semplice frase, pronunciata in una procura italiana, un rappresentante della casta dei giudici, può rovinare la vita di una persona.
Come? Rubandogli il tempo che gli resta da vivere.
Questa frase rappresenta infatti la vera pena che è nelle mani di certi giudici. Si, perché, il bene che i giudici gestiscono è proprio il tempo, il tempo che a ognuno di noi, a prescindere dalla sua età, resta da vivere. E lo fanno in due modi, sia con le condanne (e qui nulla da dire) sia, in modo più subdolo e insidioso, con la lunghezza dei processi. E qui da dire c’è tanto. Perché, occorre rimarcarlo senza falsa ipocrisia, la lunghezza del processo è l’arma migliore in mano ai giudici, l’arma cui devono tutto il loro potere. Ridurre la lunghezza dei processi ridurrebbe la giustizia a una delle componenti ordinarie della macchina dello stato. Senza i processi lunghi, i giudici sarebbero come Sansone senza capelli lunghi, ovvero privi forza, senza una importante forma di ricatto e di potere. Immaginate un processo veloce. Uno fa la denuncia, l’altro si difende, il giudice decide. Se a uno dei due la sentenza non va bene, ricorre.
Immaginate che tutto questo avvenga in un paio di mesi. In una condizione del genere a chi importerebbe niente del giudice? Invece oggi, con la minaccia dei tempi lunghi cui il cittadino è costretto, con i tribunali che lavorano solo al mattino, e nemmeno tutti i giorni, il giudice assume il ruolo di sacro sacerdote, colui che controlla il tempo della vita degli altri.Quando un pubblico ministero manda uno a processo, per lui non cambia niente. Quello è il suo posto di lavoro. Per lui è come dare un appuntamento in ufficio. Tanto il pm ci deve andare tutti i giorni (quelli, almeno, in cui lavora). Per la sua vittima, invece vuol dire lasciare il suo lavoro, spesso i suoi cari, sicuramente la sua vita.
Prendiamo il caso De Magistris, che ha costruito la sua carriera – prima mediatica, poi politica – su inchieste rivelatesi poi completamente prive di ogni fondamento. Per lui non cambiava niente, anzi ci ha guadagnato, nel frattempo, ha infangato il nome delle persone, le ha distolte dalle sue attività, gli ha rubato il loro tempo. E nessuno glielo può ridare. Nemmeno la Cassazione, quando non è impegnata nella redazione delle sue astruse sentenze. (il Predellino)

2 commenti:

johnny doe ha detto...

Basta leggere l'Ultracasta di Liviadotti e ci si accorge che questa magistratura è da terzo mondo oltre a voler comandare sulla politica.I misfatti,gli errori,le leggerezze e l'intrusione nella politica hanno ormai stufato tutti e il gradimento presso la gente è minimo.Bisognerebbe metterne qualcuno in una gabbia esposta al pubblico ludibrio.Questo si meriterebbero molti iscritti a questa consorteria di azzeccagarbugli.

johnny

maurom ha detto...

Chissà se EdwinaHugh la pensa come noi?