venerdì 23 aprile 2010

Cronista giudiziaria spiega perché la riforma sulle intercettazioni è impossibile. Tiziana Maiolo

E’ la riforma impossibile, quella sulle intercettazioni, in discussione in questi giorni in Senato. Impossibile prima di tutto perché va a toccare quel delicato ma fondamentale diritto di ogni cittadino che è la sua riservatezza, la sua vita privata e anche le parole in libertà che ciascuno di noi vorrebbe poter lasciare andare quando si parla al telefono, o anche al chiuso di una stanza con persona amica.
Riforma impossibile perché il primo cambiamento necessario sarebbe l’abbattimento drastico del numero di intercettazioni che la magistratura italiana dispone siano effettuate ogni anno. Nel 2001 sono stata relatrice di minoranza della Commissione bicamerale antimafia proprio sulle intercettazioni. Il risultato di una serie di indagini e audizioni dei fornitori di telefonia è stato che l’Italia ha il quadruplo delle intercettazioni degli interi Stati Uniti e che un cittadino su quattro è stato almeno una volta nella vita direttamente o indirettamente intercettato. A me personalmente è capitato di essere controllata, in via indiretta, nelle indagini su un sequestro di persona, quando il magistrato, una volta disposto il blocco dei beni, mise sotto controllo i telefoni di tutti i conoscenti benestanti del sequestrato, tra cui un mio amico.

E’ difficile spiegare come ci si senta violati nell’intimo, quando ti capita. E’ un po’ come quando la tua casa è stata svaligiata e scopri che i ladri hanno frugato nella tua biancheria. Proprio per la gravità del fatto, ci si deve domandare perché le intercettazioni siano così tante. Il motivo è semplice: in questo paese non si fanno più indagini, non ci sono più i Contrada a consumare la suola delle scarpe, a cercare i confidenti, a intrufolarsi anche dove non si dovrebbe. Oggi c’è una grande pigrizia e l’investigatore aspetta la “pappa pronta”. Che si chiama “pentito”, oppure intercettazione. L’investigatore sta tranquillo seduto nel suo ufficio mentre il nastro gira. “E io pago!”, avrebbe detto Totò. Eh si, perché le intercettazioni costano. C’è poca serietà in questo modo di fare le indagini. In sintesi, si getta la rete, qualcosa si prenderà. E finisce che il 50% delle persone arrestate verrà, dopo anni, assolto.

Riuscirà il Parlamento a ridurre il numero delle intercettazioni e a proteggere l’intimità delle persone e delle loro private conversazioni? Difficile, visto che il testo di legge iniziale che le consentiva solo in presenza di “evidenti indizi di colpevolezza” è crollato sotto i colpi di machete del solito combinato disposto di partiti di sinistra e sindacato dei magistrati. Così si è tornati al più languido “gravi indizi di reato”. Cioè la formulazione attuale che consente di controllare un cittadino su quattro e di fare scempio delle vite di tanti. Se così stanno le cose, questa è una riforma impossibile.

C’è poi l’aspetto della pubblicità. Si diceva una volta che certi magistrati depositano gli atti direttamente in edicola, invece che in cancelleria. E’ così. E pensare che il magistrato e i suoi collaboratori –dagli ufficiali di polizia giudiziaria al personale di segreteria- dovrebbero essere i custodi naturali delle indagini, delle notizie e anche delle intercettazioni. Pure se le lasciano scappare, diciamo così. Sarebbe importante individuare per questi soggetti una sorta di responsabilità oggettiva ( simile a quella dei direttori responsabili dei giornali ), visto che quella soggettiva non è stata mai individuata, non essendoci stata finora nella storia del nostro paese una sola incriminazione per violazione del segreto investigativo.

Il governo e il parlamento hanno scelto la strada più facile, quella di punire e di far pagare ai giornalisti e agli editori che pubblicano le notizie coperte dal segreto. Il che forse sarebbe giusto, ma solo per quelle che riguardano la vita privata delle persone e che nulla hanno a che vedere con le indagini. Come non ricordare le frasi rubate di Anna Falchi o di Anna Craxi? Per il resto, è ovvio che chi nutre quotidianamente i cronisti è la stessa persona che dovrebbe tenere le carte o i dischetti ben serrati in cassaforte. Ed è lì che si dovrebbe colpire, se si volesse davvero dire basta alle scandalose gogne mediatiche che riempiono i nostri mezzi di comunicazione.
Se non si ha il coraggio di colpire la casta dei magistrati, questa sulle intercettazioni è una riforma impossibile. Lasciatelo dire a una vecchia cronista giudiziaria. A me le notizie coperte dal segreto le hanno sempre date loro, gli uomini in toga. (l'Occidentale)

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