martedì 13 aprile 2010

La magistratura continua a sparare a zero ma stavolta ha preso di mira il Pd. Tiziana Maiolo

Sparare sul quartier generale: la parola d’ordine della magistratura militante questa volta ha preso di mira il Partito democratico e il suo responsabile giustizia Andrea Orlando, accusato di intelligenza con il nemico.

Il compito, facile facile per la corporazione, di partire all’attacco, se lo assume Armando Spataro, procuratore aggiunto di Milano e leader di una corrente sindacale che si chiama non solo “movimento per la giustizia” ma anche “articolo tre”, quasi a significare di essere l’unico gruppo di persone che abbiano a cuore l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, come sancito appunto dal terzo articolo della Costituzione.

Si spara dunque contro il Pd per il semplice motivo che il responsabile giustizia di quel partito ha osato proporre una propria riforma del sistema giudiziario, e già questo atto pare un affronto. Tanto che il procuratore Spataro, con una certa arroganza, chiede se le proposte di Orlando siano “personali” o condivise all’interno del partito. Domanda singolare, quasi che il magistrato milanese volesse esibire una propria militanza all’interno del Pd e in quella veste chiedesse conto (come hai osato senza di me?) del fatto di non esser stato preventivamente consultato.

Siamo ben oltre la normale dialettica tra un partito e una corporazione conservatrice che sta ben accucciata sul comodo esistente e teme qualunque cambiamento come minaccia al proprio status quo. L’avvertimento è chiaro, non si deve muovere foglia che il “partito dei Pubblici ministeri non voglia”. I cinque punti di riforma della giustizia che il Pd propone sono in realtà modesti e ambigui, nulla di più di una timida apertura al progetto, ben più radicale, del governo. Scontate le osservazioni sulla giustizia civile, la cui riforma è stata già varata quasi due anni fa come uno dei primi interventi del governo Berlusconi e rispetto alla quale si attendono ( da troppo tempo ) solo i decreti attuativi. I punti di contrasto riguardano, come sempre, la giustizia penale, la grande anomalia italiana.

I tanti galletti pronti al loro petulante chicchirichì ogni volta che sentono la parola “riforma”, non tengono mai in conto la grande anomalia italiana, dove esiste una casta che si chiama “magistratura” ( mentre in tutti gli altri paesi occidentali esistono solo i giudici ), dove esiste l’ipocrisia dell’obbligatorietà dell’azione penale che consiste nei fatti solo in un grande arbitrio del Pm, dove esiste un Csm che, come recita l’art. 105 della Costituzione, dovrebbe occuparsi solo di promozioni e trasferimenti ed è invece diventato un vero organismo politico, dove esistono correnti sindacali potenti e temute, dove chi sbaglia non paga mai.

Se almeno, pur ingabbiata in questa camicia di forza, la giustizia italiana funzionasse, fosse efficiente e desse sicurezza ai cittadini, i galletti non sprecherebbero il loro chicchirichì. La realtà invece sono le innumerevoli condanne dell’Europa per la lentezza dei nostri processi, i tanti “errori giudiziari” rispetto ai quali nessuno paga, le carceri che traboccano di persone che poi saranno assolte, i milioni di reati caduti in prescrizione in quanto, alla faccia dell’obbligatorietà, le cause non vengono smaltite e il Pm sceglie quali mandare avanti e quali destinare al cestino della carta straccia.

Il responsabile giustizia del Pd Andrea Orlando non propone, come sarebbe doveroso, una riforma costituzionale che abolisca la finta “obbligatorietà” dell’azione penale, ma propone la sua “ridefinizione” attraverso legge ordinaria: il solito vorrei ma non posso di una sinistra ancora troppo subalterna al partito delle toghe. Solo un timido segnale, apprezzato dal manistro Angelino Alfano, ma subito colto con allarme da Antonio Di Pietro, che ha chiesto il licenziamento di Orlando (mandatelo da Berlusconi, ha strillato) e in seguito da Armando Spataro, che parla da quello stesso corridoio del quarto piano del palazzo di giustizia di Milano dove mosse i primi passi l’uomo di Montenero di Bisaccia.

Bocciato anche un altro punto -forse un po’ più chiaro del precedente- della proposta che viene dal principale partito dell’opposizione. Facciamo, si dice, una riforma del sistema elettorale del Csm che diluisca il peso delle correnti della magistratura associata. Apriti cielo. E’ come cercare di mettere in discussione la verginità della madonna. A dimostrazione del peso politico dei potenti sindacati delle toghe, basti pensare al fatto che nei tribunali, quando è in scadenza il mandato del Consiglio superiore, si aprono vere campagne elettorali, con candidati e sostenitori, correnti e sotto-correnti. E’ un sistema che lega eletti ed elettori con patti di sangue. E l’eletto al Csm, quando entrerà nel nuovo ruolo, sanzionerà mai il suo sostenitore ed elettore se questi commetterà qualche errore?

Anche sulla quanto mai urgente separazione delle carriere la proposta del Pd si limita a definire una “necessaria distinzione di ruoli tra magistrati dell’accusa e giudici”. Poco di più dell’esistente. Pure sembra una bestemmia, da irridere con sprezzo. Come se la separazione non fosse un dato di fatto in Francia, in Germania, nei paesi del nord Europa, in Inghilterra, negli Stati Uniti.
Che la magistratura militante sia contraria a qualunque miglioramento del sistema giustizia è cosa nota. Che la stessa svolga da tempo nel nostro paese un vero ruolo politico è altrettanto pacifico. Meno scontato era il fatto che l’antico collateralismo di qualche corrente nei confronti del vecchio partito comunista si fosse trasformato in una vera attività di censura nei confronti delle proposte e addirittura delle persone all’interno del partito erede di Togliatti e Berlinguer. Questo è un fatto nuovo e inquietante.

Tempi duri per il povero Orlando, che oggi sembra il piccolo vietnamita davanti al carro armato americano nella foto-ricordo tanto amata dalla sinistra…(l'Occidentale)

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