giovedì 29 aprile 2010

Dall'agorà al default. Davide Giacalone

I problemi posti da quel che accade alla Grecia, che rischia di passare dall’agorà al default, sono tutti politici e solo marginalmente economici. Il debito greco è, in valore assoluto, poca cosa. All’Europa costa meno sterilizzarlo, piuttosto che affrontare la decomposizione della moneta unica, accelerata dai guai spagnoli e portoghesi, cui seguiranno a ruota quelli irlandesi. La crisi in atto, oramai, mostra le voragini politiche sulle quali ci troviamo, fino a mettere in discussione l’idea stessa di democrazia rappresentativa. Deve fare i conti con i seguenti, e altri problemi.

1. Scrivere che l’euro è una moneta nata senza avere alle spalle un’autorità politica è divenuto un luogo comune. In questi giorni, però, emerge l’irrilevanza anche della Banca Centrale Europea. E se non esistono istituzioni europee propriamente dette, che siano all’altezza di questi problemi, anche il vecchio sistema dei coordinamenti fra nazioni (i consigli dei ministri) mostra la corda. Va bene che ci siano idee e interessi diversi, ma è mancata la decisione. Non decidere è come decidere negativamente. E ciò ci porta al secondo problema.

2. Il mondo viaggia ad una velocità superiore rispetto a quella delle istituzioni che amministrano i Paesi che lo compongono. I ministri possono riunirsi e fissare scadenze future, entro le quali elaborare decisioni, i mercati, però, non rimandano, sono in moto perpetuo. I governi possono prendere pause per riflettere, ma l’informatica e le comunicazioni al servizio della finanza non lo consentono e producono continuamente scelte. Il differenziale di tasso che i greci dovrebbero, e non possono, pagare, per prendere capitali dal mercato, è lievitato in un tempo brevissimo. Le istituzioni governano in un tempo diverso dai mercati, non controllandone le variabili.

3. La Grecia va incontro alla bancarotta. I problemi erano già noti, ma la botta finale è stata data dal declassamento emesso da Standard & Poor’s, che definisce spazzatura i titoli del debito pubblico ellenico. Che aveva già declassato il Portogallo e ora punisce la Spagna, sebbene con un giudizio meno severo. Quei giudizi hanno un enorme peso politico, ma sono formulati da chi non ha alcun mandato istituzionale, né può sostenere d’essere affidabile, visto che di non innocenti cretinate ne ha dette a palate, preparando la crisi finanziaria globale che ancora paghiamo. E allora, come si spiega che la voce delle agenzie di rating pesi ancora? Perché gli speculatori amano gli allarmi, certo, perché i mercati si muovono come stormi, ma prima ancora perché non esistono autorità sovranazionali dotate d’autorevolezza superiore.

4. Ciò detto, la Grecia non è vittima di un complotto speculativo, ma dell’avere ripetutamente imbrogliato, mentendo. I tedeschi non hanno torto, quando intendono far pesare questo elemento, anche perché, altrimenti, si incoraggerebbero imitazioni. Ma il nodo politico si riassume in una domanda: posto che la responsabilità è del governo greco e posto che tutti i Paesi dell’euro sono retti da sistemi democratici, chi avvia le pratiche per la sfiducia e il cambio della guardia? In Grecia, da settimane, le piazze sono piene di manifestanti che imprecano contro l’Europa e il Fondo Monetario Internazionale, ovvero contro quanti potrebbero concorrere (in modo non eguale e con conseguenze diverse, ma è un altro discorso) al salvataggio. Se, come chiedono i tedeschi (a ragione), si subordina l’aiuto alla sottoscrizione di un piano di rigore finanziario, non si sta, di fatto, commissariando la democrazia greca? Non è indifferente che il patto di stabilità si sostituisca agli elettori.

5. Francia e Italia insistono per il salvataggio, che è anche un buon affare: da una parte ci metteremmo al riparo da una crisi contagiosa, dall’altra presteremmo denaro ad un tasso superiore a quello che paghiamo per chiederlo, quindi con un saldo positivo. Se non si vuole innestare la marcia indietro, rispetto all’euro, è l’unica strada da battersi. I tedeschi hanno recalcitrato, ma ora correggono la rotta, visto che potrebbe essere presentato loro il posticipato conto dell’unificazione, che fu messo anche sulle nostre spalle, proprio grazie all’euro. Ma non possiamo mica continuare a rinfacciarci la storia, senza averla iscritta nell’atto di nascita della moneta unica, né possiamo pensare di correre a salvare tutti gli europei in difficoltà, qualsiasi cosa abbiano combinato, anche perché, prima o dopo, ciascuno sarebbe chiamato a salvare se stesso.

6. Non si devono considerare negativi tutti gli egoismi nazionali, ma lo divengono quando, anziché rispondere ad esigenze geostrategiche, vengono a galla per ragioni di cucina elettorale. Ho il massimo rispetto per i tedeschi della Renania Westfalia, e m’intriga l’idea che colà si parlino ben nove dialetti, ma difficilmente le elezioni dei loro amministratori possono parlare la lingua dell’Europa. Il governo tedesco ha le sue ragioni, l’ho già ricordato, ma conta, eccome, anche la concorrenza elettorale fra i due partiti che lo compongono, in gara nel rassicurare i villici circa i loro quattrini. La sproporzione fra la partita in atto e gli interessi in gioco è talmente grande da imporre una riflessione sulla democrazia rappresentativa. Il peggiore dei sistemi possibili, diceva Churchill, se si escludono tutti gli altri. Verissimo, ma la finanza ne ha trovato uno che non si lascia escludere.

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