domenica 25 aprile 2010

Urne sinistre. Davide Giacalone

L’opposizione teme la crisi di governo. La minoranza teme il dissolversi della maggioranza. Detto in altro modo: la sinistra ha il terrore delle elezioni anticipate. Un sentimento contro natura: chi si oppone dovrebbe sottolineare le debolezze e le cadute di chi governa, chiedendo che la parola torni, al più presto, agli elettori. Invece capita il contrario, con il risultato che, a forza di considerare Silvio Berlusconi elettoralmente imbattibile, la sinistra gli consegna anche il monopolio della politica, salvo esaltarsi quando qualcuno, nel centro destra, si mostra dissidente, considerando quello come un segnale di crisi del monopolio. Come a dire: noi della sinistra, invece, siamo del tutto inutili.

Fanno bene, ad avere paura delle elezioni. Non essendo capaci d’interpretare la realtà italiana, si dedicano alle battaglie navali della tattica politicante, con l’aggravante di avere messo tutte le imbarcazioni nello stesso punto, sicché se gliene becchi una le affondi tutte. Incapaci di parlare all’Italia che morde il freno dello sviluppo, del mercato e della modernità (ma è mai possibile che io sia solitario nel criticare la riforma governativa delle professioni, ricordando la lenzuolata di Bersani?!), si estremizzano e consegnano nelle mani dei loro carnefici: ieri quelle di Fausto Bertinotti e Pecoraro Scanio, oggi quelle di Antonio Di Pietro. A dimostrazione che al peggio non c’è mai fine. Conseguentemente, perdono pezzi al centro: Francesco Rutelli e la famiglia Bassanini fondano l’Api (ma non volano); Luca Cordero di Montezemolo si piazza, forse spintaneamente, in testa alla classifica degli uomini che potrebbero capeggiare la sinistra. La quotazione elettorale di tali fenomeni è sconosciuta, dei sondaggi non mi fido, con ogni probabilità si tratta di pesi piuma, in ogni caso di voti tolti alla sinistra.

Poi ci sono Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini (e il prossimo che il centro destra candiderà alla presidenza della Camera, ove già sedette Irene Pivetti, suggerisco alla sinistra non solo di votarlo, ma anche direttamente di iscriverlo al proprio partito, tanto è solo questione di tempo). Il primo ha dimostrato, alle elezioni regionali, che quando si allea con la sinistra non porta voti, e quando si allea con il centro destra li porta via, alla sinistra. Il secondo non ho idea di cosa abbia in mente di fare, ma se decidesse di dar man forte ad un’ipotesi terzista (né con la destra né con la sinistra) pescherebbe nel bacino elettorale d’entrambi, con maggiore presa a destra. Riassumendo: tutte queste particelle smarrite, prive di piattaforma programmatica ed alla ricerca di una collocazione, danneggiano prevalentemente la sinistra.

A questo si aggiunga il sistema elettorale, che molti sembrano dimenticare: solo la Lega è in grado di presentarsi da sola e comunque contare. Il perché è presto detto. Alla Camera c’è il premio di maggioranza nazionale: basta prendere un voto più degli altri e si porta a casa la maggioranza assoluta degli eletti. A questa gara partecipano solo in due: quelli che stanno con Berlusconi e quelli che stanno con quel che resta del partito comunista. Sfido a sostenere il contrario. Ad oggi, benché le elezioni anticipate portino sfortuna a chi le chiede, il primo sembra essere in vantaggio. Al Senato il discorso cambia, perché il premio di maggioranza non è nazionale, ma regionale. Questa corbelleria la volle la sinistra e la impose il Presidente della Repubblica, facendo un gran regalo a Umberto Bossi, che in Veneto, adesso, avrebbe la maggioranza assoluta dei senatori. Riassumendo: Berlusconi e Bossi potrebbero anche presentarsi divisi, senza per questo compromettere le possibilità di vittoria.

La sinistra, pertanto, fa bene a svegliarsi urlante se le capita di sognare un’urna. Solo che anziché farsi prendere dalla tremarella dovrebbe provare a fare politica, il che significa, ad esempio, smetterla di difendere un presidente d’Aula che non votarono (la permanenza di Fini in quel posto è un volano per le elezioni) e proclamare la propria disponibilità a parlare delle riforme istituzionali. Proprio così, aggiungendo proposte razionali, che mettano nei guai gli avversari. Ad esempio: separazione delle carriere in materia di giustizia e rafforzamento dei poteri governativi, circa l’architettura costituzionale. Cose ovvie, che solo la propaganda becera, o la viltà incarnata, possono negare. E vale anche per il sistema elettorale: cambiarlo mantenendone la natura maggioritaria, ma senza premio e con un solo turno. Come vale per le materie economiche e sociali: fra poco giunge a termine molta cassa integrazione, non basta dirlo, né serve chiedere di rifinanziare, perché già lo farà il governo, mentre sarebbe spiazzante una proposta di seria riforma del welfare.

Provino a far politica, e scopriranno quanto grandi solo le debolezze degli avversari. E se, invece, comunque la legislatura si spegnerà, provino ad andare al voto senza alleati di cui vergognarsi, senza il deprecabile contorno salottiero e affaristico, con un candidato che parli al futuro e non incarni le immense miserie del loro passato (vogliono un nome indicativo? Nicola Zingaretti) e chiedano d’essere votati non perché così perde Berlusconi, ma perché ci sono anche italiani desiderosi di pensare e parlare d’altro. C’è un piccolo particolare: non ne sono capaci, non hanno né testa, né cuore, né palle.

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